Clyde Drexler non era più
felice di stare a Portland. Era stato quasi ceduto a Miami ma la prospettiva di
dover sottoporre la famiglia ad un lungo trasferimento per giocare in una
squadra mediocre non lo attraeva. Così decise di venire allo scoperto e
chiedere di essere scambiato ma solo ad una squadra di vertice, di suo
gradimento. In fondo, i Trail Blazers glielo dovevano.
C’era stata una
trattativa con New York, ma il sogno di Clyde era Houston, la sua città. Lo
scambio si concretizzò il 14 febbraio 1995, giorno di San Valentino. Il
principale testimone di quel momento fu Tracy Murray, scambiato insieme a lui: “Era
come un bambino – raccontò - rideva, rideva, rideva. A Portland ormai non
rideva più. A Houston si è subito rimesso a correre e saltare come il vecchio
Clyde. Nulla poteva giovargli più di questo trasferimento”.
Rudy Tomjanovich voleva
Clyde per aggiungere creatività nel settore delle guardie, per fare più
contropiede, avere un secondo realizzatore e il miglior rimbalzista NBA nel
proprio ruolo. “Sapevo – disse Rudy T – che nei playoffs, Drexler avrebbe fatto
pagare agli avversari la sua superiorità in termini di chili e centimetri.
Spalle a canestro si è rivelato immarcabile per Hornacek, per Person, per Del
Negro, per Anderson. Ma nonostante lo conoscessi da tempo, nonostante tutti i
video visionati prima di perfezionare lo scambio, allenandolo ho scoperto che è
anche un passatore superbo. Non me lo sarei mai aspettato”. “Gli anni di
Portland – raccontò Clyde – sono stati stupendi. Non abbiamo vinto il titolo ma
ci siamo andati molto vicini e nel 1991 abbiamo vinto 63 partite salvo essere
eliminati dai Lakers. Nella NBA devi sfruttare le opportunità quando si
presentano. Ai Blazers non l’abbiamo fatto ma credo che i risultati siano stati
superiori alle previsioni”.
E poi c’era il problema
Maxwell: i Rockets non si fidavano di andare a difendere il titolo con lui. Per
prendere Drexler, però, dovettero sacrificare uno dei cardini del titolo del
1994, l’ala forte Otis Thorpe. Non mancarono le critiche. Molti sospettavano
che la perdita di un rimbalzista atletico come Thorpe non sarebbe mai stata
compensata dalla classe di Drexler. I risultati della regular season non furono
promettenti. Charles Barkley, dopo averli affrontati, disse: “La cessione di
Thorpe li ha uccisi”. Fin dal giorno dello scambio, Tomjanovich andò a caccia
di soluzioni per la posizione di ala grande utilizzando molto spesso Pete
Chilcutt, un bianco proveniente da North Carolina, molto ordinato e capace di
far male a chiunque con il suo tiro da fuori ma mediocre da un punto di vista
fisico e non certo un talento. Chilcutt aveva cominciato la stagione in Italia,
a Trieste, ma quando si presentò la possibilità di tornare nella NBA, abbandonò
la squadra e saltò sul primo aereo per gli Stati Uniti. Ci sarebbe stato anche
il venezuelano Carl Herrera, ma aveva una spalla fuori uso. Così fu nel corso
dei playoffs che Tomjanovich eseguì l’ultima, risolutiva, mossa della stagione:
varò un quintetto con tre guardie, Kenny Smith (o Sam Cassell), Clyde Drexler e
Mario Elie spostando Robert Horry da ala piccola ad ala forte velocizzando la
squadra e appostando sul perimetro un altro tiratore con il compito di far
pagare i raddoppi su Olajuwon dentro l’area...
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