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lunedì 21 maggio 2018

NBA Finals 1990-1999: il sogno di Clyde Drexler


Clyde Drexler non era più felice di stare a Portland. Era stato quasi ceduto a Miami ma la prospettiva di dover sottoporre la famiglia ad un lungo trasferimento per giocare in una squadra mediocre non lo attraeva. Così decise di venire allo scoperto e chiedere di essere scambiato ma solo ad una squadra di vertice, di suo gradimento. In fondo, i Trail Blazers glielo dovevano.

C’era stata una trattativa con New York, ma il sogno di Clyde era Houston, la sua città. Lo scambio si concretizzò il 14 febbraio 1995, giorno di San Valentino. Il principale testimone di quel momento fu Tracy Murray, scambiato insieme a lui: “Era come un bambino – raccontò - rideva, rideva, rideva. A Portland ormai non rideva più. A Houston si è subito rimesso a correre e saltare come il vecchio Clyde. Nulla poteva giovargli più di questo trasferimento”.
Rudy Tomjanovich voleva Clyde per aggiungere creatività nel settore delle guardie, per fare più contropiede, avere un secondo realizzatore e il miglior rimbalzista NBA nel proprio ruolo. “Sapevo – disse Rudy T – che nei playoffs, Drexler avrebbe fatto pagare agli avversari la sua superiorità in termini di chili e centimetri. Spalle a canestro si è rivelato immarcabile per Hornacek, per Person, per Del Negro, per Anderson. Ma nonostante lo conoscessi da tempo, nonostante tutti i video visionati prima di perfezionare lo scambio, allenandolo ho scoperto che è anche un passatore superbo. Non me lo sarei mai aspettato”. “Gli anni di Portland – raccontò Clyde – sono stati stupendi. Non abbiamo vinto il titolo ma ci siamo andati molto vicini e nel 1991 abbiamo vinto 63 partite salvo essere eliminati dai Lakers. Nella NBA devi sfruttare le opportunità quando si presentano. Ai Blazers non l’abbiamo fatto ma credo che i risultati siano stati superiori alle previsioni”.
E poi c’era il problema Maxwell: i Rockets non si fidavano di andare a difendere il titolo con lui. Per prendere Drexler, però, dovettero sacrificare uno dei cardini del titolo del 1994, l’ala forte Otis Thorpe. Non mancarono le critiche. Molti sospettavano che la perdita di un rimbalzista atletico come Thorpe non sarebbe mai stata compensata dalla classe di Drexler. I risultati della regular season non furono promettenti. Charles Barkley, dopo averli affrontati, disse: “La cessione di Thorpe li ha uccisi”. Fin dal giorno dello scambio, Tomjanovich andò a caccia di soluzioni per la posizione di ala grande utilizzando molto spesso Pete Chilcutt, un bianco proveniente da North Carolina, molto ordinato e capace di far male a chiunque con il suo tiro da fuori ma mediocre da un punto di vista fisico e non certo un talento. Chilcutt aveva cominciato la stagione in Italia, a Trieste, ma quando si presentò la possibilità di tornare nella NBA, abbandonò la squadra e saltò sul primo aereo per gli Stati Uniti. Ci sarebbe stato anche il venezuelano Carl Herrera, ma aveva una spalla fuori uso. Così fu nel corso dei playoffs che Tomjanovich eseguì l’ultima, risolutiva, mossa della stagione: varò un quintetto con tre guardie, Kenny Smith (o Sam Cassell), Clyde Drexler e Mario Elie spostando Robert Horry da ala piccola ad ala forte velocizzando la squadra e appostando sul perimetro un altro tiratore con il compito di far pagare i raddoppi su Olajuwon dentro l’area...


 



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