Nel 1974 i Warriors non
riuscirono neppure a qualificarsi per i playoffs. Le ultime scelte dal draft si
erano rivelate fallimentari e molte di esse avevano preferito i soldi facili
della ABA. Nei mesi precedenti, Cazzie Russell, un veterano con tanti punti
nelle mani che aveva giocato nei Knicks, lasciò la squadra per andare ai
Lakers. Nate Thurmond, l’uomo franchigia, la montagna nera dei rimbalzi era
stato scambiato a Chicago. I Warriors non stavano ricostruendo perché all’epoca
il concetto non esisteva e poi avevano con il numero 24 Rick Barry. Nel 1972
era tornato dai quattro anni di esilio nella ABA ed era al top della
condizione. “Mi accorsi fin dal training camp che – contro tutti i pronostici -
avevamo una squadra speciale”, disse Barry che tra l’altro trovò subito grande
feeling con il nuovo centro giunto da Chicago, Clifford Ray. Sarebbe diventato
un suo grande amico.
“Ray era il tipo di
giocatore che aiutava tutti, quello che ci serviva, un leader. Quando vincemmo
gara 7 contro Chicago per conquistare la finale, George Johnson andò in campo e
vinse la partita per noi. Ray era in panchina e fece un tifo di inferno. Questo
era Clifford Ray”, disse Barry.
Il coach di quella
squadra era Al Attles, un altro uomo franchigia. Costruì quei Warriors con
principi moderni: erano la squadra di Rick Barry ma accanto a lui la rotazione
era spinta, c’erano dieci giocatori da 11 minuti minimi di media, un vero
platoon system sviluppato attorno ad una star assoluta (Barry segnò 30.5 punti
di media). La sorpresa dell’anno semmai fu una matricola da UCLA di nome Keith
Wilkes, che sarebbe stato nominato rookie dell’anno. Wilkes era un californiano
con un tiro incomprensibile, eseguito dopo una rotazione del braccio destro
sopra la testa. Aveva giocato e vinto a UCLA, poi nel 1974 fu scelto al numero
11. Giocava ala insieme a Rick Barry ed ebbe una stagione strepitosa...
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