Earl Manigault è stato così il giocatore di playground
più famoso della storia, non necessariamente perché sia stato il migliore –
quanti l’hanno visto giocare tra chi ne racconta le imprese? – ma perché
attorno a lui sono fiorite le leggende più accattivanti e perché la sua storia
presenta un tasso di drammaticità molto elevato. Inoltre la sua vita fu portata
alla luce da un libro famosissimo uscito nel 1971, “The City Game”, appunto, di
Pete Axthelm. Da quel momento non si può parlare di playground o di basket da
strada senza citare le gesta di Earl Manigault. L’ha fatto Rick Telander, con un
altro straordinario volume, “Heaven is a Playground”, l’hanno fatto Lars
Anderson e Chad Millman in “Pick Up Artists”. Su di lui è stato prodotto
persino un film, “Rebound”. E quando è morto, vinto da un cuore indebolito
dagli stravizi di gioventù, a 53 anni, la notizia ha fatto il giro del mondo ed
è finita su tutti i giornali di New York. E non solo…
Manigault era nato nel 1944 (ma c’è chi dice fosse
nato un anno prima, secondo altri un anno dopo) nel South Carolina, a
Charleston, aveva otto fratelli ma genitori disinteressati. Venne affidato a
una struttura sociale per orfani e infine adottato da una brava donna di
campagna, Mary Manigault, che gli diede il proprio cognome. Insieme si
trasferirono a New York quando Earl aveva sette anni. Mary trovò lavoro in un
albergo, il Pennington, tra la 95th Street e Riverside, sul West Side laddove
Midtown diventa Uptown in un crescendo di degrado...
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3 commenti:
Lo voglio!
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