venerdì 22 luglio 2016

New York Basketball Stories 2.0: perché la nuova versione


Quando nell’ottobre 2015 tornai a New York con l'Olimpia Milano sentii Jamel McLean sospirare. "Non importa quante volte sei stato a New York perché è sempre come se fosse la prima". McLean è nato a Brooklyn. New York è davvero così. Una sorpresa continua. Cammini e senti parlare ogni lingua, incontri ogni tipo di persona e la metropolitana è quasi l'anello che congiunge uomini e donne dei più disparati strati sociali. Non esiste un luogo più di Times Square in cui un venerdì notte o un sabato sera puoi sentirti così al centro del mondo o nel cuore di tutto quello che succede. Cambiano i palazzi, chiudono negozi e ne aprono altri, ristoranti storici lasciano il posto a ristoranti nuovi. Catene di fast food e slow food. Librerie che vanno e che vengono. Ogni visita a New York scopri un mondo diverso. Immaginate nel basket: lo sport che distingue New York per la sua natura urbana, le sue origini di strada, la sua matrice afroamericana o anche solo perché i Knicks giocano al Madison Square Garden e quindi sono la squadra del mondo. La prima versione di questo libro era stato un atto di amore nei confronti della città. Era una New York ferita dall'attentato alle Torri Gemelle. Pochi mesi dopo, camminando una sera per Manhattan, ero stato avvolto da un groppo alla gola. Le strade erano deserte. La città triste. Non era una sera di punta, forse era addirittura un lunedì sera, ma non avevo mai visto New York così afflitta. Così abbattuta. Mi apparve quasi rassegnata e ovviamente non lo era. Certo guardavi sud e non vedevi più le Twin Towers, non belle ma imponenti. Troneggianti. Erano un punto di riferimento. Quel buco, in parte riempito, fa ancora male.

Sono tornato tante altre volte a New York in seguito. Ogni volta l'ho trovata sempre più normale. Sempre più New York. Una volta ho corso la maratona di New York poi ho preso la metropolitana e sono andato a vedere i Knicks, per la prima volta da spettatore. Anche quella fu un’esperienza. Sono stato al Rucker Park, risalendo la città in metropolitana, Rucker Park che ormai è un tempio non un playground da sorvegliare aggrappato su un albero come quando Pee Wee Kirkland prendeva a pallate Julius Erving come narrano storie che nessuno ha mai potuto provare e sono belle anche per questo. Ho continuato a studiare New York. A completare le storie, raccoglierle ancora. Tante cose sono cambiate e hanno fornito nuovi spunti o idee. Se cominci a scavare o cercare, il rischio è quello di non fermarti mai. Ma da allora sono successe tante altre cose. Succede sempre a New York. Ad esempio lo sbarco dei Nets a Brooklyn. Ovvero l'attacco frontale al dominio pubblico dei Knicks. Bella storia, però mi mancano i rocamboleschi viaggi nel New Jersey, partendo da quella città nella città che è Port Authority (la stazione dei bus) e il terrore - a fine gara - di perdere l'ultimo pullman di rientro a Manhattan con il rischio di finire assiderato nelle Meadowlands.
Nasce così, da una sconfinata voglia di tornare a raccontare la New York dei canestri, a modo mio quindi senza la presunzione che tutto sia nato con me ma con l'incontenibile desiderio di scoprire cosa ci fosse prima, la storia, le sensazioni, gli aneddoti, le leggende, questa seconda versione di Basketball Stories: New York 2.0.
La seconda versione significa che ero insoddisfatto della prima? No, so che tanti appassionati l’hanno apprezzata ma rileggendola ho sentito che aveva bisogno di un aggiornamento e l’aggiornamento di una rivisitazione. Mi sono divertito in questo “remake” come nella versione originale. E ho avuto la possibilità oltre che di aggiornare (ad esempio la saga dei Marbury, non solo dei New York Knicks) ma anche di completare. Parlando di più di Kareem Abdul-Jabbar e aggiungendo storie che avrebbero dovuto avere più spazio fin dall’inizio come quelle di Chris Mullin e Nate Archibald, di Connie Hawkins e Roger Brown, di Bernard King, fino ad arrivare a Lamar Odom e Lance Stephenson. Fino ai Brooklyn Nets. Buon divertimento!

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