I King vivevano a Brooklyn in un appartamento dei
Whitman Housing Projects, quindici palazzoni, uno identico all’altro, oltre
1500 abitazioni. Il capofamiglia era il custode di uno di questi palazzi:
puliva, riparava, accudiva, si spezzava la schiena e guadagnava pochissimo, non
abbastanza per mantenere una moglie e sei figli. Uno di questi era Bernard King
e sarebbe diventato il Re di New York City. Oggi il campo da basket del
“project” si chiama “King Court” in suo onore.
In quella zona di New York, sbandare era facile. “Se
uscivi di casa ti mettevi nei guai, era inevitabile, l’unico modo per rigare
dritto era andare al campo e giocare a basket anche tutto il giorno. Il basket
era la mia passione – ricorda Bernard King – il basket era la mia vita. Uscivo
solo per giocare, ero un decente studente e la domenica mia madre, una donna
molto religiosa, mi portava in Chiesa e dopo la messa mi proibiva di tornare
fuori anche se mi pesava molto non tornare a giocare”. Diventò subito forte,
fortissimo, dominava i playground della città e quando ebbe l’età per
arruolarsi alla Fort Greene High School, King era già una leggenda, il miglior
giocatore di New York City. L’unica domanda era se fosse più forte lui o il
fratello minore, Albert King, che stava ripercorrendo la sua stessa strada. “Il
basket era il mio unico strumento di espressione – ha ricordato in seguito –
Venivo da una famiglia povera e l’unico problema vero per i miei genitori era
sopravvivere. Ho avuto sempre grande stima per quanto facevano: mio padre
andava a lavorare sempre e mia madre non ha mai fatto mancare a casa un pasto
caldo al giorno ma non c’erano mai espressioni di affetto, consigli,
indicazioni. Mai un abbraccio o una parola dolce”.
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