venerdì 29 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Kareem Abdul-Jabbar



3 Kareem Abdul-Jabbar

(5 titoli, 1 MVP della Finale, 3 MVP, 10 All-NBA, 13 All-Star Game, 22.1 ppg, 3.3 apg, 9.4 rpg)

La carriera di Kareem Abdul-Jabbar probabilmente vale nel complesso più di quanto valgano quelle di ogni altro giocatore nella storia del club. Ma Kareem ha trascorso un terzo della propria storia a Milwaukee dove ha vinto un titolo, giocato due finali e probabilmente espresso il miglior basket della propria carriera. È arrivato a Los Angeles al top della sua evoluzione ma negli anni in cui non aveva neppure un All-Star al suo fianco. Anni di numeri e trofei ma non vittorie. 

giovedì 28 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Shaquille O'Neal




4 Shaquille O’Neal
(3 titoli, 3 MVP della Finale, 1 MVP, 8 All-NBA, 7 All-Star Game, 27.0 ppg, 3.1 apg, 11.8 rpg)

Shaquille O'Neal è arrivato ai Lakers dopo quattro anni a Orlando. Aveva già giocato una finale e forse già vissuto la sua stagione migliore atleticamente. Ma aveva 24 anni e stava approcciando i migliori anni della sua vita. Lo Shaq più forte è arrivato al terzo titolo dei Lakers poi è cominciato il declino. Ha aiutato Dwyane Wade a vincere il titolo del 2006 a Miami accettando il ruolo di numero due. Ma il vero Shaq è stato quello dei Lakers.

domenica 24 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Jerry West



5 Jerry West
(1 titolo, 1 MVP della Finale, 1 MVP, 12 All-NBA, 14 All-Star Game, 27.0 ppg, 6.7 apg, 5.8 rpg)

Collocare Jerry West in questa classifica è frustrante perché non esiste alcuna possibilità di rendergli giustizia. West ha cominciato la sua carriera in un'era differente, dominata dai centri ma in un basket che non è riconoscibile in quello di oggi. Lui però con Oscar Robertson è riuscito a prolungare la carriera ad alto livello fino a concluderla immerso in un basket più moderno, giocando contro giocatori della generazione successiva come lo stesso Kareem. Se guardate il video di una partita di quegli anni ad esempio vedrete nel grande Bill Russell ovvero il giocatore più vincente della storia un centro antico, che difendeva in mezzo all'area e concedeva il tiro dalla media o sua volta veniva marcato con spazio oggi inesistente. Ma West come pochissimi altri era già un giocatore futuristico. Tiro perfetto, usava due mani, durissimo, arrivava al ferro e passava la palla divinamente anche se non ha ricevuto come passatore il credito che meritava.

The Lake Show, i più grandi: Elgin Baylor



6 Elgin Baylor
(1 MVP*, 8 (+2) All-NBA, 9 (+2) All-Star Game, 27.4 ppg, 4.3 apg, 13.5 rpg)

Elgin Baylor è stato il contrario dei “ring chasers” attuali. Non solo non ha mai inseguito un anello ma quando poteva vincerlo, nel 1972, ha preferito ritirarsi piuttosto che conquistarlo partendo dalla panchina come voleva Bill Sharman. In quel momento, Baylor aveva imboccato il viale del tramonto. E’ stato uno dei pochissimi giocatori della storia ad essersi davvero ritirato prima di mostrare di sé stesso un volto meno brillante di quello reale. Purtroppo nella galleria dei grandi Laker della storia lui è penalizzato dalla mancanza totale di titoli. A nessun altro è successo.

The Lake Show, i più grandi: James Worthy



7 James Worthy
(3 titoli, 1 MVP della Finale, 2 All-NBA, 7 All-Star Game, 17.6 ppg, 3.0 apg, 5.1 rpg)

Sul piano individuale la carriera di Worhty non è paragonabile a quella dei primi otto di questa classifica. Può darsi che Worthy si sia trovato al posto giusto nel momento giusto fin dai tempi del college. Vinse il titolo NCAA con North Carolina giocando assieme a Michael Jordan (e Sam Perkins) ma questo non c’entra. Nel 1982 è entrato nella NBA al numero 1 del draft nell’anno in cui sceglievano i Lakers così si è trovato subito in una dinastia generazionale che gli ha permesso di giocare tutta la carriera professionistica al top. 

venerdì 22 dicembre 2017

NBA Finals: l'ultima generazione dei Grandi Centri

Hakeem Olajuwon, Patrick Ewing, David Robinson e poi Shaquille O’Neal, Alonzo Mourning e Dikembe Mutombo hanno costruito l’ultima grande generazione di veri centri, dominanti, prima che il basket NBA si dirigesse verso nuovi orizzonti, perimetrali riannodando i fili con le stagioni “controllate” da Michael Jordan. Chi è stato il migliore di loro e come vanno considerati rispetto ai “predecessori”?

giovedì 21 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Wilt Chamberlain



8 Wilt Chamberlain

(1 titolo, 1 MVP della Finale, 1 All-NBA, 4 All-Star Game, 17.7 ppg, 4.3 apg, 19.2 rpg)

Chamberlain è storicamente il giocatore più difficile da collocare in qualsiasi classifica. Analizzandone la carriera è facile considerarlo il più grande di tutti, pensando ai numeri, i record, i 100 punti in una partita, i 50.4 punti di media in una stagione, il dominio fisico paragonabile solo a quello esercitato da Shaquille O’Neal, con numeri inferiori.

domenica 17 dicembre 2017

New York Basketball Stories 2.0: perché Kareem non ha mai giocato a New York



I Milwaukee Bucks detenevano il diritto di chiamare al numero 1 del draft NBA ma la ABA sbandierando presunti diritti territoriali aveva concesso ai New York Nets la possibilità di scegliere per prima. Alcindor, anche per carattere, decise che non avrebbe avuto problemi a giocare nella ABA e probabilmente era anche attratto dai Nets ovvero dal ritorno a casa. “Volevo tornare a New York – disse Kareem Abdul-Jabbar in seguito – i Nets erano in vantaggio”. Di sicuro giocare nella ABA sembrava più appetibile che trasferirsi a Milwaukee. Ma giocò pulito. Disse che avrebbe ascoltato una proposta per squadra e avrebbe accettato la più alta. Si raccomandò di sparare tutte le cartucce perché non avrebbe dato a nessuno una seconda chance e di sicuro non voleva trascinare a lungo quella trattativa.

venerdì 15 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Pau Gasol e Jamaal Wilkes



10 Jamaal Wilkes

(2 titoli, 2 All-Star Game, 18.4 ppg, 2.6 apg, 5.4 rpg)

Ci sono giocatori che incredibilmente hanno scelto la partita sbagliata in cui esplodere. Nella Finale del 1970, Walt Frazier segnò 36 punti con 19 assist consegnando ai Knicks il loro primo titolo ma quella partita rimarrà per sempre quella dell’atto eroico di Willis Reed (in campo zoppicando, due canestri nei primi due possessi in un pandemonio indescrivibile). Nell’immaginario collettivo la partita incredibile di Frazier resta avvolta nella nebbia. A Jamaal Wilkes successe lo stesso nel 1980: quando i Lakers vinsero il titolo in gara 6 a Philadelphia senza Kareel Abdul-Jabbar, lui segnò 37 punti! Ma li segnò nella sera in cui il rookie Magic Johnson ne fece 42! Wilkes ha vinto un titolo da rookie ai Warriors come spalla di Rick Barry poi due a Los Angeles quand’era il numero tre della squadra dopo Magic e Kareem (o viceversa). Può essere considerato il James Worthy della prima edizione dello Showtime. In quelle stagioni a Los Angeles ebbe 18.4 punti di media con 5.4 rimbalzi con due convocazioni per l’All-Star Game. Rispetto a Worthy ha fatto un pochino di meno e in quella squadra c’era anche Norm Nixon a reclamare il ruolo di terza punta. Ma Wilkes era un all-around super, che nel ruolo di ala piccola giocava contro i giocatori di maggior talento della NBA di allora, vedi Larry Bird a Boston, Julius Erving a Philadelphia, Marques Johnson a Milwaukee. Aveva un tiro atipico, un movimento circolare sopra la testa, ma letale.

giovedì 14 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Odom, Goodrich e Norm The Storm



13 Lamar Odom

(2 titoli, 13.7 ppg, 3.7 apg, 9.5 rpg, sesto uomo dell’anno)

Altro giocatore difficile da collocare in questa classifica. Nei Lakers del triennio 2008/2010, due titoli e tre finali consecutive, era il terzo giocatore della squadra dopo Kobe e Pau Gasol, ma è stato uno starter a tempo pieno solo nel primo anno (nelle 21 gare di playoffs il quintetto era Fisher, Kobe, Odom, Gasol e Radmanovic), nel secondo con l’innesto di Andrew Bynum in quintetto lui è diventato il sesto uomo della squadra che aveva normalmente Trevor Ariza da ala piccola; nel terzo anno non c’era più Ariza ma c’era Ron Artest (o Metta World Peace). E l’anomalia conclusiva è che è stato il sesto uomo dell’anno nel 2011 quando quel ciclo dei Lakers volgeva al termine. Dei suoi anni ai Lakers (il top della carriera anche se giocò molto bene a Miami e anzi servì agli Heat per permettere loro di arrivare a Shaq e vincere il titolo del 2006), vanno notati i rimbalzi, davvero tanti per un giocatore più di fioretto, di classe che ruvido. Odom è sempre stato un all-around, non abbastanza affamato di canestri per sprigionare un potenziale formidabile. La sua carriera sarebbe sbagliato definirla incompiuta perché ha vinto, ha giocato ad alto livello, guadagnato tantissimo e confezionato molte stagioni strepitose. Resta solo il dubbio di cosa sarebbe stato se la vita fosse stata più clemente nei suoi confronti o se lui avesse saputo gestire le avversità diversamente.


mercoledì 13 dicembre 2017

The Lake Show, i più grandi: Cooper, Green e Byron Scott



16 Michael Cooper
(5 titoli, 8.9 ppg, 4.2 apg, 3.2 rpg, 8 All-Defensive)

Il numero di titoli è impressionante. Cooper c’è sempre stato: c’era a Philadelphia quando Magic Johnson si presentò al Mondo e c’era quando i Lakers vinsero due titoli consecutivi nel 1987 e 1988. Il suo ruolo è sempre stato da comprimario, un sesto o settimo uomo atletico, una versione antesignana dei cosiddetti “3 and D” attuali. Piedi per terra segnava. Poi i Lakers correvano e lui era uno che correva e saltava. Non è mai stato una stella ma è stato incluso otto volte nei quintetti All-Defensive della Lega. Difficile anche lui da collocare: in un’altra squadra avrebbe probabilmente avuto una carriera insignificante, di sicuro non così vincente, ma vale per tutti coloro che sono saliti a bordo di una grande dinastia. Nello Showtime, Cooper ha avuto un ruolo importante.

15 AC Green
(3 titoli, 1 All-Star Game, 10.6 ppg, 1.1 apg, 7.7 rpg)

Nella prima versione dello Showtime (1980-1985), i Lakers avevano una sorta di “buco” nella posizione di ala forte. Pat Riley coniò lo slogan “No Rebounds, No Rings” perché il tasso di fisicità della squadra non era all’altezza di quello dei Celtics dei Big Three Bird-McHale-Parish (più inizialmente Cedric Maxwell; nel 1985/86 anche Bill Walton). L’ala forte dei Lakers era Spencer Haywood nel 1980 ma Haywood buttò via la parte più importante della sua carriera e venne tagliato prima del titolo ma nel frattempo aveva già perso il posto di titolare in favore di un giocatore buono ma non trascendentale come Jim Chones. Per migliorare la posizione venne preso Bob McAdoo, nella parte conclusiva della carriera, ma venne impiegato da sesto-settimo uomo e aveva caratteristiche da star che si conciliavano male con un quintetto base ricco di talento e realizzatori. Kurt Rambis fu un’invenzione, uno spaccalegna durissimo che giocava con gli occhiali ed era pronto a fare la guerra contro tutti. Ma il problema venne risolto veramente solo quando arrivò AC Green, che difendeva forte, prendeva i rimbalzi e tirava dalla media, era atletico. Green era uno starter inamovibile della squadra che vinse nel 1987 e 1988, giocò la Finale anche nel 1989 e nel 1991. Poi ritornò a fine carriera e vinse un altro titolo da veterano nel 2000. Green è passato alla storia perché nell’epoca in cui i Lakers erano la squadra più “cool” del mondo, lui predicava la castità e il sesso solo dopo il matrimonio. ESPN ha fatto un documentario sull’atipicità del suo stile di vita dell’epoca.



14 Byron Scott
(3 titoli, 15.1 ppg, 2.8 apg, 3.0 rpg)

Byron Scott è nato a Inglewood, esattamente nel sobborgo di Los Angeles che negli anni ’80 e ’90 ospitava i Lakers, al celebre Faboulos Forum. Quindi era davvero un ragazzo di casa, che aveva frequentato il liceo a Inglewood e fu ottenuto dai Lakers cedendo ai Clippers il “fan favourite” Norm Nixon. Scott, che era andato ad Arizona State, era una guardia pura, un tiratore dalla media fantastico che probabilmente in un’epoca diversa sarebbe stato più importante stendendo il suo raggio di tiro oltre l’arco (2.0 tiri da tre di media in carriera con il 37.7%). L’impresa di Scott fu irrompere in quintetto praticamente fin da rookie. Nel 1987/88, il suo ultimo titolo, segnò 21.7 punti di media (19.6 nei playoffs). Come realizzatore aveva un ruolo vitale, come ricevitore degli scarichi di Magic o dell’attenzione che generavano Kareem (più nel 1985 che nei titoli del 1987 e 1988) e Worthy. (2-continua)







martedì 12 dicembre 2017

The Lake Show: i più grandi della storia



Solo i Boston Celtics hanno una storia paragonabile a quella dei Los Angeles Lakers e un numero di giocatori “storici” competitivo. Nell’anno in cui vengono ritirate le due maglie di Kobe Bryant e si è discusso, si discute sul suo ruolo nella storia della franchigia, ho provato a stilare e analizzare la mia Top 20 dei giocatori gialloviola, escludendo il periodo di Minneapolis per evidente impossibilità di paragonare i giocatori di quell’epoca alle successive e la totale mancanza di immagini che avrebbero potuto aiutare a farsi un’idea almeno stilistica (di Jerry West e Elgin Baylor qualcosa esiste e in più hanno giocato con e contro giocatori di generazioni più familiari, nei primi anni ’70). Ovviamente sono classifiche soggettive, che lasciano il tempo che trovano, non vogliono dimostrare nulla, sono opinabili ma proprio per questo sono sempre state fatte e sempre verranno fatte.
Visto che siamo nel regno dell’impossibile, sarebbe bella una partita tra i Top 10 dei Celtics e i Top 10 dei Lakers. Immaginate i match-up iniziali: Bob Cousy, John Havlicek, Larry Bird, Kevin Garnett, Bill Russell contro Magic Johnson, Jerry West, Kobe Bryant, Elgin Baylor e Kareem Abdul-Jabbar. Dalla panchina: Sam Jones, Ray Allen, Paul Pierce, Kevin McHale, Dave Cowens, Robert Parish per i Celtics; Norm Nixon, Jamaal Wilkes, James Worthy, Shaquille O’Neal e Wilt Chamberlain per i Lakers.  

giovedì 7 dicembre 2017

NBA Finals: il Sonicsgate

Seattle è stata la più dolorosa perdita subita dalla NBA. Altre città hanno perso la loro squadra, Buffalo, Kansas City, Charlotte l’ha persa e ritrovata, naturalmente Vancouver. Ma sono state perdite precoci o addirittura indolori. Ma Seattle… Seattle aveva un seguito popolare enorme, un pubblico caldissimo, una grande tradizione – ancora esistente – di giocatori locali. E aveva tradizione. Vinse il titolo nel 1979 con Jack Sikma, Gus Williams e Fred Downtown Brown. Negli anni Seattle si è evoluta dal punto di vista sportivo, parallelamente alla crescita economica della città. I Seattle Seahawks hanno vinto il Superbowl. I Sounders di calcio sono diventati una realtà intrigante. I Mariners di baseball sono una presenza stabile e sono stati la prima squadra del grande Alex Rodriguez. Ma i Sonics sono arrivati per primi, avevano un valore civico, erano motivo di orgoglio per tutta la città. Negli anni successivi alla Finale del 1996, a Seattle vennero inaugurati il Safeco Field e il CenturyLink Field, impianti moderni costruiti con soldi pubblici per baseball e football. Il problema è che i Sonics arrivarono tardi a battere cassa.

mercoledì 6 dicembre 2017

New York Basketball Stories 2.0: la leggenda di Speedy Williams



Quando Manigault ottenne protezione dai gangster di Harlem per il suo campo da basket e fondò la Goat League in breve tempo le partite diventarono oggetto di scommesse tra bande di spacciatori che allestivano le loro squadre e “giocavano” a fare i proprietari. Erano un altro modo per provare a guadagnare dei soldi o far scorrere adrenalina nelle vene. Le leggende dei playground di quegli anni sono state in parte il prodotto di questa triste evoluzione. Il più famoso di tutti ironicamente si chiama James Williams ma il soprannome è Speedy.

martedì 5 dicembre 2017

NBA Finals: Phil Jackson è stato davvero il più grande?

Phil Jackson ha vinto sei titoli NBA negli anni ’90 e altri cinque nel decennio successivo. Ha battuto il record "inarrivabile" di Red Auerbach e a mio modo di vedere merita di essere considerato il più grande coach della storia. Tutto è opinabile nel basket e i paragoni tra interpreti di ere differenti sono difficili tra i giocatori, immaginate tra gli allenatori. Jackson ha vinto più di tutti ma è comunque legittimo discuterne il ruolo di numero 1. Proverò ad analizzare la questione.

lunedì 4 dicembre 2017

NBA Finals: quando Jordan decise di dire la Sua verità

Nel 2009 Michael Jordan è stato ovviamente eletto nella Hall of Fame di Springfield e secondo tradizione in un lungo discorso ha tratto le somme della sua carriera. Ma il discorso di Jordan è stato per molti sorprendente nel senso che MJ ha eliminato tutta la canonica diplomazia di queste occasioni per andare dritto al sodo e spiegare che tutti i miti riguardanti la sua capacità di automotivarsi trovando stimoli dappertutto erano… veri.
Molti hanno trovato il discorso di Jordan, ancora visualizzato tantissimo su youtube, di cattivo gusto. Era la sua festa perché polemizzare? Ma la realtà è che Jordan voleva, probabilmente per la prima volta, dire la sua e vuotare il sacco, come si dice.

sabato 2 dicembre 2017

NBA Finals: la storia del draft di Michael Jordan e Portland



I draft del 1984 hanno segnato la storia del basket NBA ma soprattutto dei Portland Trail Blazers. Per molti esperti sono stati i draft più profondi nella storia della Lega, con una classe di rookie superiore a quella del 2003 (LeBron James, Dwyane Wade, Carmelo Anthony, Chris Bosh). Quell’anno vennero scelti Hakeem Olajuwon, Michael Jordan, Charles Barkley e John Stockton. Quello del 1984 fu l’ultimo draft senza Lotteria. Le peggiori squadre della Eastern Conference e della Western Conference praticamente venivano convocate dal Commissioner, David Stern (anche lui era al debutto). Una sceglieva testa e l’altra croce. La monetina decideva chi avrebbe scelto all’1 e chi al 2.