venerdì 17 febbraio 2017

NBA WEEK 16: il punto sul futuro dei Celtics (all in one)



I Boston Celtics arriveranno alla pausa dell’All-Star Game nelle condizioni perfette per andare all’assalto dei Cleveland Cavaliers per il miglior record ad Est e in ogni caso con il vento alle spalle e un presente brillante. Eppure il futuro potrebbe essere ancora migliore. I Celtics hanno ricostruito sui resti dello squadrone che nel decennio scorso ha vinto un titolo e perso una Finale alla settima partita, in trasferta, senza dover scendere agli inferi e con una rapidità stupefacente. In pratica dopo la rinuncia a Kevin Garnett, Paul Pierce (oltre  Ray Allen ma è un'altra storia) e la partenza di Doc Rivers per Los Angeles, nel 2013, hanno dovuto accettare una sola stagione di mediocrità. In tre anni completi da capo allenatore, Brad Stevens ha amministrato un club da 25, 40 e 48 vittorie. Quest’anno saranno di più, nonostante nel “defensive rating” i Celtics siano passati dal quarto posto della stagione passata al 22° attuale. Un dato che non sarà sfuggito a Stevens e di certo non lo rende felice, conseguenza presumibile di quello che è il problema tecnico attuale dei Celtics, i rimbalzi.
I Celtics hanno molte ragioni per essere invece felici del loro presente e molte di più per guardare al futuro. Anche se la concorrenza è importante e ad Est nei prossimi anni è probabile che squadre come Milwaukee e Philadelphia sfruttino il lavoro svolto sul movimento giovanile, i Celtics sono nella posizione migliore per raccogliere l’eredità dei Cleveland Cavaliers post LeBron. Di certo sono molto più avanti nello sviluppo della squadra e hanno prospettive spettacolari perché hanno seminato bene sull’intelligenza e le strategie del general manager Danny Ainge oltre che sull’irresponsabilità passata dei Brooklyn Nets.
DANNY AINGE – Red Auerbach l’aveva definito bravo ma anche fortunato. E fortunato lo è di sicuro. Lui è il primo ad ammettere che non avrebbe mai immaginato che le scelte dei Nets del 2017 e 2018 sarebbero state così buone. Davvero? In parte sì, ma i Nets nel 2013 vollero Kevin Garnett e Paul Pierce con l’idea (avevano anche Deron Williams e Joe Johnson e Brook Lopez) di vincere subito il titolo. Ma quel progetto di squadra non poteva durare a lungo vista l’età dei soggetti. Se anche avessero vinto, la loro situazione oggi sarebbe stata identica. Garnett si è ritirato e Pierce di fatto anche. Lopez è un buon giocatore. Gli altri due, che non giocano più a Brooklyn e sono competitivi, vivono comunque gli anni dell’irreversibile declino. Quindi è normale che Brooklyn sia mediocre. I Celtics avranno la loro prima scelta quest’anno (in realtà è il diritto di scambiarsi la scelta che significa che Brooklyn sceglierà attorno al 25 e i Celtics entro le prime quattro posizioni con le migliori chance di chiamare all’1) e di nuovo quella del prossimo anno quando i Nets saranno ancora scarsi. Persino troppa roba. Ainge era stato in grado di confezionare una squadra da titolo in pochi giorni nel 2008 aggiungendo all’emergente Rajon Rondo e Paul Pierce gli scambi per Ray Allen e Kevin Garnett. Ma qui potrebbe aver fatto meglio costruendo una squadra destinata a durare tantissimo. La fortuna cui alludeva Auerbach è ben esposta: ha trovato in Billy King, allora manager dei Nets, un partner di mercato ingenuo come Auerbach costruì i Celtics degli anni ’80 scegliendo Larry Bird con un anno di anticipo e poi “rapinando” i Warriors di Robert Parish e Kevin McHale in cambio di Joe Barry Carroll. Ma Ainge ha anche “vinto” tutte le trade recenti che ha effettuato e in modo eclatante. Isaiah Thomas, oggi un All-Star, candidabile come MVP della stagione, come primo o secondo quintetto All-NBA (per me secondo quintetto), minaccia consistente come capocannoniere della Lega, è stato ottenuto da Phoenix (che a sua volta l’aveva firmato da free-agent portandolo via da Sacramento) in cambio di una scelta di fine primo giro e Marcus Thornton. Jae Crowder, un’ala piccola fisica che tira in uscita dai blocchi e difende fortissimo, uomo da 14 punti abbondanti di media, è stato ottenuto da Dallas in cambio di Rajon Rondo che ai Mavericks è durato qualche mese e poi non è più tornato quello del 2008-2010.
Eppure molti pensano che il colpo migliore Ainge l’abbia fatto assicurandosi nel 2013 Coach Brad Stevens. Per tanti nei circoli NBA il “baby face” dei Celtics se non è già il miglior allenatore della Lega, è destinato a diventarlo. E’ considerato il miglior “situational coach” della NBA, perfetto nel preparare la squadra, sofisticato negli schemi difensivi, nell’utilizzo delle informazioni (a Butler fu il primo allenatore di college ad assumere un assistente per l’analisi statistica della propria squadra e degli avversari).


Brad Stevens non è mai stato un giocatore. Meglio: è cresciuto nell’Indiana, ha giocato bene a livello liceale ma non ha ricevuto offerte vere per giocare in un college importante o semplicemente di Division One. Stevens ha giocato quattro anni in Division Three e anche lì era un giocatore marginale, a DePauw. Quando si è laureato ha lavorato nel marketing e guadagnava 44.000 dollari all’anno, tanti per un 22enne. Ma voleva allenare, ha studiato tantissimo, ha ottenuto un posto quasi da volontario a Butler sotto Thad Matta impiegando cinque anni per tornare a guadagnare quanto prima. La sua ascesa è cominciata così. Quando è diventato capo allenatore a 30 anni ha vinto subito 30 partite e infine portato Butler a due finali NCAA consecutive, con un supergiocatore (Gordon Hayward), un point-man da NBA (Shelvin Mack) e qualche buon giocatore come Matt Howard. Ma a Butler ha costruito un programma sopravvissuto bene alla sua dipartita. Persino quando UCLA gli ha offerto Westwood ha rifiutato decidendo che avrebbe lasciato Butler solo per la NBA. E arrivò la telefonata di Danny Ainge.
BRAD STEVENS – Ainge non ha mai perso troppo tempo con gli allenatori. Ha la presunzione, corretta, di aver visto abbastanza basket da poter scegliere guardando le squadre chi è adatto alle sue esigenze. E Stevens l’ha colpito. Così nel 2013 è andato contro tutto prendendo un allenatore di college con zero esperienza NBA nonostante quella tipologia di coach nella NBA non funzionasse da anni. Vedi Rick Pitino (almeno in parte), John Calipari addirittura, ma anche Leonard Hamilton, Tim Floyd, Lon Kruger. E invece con Stevens ha avuto ragione. Il suo primo contratto è stato di sei anni e 22 milioni di dollari, tanti per un debuttante, pochi per gli standard odierni. Dopo tre anni il contratto è stato esteso e scadrà nel 2022. In pratica, Stevens ha firmato un altro contratto di sei anni. Stevens ha mostrato una capacità diabolica di gestire una squadra profonda. Isaiah Thomas è il giocatore di riferimento e la sua esplosione a livelli stratosferici ha permesso alla squadra di fare il salto di qualità. Ma la base di una squadra tra le prime cinque-sei della NBA attuale è stata generata dalla quantità enorme di giocatori di medio-alto livello. Guardando al roster di Boston attuale, forse solo due giocatori non sono al centro del progetto, Amir Johnson e Jonas Jerebko, ambedue in scadenza di contratto e dal futuro dubbio. Sono funzionali oggi, non sul lungo periodo. Gli altri? Avery Bradley è un difensore di primissimo livello con tiro da tre letale; Jae Crowder (figlio del Corey Crowder visto tanto in Italia) è un’ala piccola potente e con tiro; Marcus Smart è un altro point-man fisico e difensore; Terry Rozier gioca poco e vale più di quanto abbia potuto mostrare finora; Al Horford, preso da free-agent, è giocatore di qualità, il più esperto della squadra che ha migliorato la fluidità dell’attacco perché sa tirare, passare e può giocare uno contro uno (è vero che è al minimo in carriera nei rimbalzi e nelle percentuali, due statistiche che preoccupano); Kelly Olynik e Tyler Zeller sono centri che possono figurare bene in qualunque panchina di livello.
Nei draft dell’anno scorso al numero 3 molti suggerivano ad Ainge di prendere Kris Dunn di Providence. Ma lui non voleva – giustamente – un altro point-man e ha selezionato Jaylen Brown, esterno super atletico da California. Thomas è esploso come un top-player e Brown è un eccellente giocatore che diventerà molto più di questo.
In sostanza, Boston ha grande profondità, ha equilibrio e tanti giovani con i quali vale già un posto in finale di conference o quasi. Quello che non ha è una superstar acclarata, uno come il Kevin Durant che aveva tentato di prendere in estate, forse andandoci più vicino di quanto si pensi, o il Jimmy Butler che ad un certo punto sembrava cedibile da Chicago. Thomas può essere questo giocatore ma la sensazione è che stia giocando al di sopra delle proprie possibilità. In ogni caso se punti al titolo ormai una superstar e tanti ottimi elementi non è abbastanza. I Celtics hanno gli asset per scambiare per un giocatore che faccia la differenza ma devono trovarlo (Ainge ha pazienza), non è Carmelo Anthony, e non devono smembrare la squadra per averlo. L’altra possibilità è reperirlo attraverso i prossimi due draft. Il guaio è che le potenziali megastar del prossimo draft sono tutti point-man, giocatori che vogliono la palla in mano. Esattamente come Isaiah Thomas il cui contratto da poco oltre sei milioni va a scadenza nel 2018.


Isaiah Thomas ha segnato 24 punti nel quarto periodo di una vittoria su Detroit. E’ stato giocatore del mese a gennaio. Ha segnato 19 punti nel quarto quarto contro Toronto spedendo Brad Stevens all’All-Star Game (Tyronn Lue non era eleggibile). Thomas segna 10.7 punti di media nel quarto periodo, oltre il record i 9.6 che fu stabilito da Kobe Bryant nel 2006. Potrebbe battere il record di franchigia di Larry Bird (29.9 punti di media per una stagione che risale al 1987/88). E sta minacciando la leadership di Russell Westbrook come capocannoniere della Lega. E’ abbastanza per essere considerato una star sia pure di 1.76?
ISAIAH THOMAS – Thomas viene da Seattle (o meglio da Tacoma, che è attaccata), si chiama Isaiah in onore di Isiah (con una a in meno) Thomas: il padre tifava per i Lakers e aveva scommesso che se i Pistons avessero vinto il titolo avrebbe chiamato il figlio come l’odiato playmaker di Detroit. La moglie accettò ma pretese che si chiamasse Isaiah come nella Bibbia. In realtà, al di là della scommessa, il nome era piaciuto. I Pistons vinsero ma il ragazzo si sarebbe chiamato comunque così. Ovviamente è sempre stato considerato troppo piccolo. E’ normale. A Washington giocava con compagni quotati, uno era Abdul Gaddy che è stato anche a Bologna. Quando andò nel draft fu scelto da Sacramento come ultimo giocatore del secondo giro. Ma fu un successo istantaneo. Al terzo anno aveva oltre 20 punti di media. Venne reclutato da Phoenix: il general manager Ryan McDonough, ex braccio destro di Danny Ainge a Boston, è convinto che non hai mai abbastanza point-men. Lui aveva Eric Bledsoe e Goran Dragic. Volle anche Isaiah. Ma erano tutti giovani e bramosi di palla. A metà stagione, Dragic venne ceduto a Miami prima che diventasse free-agent e Thomas se ne andò a Boston. Di fatto è diventato uno starter solo l’anno scorso. La sua esplosione è ben documentata. Stevens nell’ultimo quarto gli mette la palla in mano. E lui risponde. Sta tirando meglio da tutte le posizioni e sta tirando più tiri liberi con percentuali più alte. Quanto possa durare non è chiaro ma che Thomas sia una star a dispetto degli scettici o di chi possa essere condizionato dalla statura è certo. E quindi cosa fare adesso? Il contratto di Thomas scade nel 2018 e chiama 6.261 milioni di dollari nell’ultimo anno. Siamo ai limiti del “furto”. Con una scelta tra le prime quattro ma forse tra le prime due Boston può prendere un point-man stellare e di taglia fisica imponente. Tutta la NBA guarda a Markelle Fultz (Washington, proprio come Thomas) e Lonzo Ball (UCLA). Però attenzione: scambiare Thomas per avere una star in un altro ruolo (guardia? Ala piccola? Centro?) non è ipotizzabile se non imbastendo un affare enorme visto che il suo salario è così basso che non assicurerebbe alcun ritorno tecnico significativo. E poi sostituire una star con un rookie spedirebbe i Celtics indietro di almeno un paio di anni.

IL FUTURO – Danny Ainge probabilmente sarebbe disponibile a rinunciare ad entrambe le sue scelte per un fuoriclasse che renda i Celtics già da titolo. Chi possa essere però non è chiaro: Paul George lo sarebbe al posto di Jae Crowder? Jimmy Butler al posto di Avery Bradley? DeMarcus Cousins in sostituzione di Amir Johnson? Forse è questa la soluzione più intrigante e realistica anche se per far quadrare i conti probabilmente si dovrebbe rinunciare anche ad Al Horford. Tutto da vedere. Un’altra strada potrebbe essere meno immediata ma più percorribile e di lunga gittata. Ovvero: scegliere il miglior giocatore disponibile nei prossimi due draft e stare a vedere cosa possa succedere con questo gruppo di giocatori. Fultz ha la taglia per cominciare la sua carriera NBA giocando accanto a Thomas in alternativa a Bradley, sviluppato gradualmente con probabile rinuncia a Smart. Ball non ha il tiro di Fultz, anzi la sua meccanica è discutibile, ma ha velocità e una visione che suggeriscono il paragone con Jason Kidd. Anche lui ha il fisico per giocare accanto a Thomas, lasciare che Isaiah vada a scadenza e poi rinnovarlo per consegnare la squadra al nuovo arrivato nei due anni successivi quando però i Celtics potrebbero già essere molto competitivi. E poi ci sarà la scelta del 2018 da scoprire. E’ chiaro che si potrebbe andare verso un sovraffollamento di guardie (Smart può essere usato come pedina di scambio per un’ala piccola alternativa a Crowder, che però potrebbe essere Jaylen Brown; nel 2018 anche Bradley va a scadenza di un contratto da otto milioni, anacronistico) mentre tra i “bigs” il talento è buono ma non trascendentale soprattutto se Horford fosse davvero in declino. Arriverà la scelta del 2016 Ante Zizic ma dovrebbe prendere il posto di Amir Johnson, in scadenza, con promozione di Olynik in quintetto almeno all’inizio. Ma è chiaro che è qui che i Celtics devono migliorare. Il draft può aiutarli poco, perché quando selezioni così in alto non puoi accontentarti di migliorare un ruolo, devi tentare il colpo e risolvere i problemi di abbondanza dopo. Su queste mosse i Celtics si giocano la loro nuova dinastia. Ma sono in buone mani.

Nessun commento: