giovedì 1 febbraio 2018

Blake Griffin: il punto di vista di Detroit



Detroit aveva bisogno di un colpo. Blake Griffin lo è. Il tempo a disposizione di Stan Van Gundy, allenatore ma anche presidente dei Pistons, per mostrare qualcosa di promettente stava per scadere. In quattro anni è chiaramente sotto il 50% di vittorie, vanta una sola partecipazione ai playoff e nessuna vittoria in post-season. In ogni caso non sembrava più così saldo e aveva necessità di fare qualcosa che invertisse la rotta, nel momento in cui la squadra si è trasferita nel cuore di Detroit – downtown è stata riprogrammata dopo un lungo periodo di difficoltà in cui la città era di fatto fallita – ma non era di moda.

Ovviamente è stata anche una mossa rischiosa. Lo è per lo stesso motivo per cui i Clippers si sono convinti a cedere il loro uomo franchigia. Non è un ragazzino, ha un contratto pesantissimo che con la sua storia di infortuni alle spalle potrebbe nel giro di uno o due anni diventare quasi insopportabile. C’è chi l’ha paragonato a quello che nel 2010 – snobbati da LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh – i Knicks firmarono con Amar’e Stoudemire: ottennero una grande stagione, poi in breve ne subirono il declino atletico. E’ vero che Blake ha risorse tecniche superiori e alcuni dei suoi infortuni sono stati traumatici. Ad esempio, una volta si è rotto la mano prendendo a pugni l’amico magazziniere. Certamente, un brutto gesto, orribile, ma che non ha nulla a che vedere con la sua integrità fisica. Griffin ogni anno diventa un tiratore migliore, il suo raggio di tiro è stato ampliato, e fa sempre meno affidamento sulle sue qualità esplosive e sempre di più su quelle tecniche. Passa la palla e la tratta come pochissime ali forti al mondo, forse nessuno. Ai Clippers giocava assieme ad un centro di posizione, esattamente come succederà a Detroit. Ma DeAndre Jordan è un “roller”, un rimbalzista, è espressione pura del concetto di “Lob City”. Andre Drummond, il nuovo partner di Griffin, è un rimbalzista devastante (15.3), meno difensore ma ha maggiori qualità tecniche al suolo e ora è un tiratore di liberi accettabile (oltre il 60%, è sotto il 41% in carriera). Griffin era diventato una specie di playmaker avanzato ai Clippers. A Detroit potrà sviluppare questo ruolo ancora di più, giocare il pick and roll come palleggiatore insieme a Drummond, in una combinazione 4-5 inusuale ma intrigante.
Per Stan Van Gundy però è una deviazione netta rispetto alla sua storica filosofia di gioco. A Orlando, quando aveva Dwight Howard, giocava con un 4 come Rashard Lewis che doveva aprirgli il campo. Quando ha fatto la finale nel 2010 aveva anche Ryan Anderson che poi ha allenato per tre stagioni. A Detroit con Drummond voleva fare lo stesso: allargare il gioco per poter servire e rendere devastante il centro dentro l’area, con un 4 come Tobias Harris. Griffin è un buon tiratore ma non è Ryan Anderson e non è ovviamente Rashard Lewis. Ma non è neppure Harris. Non è la stessa cosa. Quindi SVG dovrà riavvicinarsi all’era di Miami quando aveva Udonis Haslem da 4 in prossimità di Shaquille O’Neal.
Se la combinazione Griffin-Drummond dovesse funzionare, i Pistons sarebbero ad una terza star di distanza dal diventare una squadra importante a Est ma intanto hanno perso Harris (Griffin è un upgrade ma Harris non va sottovalutato) e Avery Bradley. I Pistons non sono mai stati una destinazione ambita dai free-agent. I due più grandi giocatori della loro storia, Isiah Thomas e Joe Dumars sono arrivati dal draft; lo squadrone del titolo del 2004 aveva soprattutto un grande equilibrio ma tutti i suoi giocatori chiave erano arrivati via scambio (Chauncey Billups, Richard Hamilton, Rasheed Wallace e Ben Wallace) o ancora dal draft (Tayshaun Prince). Quindi dovranno inventarsi qualcosa oppure accontentarsi realisticamente di essere una buonissima squadra che possa aspirare al massimo a vincere 50 partite e approdare al secondo turno dei playoffs anche se non è chiaro dopo la prossima estate e le decisioni di LeBron quale possa essere la geografia della Eastern Conference nell’immediato. In ogni caso Griffin come prima punta non è un giocatore da titolo, e non lo è Drummond. Questo in una lega orientata sulle star pone un limite ad ogni ambizione.

Nessun commento: