Tornassero indietro a OKC rifarebbero esattamente le stesse
mosse che hanno caratterizzato la scorsa estate. La “trade” per Paul George e
infine anche quella per Carmelo Anthony avevano un fine: restituire ai Thunder
un ruolo da potenziale contendente per il titolo per poter offrire a Russell
Westbrook motivi non solo economici per firmare un contratto mostruoso a lunga
scadenza (35 milioni l’anno prossimo, 43.8 nel 2021/22, ultima stagione
garantita e senza opzioni). E con quello convincere George a restare oltre la
scadenza contrattuale del prossimo 30 giugno. Con queste due firme – una c’è
già stata, dell’altra si parlerà per intere settimane – si regalerebbero altri
cinque anni almeno ad alto livello anche se non necessariamente da titolo.
Sarebbe sbagliato giudicare George per quello che ha fatto
in gara 6 a Salt Lake City. Tantissime superstar hanno giocato partite decisive
a livelli indegni. La sua prova è stata sconcertante e ha “esposto” Russell
Westbrook allo sforzo erculeo di dover vincere la partita da solo, anche
ricorrendo ad armi che non sono del tutto sue, come il tiro da tre. Scottie
Pippen giocò a Detroit il famoso “Migraine Game” nel 1990 ma poi vinse tre titoli
di fila e fu un degno secondo violino di Michael Jordan. E solo un anno fa
James Harden ebbe una terribile partita contro San Antonio che chiuse la
stagione di Houston. Adesso sarà nominato MVP. Inoltre, PG ha giocato una serie
per cinque partite eccellente e nelle due vittorie dei Thunder è stato decisivo,
inclusa la surreale rimonta da meno 25 in gara 5. La prova di PG in gara 6 non
modifica gli obiettivi estivi dei Thunder che partono dalla sua riconferma. Né
terranno i Lakers o chi per loro lontani dalle sue tracce il prossimo luglio.
Ma di certo avrà da riparare una fetta di reputazione. Per permettere ai
Thunder di tornare a casa per gara 7, Westbrook avrebbe dovuto segnare una
delle triple tentate nell’ultima sequenza, farne 49 nei tempi regolamentari,
dopo i 48 di gara 5, e probabilmente metterne dentro un’altra decina nel
supplementare che avrebbe potuto generare. Tanto per chiarire: stiamo parlando
dell’assalto al record di 63 punti di Michael Jordan nel 1986 a Boston (infatti
quella gara andò al doppio overtime).
Ora è chiaro che neanche Westbrook sarà esente da critiche:
c’è sempre in lui questa furiosa determinazione a sobbarcarsi un carico di
responsabilità disumano che infine finisce per tradirlo. Era così quando
giocava con Kevin Durant, doveva essere così un anno fa e nelle partite
decisive lo è stato ancora. Resta sempre il sospetto che dovrebbe fidarsi di
più dei compagni, bravissimi (come Steven Adams) o scarsi che siano, adattarsi
quando attorno a lui restano tutti fermi ad aspettare che inventi qualcosa.
Westbrook è la versione moderna di Michael Jordan quando non si fidava di
Scottie Pippen, di Kobe Bryant quando i Lakers cedettero O’Neal e non avevano
ancora preso Pau Gasol, di Allen Iverson. Prende “solo” molti più rimbalzi,
distribuisce “solo” molti più assist, ha semplicemente un serbatoio di energia
e intensità agonistica che non si è mai visto prima. Jordan e in misura minore
Bryant sono riusciti ad un certo punto delle loro carrierw a trovare un equilibrio
tra la capacità e l’istinto dei dominatori e la valorizzazione dei compagni.
Iverson non l’ha mai fatto. Westbrook ci ha provato quest’anno, a tratti, ma
capita sempre il momento in cui l’istinto prevale. Infine nei playoffs prima
Anthony ha abbandonato il gruppo e in gara 6 Paul George l’ha lasciato davvero
solo. Ma lo stile di Westbrook è legittimo motivo di analisi.
Dopodiché a stagione finita possiamo parlare delle mosse di
Sam Presti, uno dei general manager più stimati, coraggiosi e creativi della
Lega. E’ possibile che abbia “out-traded” sé stesso nel tentativo di
assecondare i Thunder, Westbrook e le ambizioni della franchigia?
Paul George 2017/18: 21.9 ppg, 5.7 rpg, 3.3 apg, 40.1% tiro
da tre, 45.4% tiro da due, 36.6 minuti.
Victor Oladipo 2017/18: 23.1 ppg, 5.2 rp, 4.3 apg, 37.1%
tiro da tre, 52.8% tiro da due, 34.0 minuti.
E’ legittimo sostenere che Victor Oladipo abbia giocato a
Indiana meglio di quanto abbia fatto Paul George a OKC. Il livello espresso dai
numeri è altissimo. George è considerato un difensore di elite anche se OKC ha
perso 10 punti per 100 possessi quando si è infortunato Andre Roberson e PG è
diventato l’asso difensivo di Billy Donovan. Quando lo scambio è stato
partorito, nessuno l’ha discusso. Anzi, i Pacers sono stati pesantemente
criticati. Oladipo è due anni più giovane di George e quest’anno ha guadagnato
21 milioni di dollari, più di quanto abbia preso George. Ma Oladipo è vincolato
fino al 2021 e in generale si pensava che il suo contratto fosse eccessivo e
troppo lungo. Ora però Sam Presti si trova in questa posizione: se George
rinnovasse dovrebbe pagarlo più di quanto avrebbe pagato Oladipo ovviamente e
se non restasse si troverebbe con un monte salari comunque abnorme ma una
squadra che al massimo potrebbe acciuffare, trascinata da Westbrook, l’ultima
poltrona per i playoffs.
Inciso: Oladipo è migliorato tantissimo. Nei playoff dell’anno
passato aveva avuto 10.7 punti con il 34.4% dal campo in cinque gare contro
Houston. Nella regular season aveva segnato 17.3 punti per gara, con 4.7
rimbalzi, 2.9 assist, il 36.1% da tre e il 49.1% da due. La domanda che molti
sono autorizzati a fare è come l’elefante nella stanza: Oladipo è migliorato
davvero, ha beneficiato dello status di numero 1 della squadra oppure giocare
accanto a Westbrook è semplicemente più difficile?
Di fatto, per avere George, Presti ha sacrificato oltre a
Oladipo anche Domantas Sabonis, in pratica ha sostituito due giocatori della
rotazione con uno. Per completare l’operazione e prendere Carmelo Anthony da
New York ha dato via anche Doug McDermott e Enes Kanter. In altre parole, anche
ignorando McDermott, ha ridotto la profondità dei Thunder che già era molto,
molto, relativa. Kanter è un giocatore difensivamente impresentabile, ma
sarebbe stato un eccellente riserva di Adams e, con più talento offensivo attorno,
il suo gioco in post basso sarebbe stato ancora più efficace. E non
dimentichiamo che nel 2016 i Thunder sfiorarono l’impresa contro Golden State
dopo aver strapazzato San Antonio giocando tantissimo con Adams e Kanter
insieme a distruggere gli avversari a rimbalzo d’attacco. Per ovviare, Presti
ha portato a casa veterani come Raymond Felton e Patrick Patterson. Quest’ultimo
è stato deludente per tutto l’anno sia da ala forte che da “Stretch 5”.
Il che ci porta a dire che forse Presti ha fatto almeno uno
scambio di troppo, quello per Anthony, che è iscritto al payroll dell’anno
prossimo per 28 milioni. Un problema irrisolvibile perché i Thunder se
riusciranno a tenere George pagheranno una tassa di lusso astronomica per di
più con la necessità di analizzare l’importanza di Jerami Grant, free-agent
senza restrizione e rivelazione della stagione e probabilmente in grado di
rimanere solo se PG se ne andasse.
Questo genere di situazioni spinge spesso a considerare
anche l’inimmaginabile ovvero la cessione di Westbrook per poter uscire da
questa terra di nessuno, costosissima ma con limiti precisi. Ma Oklahoma City
non è una destinazione da free-agent, non può pensare di andare al draft a
ripetizione e ritrovare come è già successo Kevin Durant, Russell Westbrook
(scelto al 4 dopo una stagione da 12 punti a partita a UCLA, un’evoluzione la
sua stupefacente e per questo Presti è considerato un mago), James Harden (tre
MVP!) e Serge Ibaka. Non può. E Westbrook è più che un uomo franchigia, è un
simbolo, è il volto cui l’intera città si è aggrappata nei giorni del
tradimento di Durant. E Westbrook da solo, meglio con George, garantisce
rilevanza al club. I Thunder non saranno mai delle comparse finché avranno un
giocatore così incredibilmente affascinante, nel bene e nel male.
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