Non c’è mai stata probabilmente nella storia della NBA una
stagione con tanti allenatori meritevoli del trofeo di Coach dell’anno. E’
legittimo considerare candidati in nessun particolare ordine: Brad Stevens
(Boston), Dwane Casey (Toronto), Brett Brown (Philadelphia), Nate McMillan
(Indiana), Mike D’Antoni (Houston), Gregg Popovich (San Antonio), Terry Stotts
(Portland) e Quin Snyder (Utah). C’è un modo interessante, nell’era dei dati
analitici ormai di uso comune in America, per decifrare il rendimento di una
squadra: paragonare il numero di vittorie effettivo al numero di vittorie
preventivate a inizio stagione dai siti specializzati. Ad esempio di questi
otto allenatori, solo Popovich ha vinto meno partite (47 contro 53) del
preventivato; Stevens a Boston è andato pari. Gli altri ne hanno vinte in media
una decina in più.
Nate McMillan (+18): quando i Pacers hanno ceduto Paul
George a Oklahoma City si pensava che quella in atto fosse una ricostruzione,
tanto che dai Thunder erano arrivati due giocatori giovani come Victor Oladipo
e Domantas Sabonis. Ceduto anche Jeff Teague, la previsione prestagionale era
di 30 vittorie. I Pacers ne hanno vinte 48, Oladipo è diventato un All-Star e
il triangolo di giovani Oladipo-Sabonis più Myles Turner rappresenta una grande
base da fortificare. McMillan ha avuto abbastanza anche da alcuni veterani come
Darren Collison, Thaddeus Young e Bojan Bogdanovic. I Pacers un anno fa avevano
vinto 42 partite, ma nell’anno della perdita di George, il loro miglior
giocatore, ne hanno vinte di più. Questo è un premio al lavoro di McMillan. E’
anche vero che Oladipo ha numeri simili a quelli di George. Lo scambio con OKC
che doveva essere favorevole ai Thunder adesso andrebbe rivisitato. Il dubbio è
che quanto accaduto debba essere ascritto più a merito del general manager
Kevin Pritchard che dell’allenatore.
Quin Snyder (+12): i Jazz erano un’altra squadra che
sembrava implosa dopo la perdita di Gordon Hayward. Ebbene, i Jazz hanno vinto
29 delle ultime 35 partite, un passo degno di una contender. Perso in estate il
giocatore di maggior talento, Snyder ha costruito una difesa strepitosa attorno
a Rudy Gobert, la seconda della Lega dopo quella di Boston, pur giocando 26
partite senza il suo totem francese. Anche qui bisogna dare atto al general
manager Dennis Lindsey di aver centrato almeno due mosse cruciali: la prima è
stata la scelta di Donovan Mitchell nel draft con il numero 13 e la seconda è
stata la trade di metà stagione con cui ha rinunciato a Rodney Hood e Joe
Johnson per avere Jae Crowder che ha allargato il campo e permesso a Snyder di
alzare l’aggressività della difesa. Un altro capolavoro è stato quello di
riuscire a giocare anche con Derrick Favors e Gobert assieme, in pratica due
centri.
Brett Brown (+11): i Sixers hanno vinto 24 partite in più
della stagione scorsa. In realtà questo progresso era atteso visto che Ben
Simmons è passato da zero a 81 gare giocate e Joel Embiid era stato utilizzato
per meno di metà regular season mentre ha giocato 63 partite quest’anno. Brown
ha anche sfruttato il supporto di un gruppo di veterani con contratti brevi
come JJ Redick, Marco Belinelli, Ersan Ilyasova e Amir Johnson. Tuttavia, i
Sixers erano pronosticati attorno alle 41 vittorie, invece ne hanno vinte 52 e sono
tornati nei playoffs con il fattore campo a favore. E la prima scelta Markelle
Fultz ha potuto dare poco o niente. Ci sono un paio di cose da dire di Brown:
ha portato i Sixers in alto senza deviare dall’obiettivo principale che è
quello di coltivare i suoi giovani fenomeni tant’è vero che il suo quintetto
base conta 25.4 anni di età media nonostante i 33 di Redick, e ha costruito la
quarta difesa della Lega, che con un roster giovane non è poco.
Mike D’Antoni (+11): ha vinto il titolo l’anno scorso. E’
molto improbabile che lo vinca una seconda volta. Eppure i Rockets hanno vinto
64 partite, 10 in più del pronosticato, e sono stati la miglior squadra della Lega.
L’innesto di Chris Paul ovviamente è stato decisivo ma non è sempre scontato
che l’addizione di una star ingombrante produca progressi tangibili soprattutto
arrivando in una squadra già fortissima, rodata e con un leader designato come
James Harden. Non c’è nulla di più difficile che compiere l’ultimo passo,
elevarsi dal rango di squadra di vertice a squadra da titolo. I Rockets ora lo
sono. D’Antoni merita di essere in questa conversazione.
Dwane Casey (+10): i Raptors sono da anni una squadra di
elite a Est ma erano pronosticati a quota 49 vittorie e invece ne hanno vinte
59, miglior record di conference per quanto favorito dai problemi dei Celtics.
Casey raccoglie tanti consensi perché Toronto ha modificato il modo di giocare
(più arioso, più moderno, più tiro da tre), ridotto la dipendenza dai big Kyle
Lowry e DeMar DeRozan e sviluppato i giovani. Sette dei primi 11 giocatori
hanno meno di 25 anni e sono oltre i trenta solo CJ Miles e Kyle Lowry. Con
questo roster, Casey ha messo assieme il secondo attacco della Lega e la quinta
difesa, un bilanciamento invidiabile. E’ vero che Toronto non ha subito
infortuni seri: solo OG Anunoby ha saltato un numero rilevante di partite ma
sempre dentro la normalità.
Terry Stotts (+10): Portland ha vinto otto partite in più
dell’anno scorso e 10 in più di quelle preventivate. Nonostante i Blazers siano
una squadra identificabile nel talento delle due guardie (oltre 48 punti in
coppia), la squadra ha una forte identità difensiva e ad un certo punto ha
vinto 13 gare consecutive. Stotts non raccoglie grandi consensi perché ci sono
allenatori che hanno vinto con più infortuni, con meno talento, o perdendo
giocatori importanti. Ma il cambio di passo, il rendimento difensivo e le
aspettative sono fattori da considerare.
Brad Stevens (0): i Celtics erano pronosticati a quota 55
vittorie, quelle che poi hanno conseguito. Ma come? Gordon Hayward è stato
impiegabile per una manciata di minuti; Kyrie Irving ne ha saltate 22, Marcus
Smart e Marcus Morris 28, Jaylen Brown 12. Con una squadra torturata dagli infortuni,
che aveva sacrificato profondità (Avery Bradley, Jae Crowder, Kelly Olynik,
Amir Johnson) per prendere due star, un quintetto da 25.4 anni di media,
comprensivo di due ventenni come Brown e il rookie Jayson Tatum, Brad Stevens
ha fabbricato la miglior difesa della Lega (100.4 punti concessi ogni 100
possessi) e vinto 55 partite. Il suo centro titolare era Aron Baynes. Un
capolavoro.
Gregg Popovich (-6): San Antonio doveva vincere secondo gli
statistici 53 partite. Ne ha vinte 47. Ma Tony Parker ha mancato 27 partite,
Manu Ginobili è stato centellinato e la stella della squadra Kawhi Leonard in
pratica non ha mai giocato. La situazione degli Spurs può ricordare quella dei
Celtics. Con la differenza che San Antonio gioca a Ovest. Qualche volta gli Spurs
vengono dati per scontati ma non lo sono. Oklahoma City quando ha giocato senza
Kevin Durant ha mancato i playoffs e aveva Russell Westbrook e Serge Ibaka.
Leonard sta agli Spurs come LeBron James ai Cavaliers. LaMarcus Aldridge ha
disputato una stagione strepitosa, forse la migliore della carriera, ma San
Antonio poteva affondare e Popovich non l’ha permesso. Non sarà allenatore
dell’anno ma ha fatto un lavoro straordinario comunque.
CHI ELIMINARE?: tutte le otto candidature sono corrette e
giustificate. Ogni ragionamento può condurre in direzioni diverse. Escluderei
subito Mike D’Antoni, con la morte nel cuore: Houston insegna, ha vinto
tantissimo ma, alla fine della storia, ha aggiunto un fenomeno come Chris Paul
(anche se ha saltato 25 partite). Eliminerei anche Popovich: non sono sicuro
sia giusto perché poche squadre vincerebbero 47 partite senza praticamente poter
utilizzare il miglior giocatore della squadra, anzi questa stagione è stata di
fatto la prima in carriera senza vere star di Popovich e ha dimostrato di poter
fare comunque la differenza, ma penso anche che la cultura, il sistema che ha
costruito abbiano reso più assorbibili i problemi. Terry Stotts ha fatto un
lavoro straordinario e poi ho un debole per la sua storia di primo americano
tagliato per motivi tecnici nella storia del basket italiano. Ma Portland per
me valeva più delle 39 vittorie preventivate. Ha fatto bene, ma non ha fatto un’impresa
con un giocatore che è trai primi dieci della Lega probabilmente. Infine
escludo Dwane Casey e qui so che molti non saranno d’accordo. Ha compilato il
miglior record della Eastern Conference, modificando il modo di giocare dei
Raptors, ha costruito una squadra efficace sui due lati del campo e con un
supporting cast di giovani, alcuni dei quali rookie autentici. In altre
stagioni avrebbe vinto a mani basse, ma non in questa. Il livello di difficoltà
superato da altri allenatori è stato troppo elevato per essere ignorato.
PERCHE’ NON McMILLAN: ci sono stati momenti in cui sono
stato tentato di preferirlo a tutti. La stagione dei Pacers è stata
sorprendente ma Victor Oladipo ha giocato almeno come aveva fatto Paul George l’anno
scorso e – ripeto – se Pritchard ha “vinto” o comunque non ha “perso” lo
scambio con Sam Presti, penso debba essere considerato come executive dell’anno.
Il che automaticamente riduce i meriti – comunque enormi – di McMillan.
PERCHE’ NON BROWN: lo meriterebbe per la sofferenza di tante
stagioni perdenti. Dopo un anno da 52-30 resta incatenato al 31% di vittorie in
carriera. I Sixers hanno vinto molto più di quanto dovevano. In pratica hanno
saltato uno step. Ma chiunque possa acquistare senza cedere nessuno un Ben
Simmons e avere Joel Embiid per quasi un anno intero ha il dovere di vincere
molto. Lui l’ha fatto. Anche con un Fultz sostanzialmente inutile. Anche lui in
un altro anno avrebbe vinto, ma i Sixers sono davvero forti, forse anche
abbastanza forti da rendere “normali” le 52 vittorie.
PERCHE’ NON SNYDER: in realtà non ho neppure una risposta.
Snyder è uno dei migliori allenatori del mondo. Allevato come giocatore e nei
primi passi da Mike Krzyzewski a Duke; enfant prodige a Missouri (capo allenatore
a 32 anni), travolto da uno scandalo un po’ come successe a Casey a Kentucky;
riemerso come assistente di lungo corso, anche al CSKA Mosca sotto Ettore
Messina con cui aveva lavorato ai Lakers; infine capo allenatore a Utah. Grande
difesa di squadra, attacco preciso, e poco star-power. I Jazz sembrano quelli
di Jerry Sloan negli anni ’90 senza Malone e Stockton. I Jazz sono rimasti
competitivi senza Hayward e sono esplosi quando hanno sostituito Hood con
Crowder, recuperato Gobert. Ma penso anche Donovan Mitchell sia un fenomeno che
ha reso la partenza di Hayward assorbibile. Non scelgo Snyder ma ritengo corretto
farlo.
AND THE
WINNER IS… Brad Stevens. Ha perso Gordon Hayward alla prima occasione
senza poterlo sostituire. L’infortunio sembrava dovesse cancellare i Celtics
dal vertice ma lui ha costruito la miglior difesa della Lega e ha tenuto con un
rookie e un secondo anno in quintetto, costretti ad assumersi responsabilità che
non dovevano avere. Poi ha perso anche Dan Theis, poi ha perso Marcus Smart e
infine anche Kyrie Irving. Un contesto tipico di una stagione “persa, da
archiviare come sfortunata e invece portata a termine con 55 vittorie. Molti
sono convinti che sia il miglior allenatore nella NBA attuale. Questa stagione
ha spiegato perché.
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