lunedì 22 agosto 2016

New York Basketball Stories 2.0: perché la nuova versione


Quando nell’ottobre 2015 tornai a New York con l'Olimpia Milano sentii Jamel McLean sospirare. "Non importa quante volte sei stato a New York perché è sempre come se fosse la prima". McLean è nato a Brooklyn. New York è davvero così. Una sorpresa continua. Cammini e senti parlare ogni lingua, incontri ogni tipo di persona e la metropolitana è quasi l'anello che congiunge uomini e donne dei più disparati strati sociali. Non esiste un luogo più di Times Square in cui un venerdì notte o un sabato sera puoi sentirti così al centro del mondo o nel cuore di tutto quello che succede. Cambiano i palazzi, chiudono negozi e ne aprono altri, ristoranti storici lasciano il posto a ristoranti nuovi. Catene di fast food e slow food. Librerie che vanno e che vengono. Ogni visita a New York scopri un mondo diverso. Immaginate nel basket: lo sport che distingue New York per la sua natura urbana, le sue origini di strada, la sua matrice afroamericana o anche solo perché i Knicks giocano al Madison Square Garden e quindi sono la squadra del mondo. La prima versione di questo libro era stato un atto di amore nei confronti della città. Era una New York ferita dall'attentato alle Torri Gemelle. Pochi mesi dopo, camminando una sera per Manhattan, ero stato avvolto da un groppo alla gola. Le strade erano deserte. La città triste. Non era una sera di punta, forse era addirittura un lunedì sera, ma non avevo mai visto New York così afflitta. Così abbattuta. Mi apparve quasi rassegnata e ovviamente non lo era. Certo guardavi sud e non vedevi più le Twin Towers, non belle ma imponenti. Troneggianti. Erano un punto di riferimento. Quel buco, in parte riempito, fa ancora male.