mercoledì 28 febbraio 2018

Il giorno maledetto in cui perdemmo Drazen Petrovic



Dove eravate – se c’eravate visto che parliamo del 1993 – quando Drazen Petrovic perse la vita su un’autostrada tedesca? Cosa stavate facendo quando la notizia vi arrivò sulla mascella come un terribile colpo da knock-out? Era il giugno del 1993. Io ero a JFK, l’aeroporto di New York, in attesa del volo per Phoenix dove l’indomani avrei assistito alla prima partita della Finale NBA tra i Bulls e i Suns. Avevo lasciato l’Italia molte ore prima quando la notizia non era ancora diventata di dominio pubblico. A New York acquistai una copia di USA Today, la meravigliosa versione statunitense che da noi arrivava in formato ridotto, con le sue quattro o cinque sezioni complete, quella sportiva strepitosa. Davide Dupree era la prima firma del primo quotidiano americano autenticamente nazionale. Il grande Peter Vecsey scriveva tre volte alla settimana il suo “Hoop du Jour”, la rubrica più potente che sia mai stata scritta nel basket americano ma potrei dire mondiale. A quei tempi le notizie le apprendevi così: seppi che Drazen era morto acquistando USA Today.

domenica 25 febbraio 2018

La multa a Cuban: il problema del tanking non si risolve ignorandolo

Mark Cuban ha vissuto una settimana infernale: un'indagine di Sports Illustrated ha smascherato una cultura da "Animal House", come è stata etichettata negli uffici dei Dallas Mavericks, con reiterate, sgradevoli storie di molestie a sfondo sessuale per le quali ha dovuto scusarsi e licenziare persone autoaccusandosi delle mancanze del sistema di controllo. Nel frattempo aveva avuto la cattiva idea di ammettere, in un'intervista radiofonica concessa a Julius Erving, nientemeno, che la miglior opzione per i Mavs è perdere il maggior numero possibile di partite. La dichiarazione gli è costata 600.000 dollari. La più alta multa mai comminata ad un proprietario. Ritocca il mezzo milione che gli venne inflitto per aver attaccato l'allora responsabile degli arbitri Ed Rush.

sabato 24 febbraio 2018

Trust The Process: a che punto siamo Philadelphia?



E’ molto probabile che a South Philly quest’anno si giocheranno partite di playoffs. Magari non molte, partendo dalla posizione attuale, la settima nella Eastern Conference, ma è significativo perché per la prima volta da molti anni i Sixers non stanno giocando solo per il futuro. Un possibile scontro di post-season con i Boston Celtics sarebbe un trionfo per i nostalgici dell’era in cui due delle franchigie storiche della Lega si contendevano su base annua l’accesso alla Finale NBA. Per otto anni, dal 1980 al 1987, l’Est è stato rappresentato in Finale dai Sixers o dai Celtics. L’ultimo titolo vinto da Philadelphia risale al 1983, l’ultima Finale al 2001, all’apice dell’era firmata da Allen Iverson. Non è un mistero che il futuro dei Sixers sia spettacolare: tre dei giocatori del quintetto base hanno 23 anni o meno, due di essi hanno potenziale da MVP (Joel Embiid e Ben Simmons; il terzo uomo è Dario Saric), un quarto ha 27 anni (Robert Covington). In altre parole, hanno il personale e l’età per competere al vertice per i prossimi 10 anni con una squadra costruita attorno a tre o quattro giocatori già presenti nel roster tra i quali solo Covington è già al top del proprio rendimento. L’unica vera incognita è rappresentata dal fisico di Embiid, che tecnicamente sarebbe al quarto anno nella Lega ma di fatto è poco più di un rookie.

sabato 17 febbraio 2018

Perché Andre Roberson era così importante a Oklahoma City



Può una guardia da 5.0 punti di media e il 22% nel tiro da tre rivelarsi il giocatore più importante di una squadra NBA potenzialmente di vertice? Il caso Andre Roberson è singolare: per mesi è stato considerato – con tutto il rispetto per la sua straordinaria attitudine difensiva – l’anello debole del quintetto degli Oklahoma City Thunder. Lui è il giocatore che gli avversari mandano in lunetta volontariamente, che ignorano completamente quando è in attacco sfidandolo a tirare per difendere in cinque contro gli altri quattro. Nelle cinque gare giocate contro Houston nei playoff del 2017, Roberson ha fatto il 14.3% dalla lunetta eseguendo 5.5 liberi di media, tantissimi. I Rockets lo mandavano in lunetta come strategia con risultati eccellenti. In altre parole, i suoi problemi come tiratore obbligavano il Coach Billy Donovan a sostituirlo in certi momenti per reinserirlo solo negli ultimi due minuti quando l’”hack” premeditato non è più consentito. I limiti di Roberson come tiratore sono imbarazzanti. Quest’anno prima di infortunarsi in modo definitivo aveva il 31.6% dalla lunetta e il 22.2% da tre punti. Eppure…

venerdì 9 febbraio 2018

I Cavs scommettono che la cessione di IT ai Lakers non sarà un autogol



Quindi i Cleveland Cavaliers hanno consegnato ai Los Angeles Lakers i mezzi per provare davvero a convincere LeBron James a trasferirsi sulla Costa Ovest. Non sarà possibile valutare la clamorosa ristrutturazione della squadra operata oltre la metà della stagione dai Cavs fino a che non conosceremo la decisione di LeBron quando sarà free-agent il prossimo primo luglio. Per il momento, il nuovo general manager Koby Altman ha alzato la pressione su sé stesso in modo incredibile. 

giovedì 8 febbraio 2018

L'infortunio di KP: cosa significa per i Knicks



Può essere che tra qualche anno l’infortunio occorso a Kristaps Porzingis e i 10 mesi in cui – minimo, perché è ipotizzabile un approccio prudente al rientro – sarà assente venga ricordato come il momento della svolta nella storia dei Knicks. Oggi come ha detto il general manager Scott Perry è normale avvertire solo tanto dispiacere per il ragazzo.

domenica 4 febbraio 2018

Quale futuro per DeMarcus Cousins, i Pelicans e AD?



La rottura del tendine d’Achille che impedirà a DeMarcus Cousins di giocare nel suo quarto All-Star Game consecutive ha potenti ripercussioni sul futuro suo, dei New Orleans Pelicans e di conseguenza del giocatore che tutti i club con aspirazioni di titolo seguono a distanza nel caso dovesse muoversi: Anthony Davis.

giovedì 1 febbraio 2018

Blake Griffin: il punto di vista di Detroit



Detroit aveva bisogno di un colpo. Blake Griffin lo è. Il tempo a disposizione di Stan Van Gundy, allenatore ma anche presidente dei Pistons, per mostrare qualcosa di promettente stava per scadere. In quattro anni è chiaramente sotto il 50% di vittorie, vanta una sola partecipazione ai playoff e nessuna vittoria in post-season. In ogni caso non sembrava più così saldo e aveva necessità di fare qualcosa che invertisse la rotta, nel momento in cui la squadra si è trasferita nel cuore di Detroit – downtown è stata riprogrammata dopo un lungo periodo di difficoltà in cui la città era di fatto fallita – ma non era di moda.