Fa un certo effetto sentir definire James Harden il nuovo point-guard degli Houston Rockets. Come ha detto Mike D'Antoni forse sarebbe più opportuno definirlo "points guard" con la s nel senso che segnerà molti punti. Ovviamente la definizione del ruolo è relativa. Harden non sarà mai, né gli chiederanno di esserlo, John Stockton o Rajon Rondo. Harden sarà ovviamente una scoring-guard e d'altra parte ha portato palla e gestito il possesso spesso anche in passato inclusa l'ultima stagione.
Opinioni, analisi e i miei libri: il mondo del basket americano visto da me di Claudio Limardi
venerdì 30 settembre 2016
NBA Preview: dietro la scelta di Harden come point-guard di Houston
Fa un certo effetto sentir definire James Harden il nuovo point-guard degli Houston Rockets. Come ha detto Mike D'Antoni forse sarebbe più opportuno definirlo "points guard" con la s nel senso che segnerà molti punti. Ovviamente la definizione del ruolo è relativa. Harden non sarà mai, né gli chiederanno di esserlo, John Stockton o Rajon Rondo. Harden sarà ovviamente una scoring-guard e d'altra parte ha portato palla e gestito il possesso spesso anche in passato inclusa l'ultima stagione.
giovedì 29 settembre 2016
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Walt Frazier
Da New York Basketball Stories 2.0
1:
Walt Frazier. Volendo aprire un dibattito favorevole a
Ewing dovrei dire che il suo “supporting cast” non è paragonabile a quello che
aveva Reed e quindi avevano gli altri giocatori degli anni ’70. Ewing ha
giocato con John Starks e Charles Oakley; poi con Allan Houston e Larry
Johnson; infine anche Latrell Sprewell. Ma nel complesso non ha mai avuto una
vera seconda punta. Houston e Larry Johnson lo hanno affiancato quando lui
aveva 34 anni ed era fisicamente in declino. Quando è arrivato Sprewell ne
aveva 37. Non è mai stato in dubbio, tranne nell’ultimissimo periodo, che Ewing
fosse il miglior giocatore dei suoi Knicks. E non ci sono mai stati con lui
All-Star perenni. La squadra di Reed e Walt Frazier aveva almeno cinque se non
sei giocatori di primo livello.
martedì 27 settembre 2016
lunedì 26 settembre 2016
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 King e Ewing
Da New York Basketball Stories 2.0
4:
Bernard King. Parlando di rendimento strettamente
individule, King potrebbe anche finire più in alto, magari anche al primo
posto. Purtroppo, complici un infortunio catastrofico e la fretta di cederlo al
rientro, ha giocato a New York solo quattro stagioni. In quel periodo ha avuto
26.5 punti di media, 5.2 rimbalzi, il 54.3% nel tiro dal campo. Nei playoffs
viaggiava a 31.0 di media con il 57.5% al tiro. Mostruoso. Nel 1984/85, prima
di infortunarsi con 27 partite rimaste da giocare, ebbe 31.6 punti per gara,
abbastanza per vincere la classifica marcatori. Nei playoffs del 1983/84, in
cui New York giocò 12 partite, King segnò 34.8 punti di media. Stiamo parlando
di un realizzatore-tiratore (non solo punti ma anche percentuali alte) degno di
essere considerato in qualsiasi classifica storica. Superiore a Carmelo
Anthony. Due volte è stato incluso nel primo quintetto All-NBA della stagione.
Resta il rammarico di come sarebbe stato percepito se – a parte i problemi di droga
che lo soverchiarono prima di arrivare a New York – non si fosse infortunato e
avesse aggiunto almeno due anni da star alla sua milizia presso i Knicks. Da
notare che nel 1985, quando lui era fuori, arrivò Patrick Ewing. La coppia
King-Ewing sarebbe stata irreale.
venerdì 23 settembre 2016
La rivoluzione di Kevin Garnett
Kevin Garnett si ritira nello stesso anno in cui si è ritirato Tim Duncan, alla stessa età, 40 anni, con quattro titoli in meno, un rendimento paragonabile al suo e una carriera iniziata due anni prima. KG si è ritirata da "elder statesman" della Lega, da mentore di Karl-Anthony Towns, il suo erede, ma ai tempi in cui sbarcò nella NBA era "The Revolution".
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Guerin e DeBusschere
6:
Richie Guerin. Il primo giocatore dei Knicks ad avere la
maglia ritirata. Ha giocato otto stagioni a New York, dov’era nato e cresciuto,
con 20.1 punti di media, 5.3 assist e 6.4 rimbalzi. In quel periodo fu tre
volte secondo quintetto All-NBA. Lui, come Gallatin, si è portato dietro il
cruccio di non aver dato ai Knicks il titolo che poi sarebbe arrivato nel 1970.
mercoledì 21 settembre 2016
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Monroe e Gallatin
8:
Earl Monroe. “The Pearl” arrivò a New York dopo il
primo titolo vincendo in coppia con Walt Frazier quello del 1973. Il suo
problema è che per adattarsi a Frazier e ad una squadra già rodata ha dovuto
sacrificare molto del suo talento. Per dire: nel 1969 Monroe fu primo quintetto
All-NBA a Baltimore. A New York non ha ottenuto alcun riconoscimento
individuale. Ai Bullets nei playoffs segnava 24.3 punti per gara, a New York
14.4. Però ha pur sempre vinto un titolo da starter e ha giocato a New York
nove stagioni con 16.2 punti di media e 3.5 assist.
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Bradley e Houston
Da New York Basketball Stories 2.0
10: Bill Bradley. Il ruolo di Bradley nella storia dei Knicks (maglia ritirata ad esempio) è da sempre oggetto di discussione. I numeri dicono: 12.4 punti di media con 3.4 assist in 10 anni. Lui, Reed, Frazier, DeBusschere sono stati le pietre angolari dei due titoli, 1970 e 1973, in un periodo in cui i Knicks giocarono tre finali ed erano la squadra di riferimento della Lega. In più le cifre non rendono giustizia alla sua intelligenza tattica (era l’assistente di Red Holzman quando gli assistenti non esistevano) e alla sua efficacia difensiva. Probabilmente senza la sua capacità di passare, vedere il gioco e difendere non ci sarebbero stati i Knicks degli anni ’70 in termini di filosofia, coesione, stile.
martedì 20 settembre 2016
Antetokounmpo da clandestino a 100-million dollar man
The Greek Freak, Giannis Antetokounmpo ha firmato un contratto da 25 milioni di dollari a stagione, 100 complessivi (con uno sconto di riconoscenza di sei milioni ovvero quelli che separano l'accordo dal salario massimo) per quattro anni con Milwaukee, di cui è diventato uomo franchigia, il simbolo e la ragione dello slogan Own The Future adottato dal club. Un bel salto in avanti per un ragazzo che fino ai 18 anni di età ha vissuto ad Atene insieme alla famiglia originaria della Nigeria da clandestino. Ha avuto il passaporto quando le attenzioni della NBA sono diventate pressanti e le grandi squadre di Atene rinunciarono a reclutarlo perché sarebbe stata una perdita di tempo (infatti Antetokounmpo il primo vero contratto l'ha firmato per Saragozza che non l'ha mai avuto. Viceversa è cresciuto nel Filathlitikos).
lunedì 19 settembre 2016
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Barnett e Oakley
12:
Dick Barnett. Membro eternamente sottovalutato dei
Knicks del 1970. Aveva 34 anni, faceva la guardia titolare e in quei playoffs
del titolo ebbe 16.9 punti di media. In nove anni a New York ha segnato 15.6
punti con 2.9 assist. Ed era al massimo la terza opzione offensiva, forse la
quarta. E’ persino discutibile che non debba figurare davanti a Bill Bradley o
Allan Houston.
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15 Bellamy e Sprewell
Da New York Basketball Stories 2.0
14:
Walt Bellamy. Cifre alla mano potrebbe figurare molto
più avanti in classifica. In quattro anni ai Knicks ha confezionato 18.9 punti
e 13.3 rimbalzi di media (19.3 e 16.2 nelle due edizioni dei playoffs giocate).
La valutazione risente della permanenza, non lunghissima, ma soprattutto quando
Bellamy se n’è andato cedendo il posto a Willis Reed, ecco quello è stato il
momento in cui New York è esplosa incamminandosi verso due titoli e tre finali
nell’arco di quattro anni.
sabato 17 settembre 2016
New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15, John Starks
Da New York Basketball Stories 2.0
Anche se hanno vinto poco, pochissimo, nella loro
storia, i Knicks hanno avuto un ruolo dominante nella storia della NBA e non
sono mai stati poveri di stelle. Lo “star power” ha sempre affascinato i loro
dirigenti. La classifica ovviamente lascia il tempo che trova ma rappresenta
comunque un motivo di discussione. Nel compilarla ho tenuto conto di alcuni
fattori da chiarire prima: rendimento ai Knicks, non nel corso della carriera
(questo spiega la posizione di Earl Monroe, altrimenti più elevata, o l’esclusione
di Larry Johnson e Bob McAdoo ad esempio), privilegia i risultati di squadra
(per questo Willis Reed davanti a Patrick Ewing, per questo ci sono Bill
Bradley e Dick Barnett ma non McAdoo e Spencer Haywood), la permanenza ai
Knicks (penalizza Walt Bellamy ad esempio che ha numeri da Top 5 ma una milizia
di quattro stagioni di cui solo due concluse
con i playoffs), il contesto (l’inclusione nei quintetti All-NBA è
importante perché metro di confronto con gli altri giocatori dell’epoca).
venerdì 16 settembre 2016
Perché Kobe Bryant ha vinto un solo trofeo di MVP?
Kobe Bryant ha giocato 20 stagioni nella NBA. Nel 70-75% di quelle stagioni i suoi Lakers erano abbastanza ambiziosi da puntare più o meno dichiaratamente al titolo tant'è che con lui in campo hanno disputato sette finali di cui cinque vinte. Kobe si è espresso a livelli talmente alti da essere considerato unanimemente uno dei più grandi giocatori della storia in una posizione identificabile tra una Top 5 (forse esagerata) e una Top 15 (decisamente condivisibile). Ma allora perché ha vinto solo un trofeo di MVP? Nel corso della sua carriera Steve Nash ne ha vinti due. Stephen Curry due. Kevin Durant e Dirk Nowitzki uno come lui e LeBron James addirittura quattro. Possibile oggettivamente che sia stato il miglior giocatore solo nella stagione 2007/08?
domenica 11 settembre 2016
Yao Ming, il gigante unico che ha trasformato il basket cinese
C'è sempre stata grande infatuazione per i giganti del
basket ovvero le armi totali, i centri altissimi e come conseguenza della loro
taglia virtualmente immarcabili. Ma la realtà è sempre stata molto diversa. I 2.20
nel basket raramente sono stati efficaci e mai per periodi di tempo estesi e a
patto di aver sviluppato una coordinazione e un equilibrio adeguati. Kareem
Abdul-Jabbar era 2.18 ma era snello, leggero, lo è persino adesso. Lo disse
Coach Jeff Van Gundy quando a Houston allenava Yao Ming, appena entrato nella
Hall of Fame. La stazza di Yao Ming è stata il motivo del suo approdo nella NBA
da prima scelta assoluta nel 2002 e da miglior giocatore cinese di tutti i
tempi. Ma è diventato una star per come questa taglia fisica era abbinata alle
qualità tecniche salvo diventare poi il motivo di tanti infortuni che ne hanno
ridotto la longevità. Giocare nella NBA quando sei oltre i 2.20 e pesi 140
chili non è facile. Sembra paradossale ma nel basket moderno difensivamente sei
un problema perché puoi difendere il pick and roll in un modo solo ovvero
restando piantato in mezzo all'area. Poi essendo un saltatore lento Yao Ming
non era neanche un Rim Protector. Arvydas Sabonis aveva caratteristiche simili, meno interno, più dotato di tiro da fuori e ball-handling. Anche la sua carriera è stata condizionata in modo traumatico dagli infortuni.
sabato 10 settembre 2016
Shaquille O'Neal, The Most Dominant della sua generazione
Shaquille O’Neal si era autoproclamato MDE, Most Dominant
Ever, una definizione che si adatta bene al tipo di giocatore che è stato. E’ impossibile
paragonare un centro fisico come lui a giocatori di perimetro. Non sarebbe mai
stato possibile considerarlo il migliore di sempre o anche di una generazione
di giocatori. E’ il destino dei centri e O’Neal era quanto di più puro possa
essere considerato un centro. O’Neal giocava dentro l’area, profondo, e di
fisico, di forza, potenza, anche se poi aveva un discreto gancetto e sapeva
usare bene il tabellone.
venerdì 9 settembre 2016
Il fascino perverso e irresistibile del dolce diavolo Allen Iverson
Devono essere trascorsi almeno cinque anni dalla sua ultima partita perché un giocatore venga eletto nella Hall of Fame che in America non è un referendum di popolarità o un gioco da bar. È una cosa seria. Per questo fa davvero impressione che Allen Iverson sia ora un membro dell'Arca degli immortali. Ora che sembra ma non è più un ragazzino anche se continua a sfuggire alle giacche, ovviamente alle cravatte. Anche se sotto la giacca adesso arancione e veramente brutta consegnata ai nuovi eroi di Springfield aveva l'immancabile t - shirt e la solita collana d'oro.
Allen Iverson è stato un giocatore iconico, il più apprezzato da Philadelphia, un posto spietato che non ha mai risparmiato nessuno. Non ha mai "imbrogliato", ha sempre dato tutto. Non era un grande lavoratore, non si allenava d'estate, non frequentava la sala pesi, andava in campo a 1.83 di statura e 75 chili di peso forma. Ma in partita era un gladiatore.
giovedì 8 settembre 2016
L'indimenticabile Walt Frazier
Reed fu nominato MVP della finale sulla scia della straordinaria prova di coraggio fornita in gara 7 ma come ebbe a dire anche Chamberlain, forse per una sorta di autodifesa (in fondo avrebbe dovuto essere lui ad approfittare della condizioni fisiche menomate di Reed), può non essere il miglior giocatore un uomo che segna 36 punti e distribuisce 19 assist? Quel giocatore era Walt Frazier, scelto nel draft del 1967, l’ultimo curato da Red Holzman come scout.
mercoledì 7 settembre 2016
Welcome to Rucker Park
La 42nd Street taglia in due Midtown, dall’Hudson
River all’East River. Percorrendola da ovest verso est si parte da Port
Authority, la stazione degli autobus, e si arriva a Grand Central dalla parte
opposta. Ma per andare ad Harlem conviene partire proprio da Port Authority,
dalla stazione della metropolitana coincidente, prendere la linea blu, fare
attenzione, salire sul treno “C” perché è quello che effettua tutte le fermate
e soprattutto ferma sulla 155th Street proprio a St.Nicholas, proprio a Rucker
Park. Il viaggio richiede una ventina di minuti, non di più. Il Rucker Park è
ad un isolato di distanza dalla stazione della metropolitana, all’incrocio con
il Frederick Douglass Boulevard come qui si chiama la 8th Avenue. Il campo è
recintato, circondato da una tribuna a tre file, facilmente riempibile.
All’esterno alberi altissimi e un vero e proprio parco, ristrutturato nel 1993
per la modica domma di 423.000 dollari, che separa la miseria di Uptown dal
fascino del playground più ricco di storia al mondo, dove vieni accolto dal
classico cartello verde che all’esterno di ogni playground ti racconta dove
sei: Holcombe Rucker Park.
martedì 6 settembre 2016
Shaq, LeBron, Wade chi è stato il più importante a Miami?
Pat Riley diventò allenatore e presidente dei Miami Heat nel 1995 dopo quattro anni ai Knicks. Fu un colpo clamoroso e per convincerlo Mickey Arison, il proprietario del club, gli cedette addirittura una quota della franchigia.
Da allora Riley ha costruito in 20 anni a South Beach tre diverse squadre da titolo. La prima fu costruita attorno a Tim Hardaway e Alonzo Mourning ma non andò oltre la finale di conference del 1997. Erano gli anni dei Bulls di Michael Jordan e superarli era quasi impossibile. Gli Heat subirono due colpi da ko tra l'altro. Convinsero Juwan Howard, una star emergente a giocare per loro, ma la Lega annullò l'operazione per circonvenzione del salary cap. Riley era stato troppo creativo nel tentativo di pagare Howard senza pesare sul cap. Il secondo colpo basso fu la malattia ai reni di Mourning. Dovette ritirarsi, poi tornò e venne scambiato ai Nets durante una sorta di ricostruzione della squadra. Infine Mourning rientrò alla base a fine carriera per vincere il titolo del 2006 da cambio di Shaquille O'Neal.
lunedì 5 settembre 2016
E se i Lakers avessero davvero scambiato Kobe per Grant Hill?
Phil Jackson ha svelato in una recente intervista-diario all'unico giornalista di cui si fidi, Charley Rosen, che nel corso della stagione 1999-2000 "per qualche minuto anzi secondo" ha valutato la possibilità di cedere Kobe Bryant ai Pistons in cambio di Grant Hill. Pensate a come sarebbe cambiata la storia della NBA se l'affare fosse stato consumato. Oggi può sembrare una follia ma all'epoca non lo sarebbe stata per nulla. Bryant era un 21enne emergente, fortissimo e con grandi margini di miglioramento ma Hill era a sua volta una star affermata, nella miglior stagione della carriera.
sabato 3 settembre 2016
Ora Dennis Schroder vale 70 milioni di dollari
Alla fine della scorsa stagione, Dennis Schroder (non Schroeder ok...) aveva espresso il
desiderio di diventare il playmaker titolare degli Atlanta Hawks. Nel momento
stesso in cui l’ha fatto ha creato un inevitabile dualismo – che stava già
montando - con Jeff Teague. Il problema è stata risolto a monte, cedendo Teague
ad Indiana. Adesso Schroeder può confermare i propri progressi e gestire la
squadra full-time. E’ una delle grandi novità degli Atlanta Hawks della nuova
stagione, a parte ovviamente il ritorno a casa di Dwight Howard.
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