lunedì 30 ottobre 2017

Phoenix Suns: da Isaiah Thomas a Devin Booker

LA CESSIONE DI THOMAS - Isaiah Thomas aveva 16.4 punti e 4.1 assist di media quando i Suns lo cedettero a Boston piuttosto che resistere e limitarsi alla cessione di Dragic. Thomas era all'inizio di un contratto nuovo, mediocre e con scadenza 2018. Non c'era alcuna necessità di cederlo. Lo scambio venne effettuato con la complicità di Detroit. Girarono alcuni diritti di scelta e i Suns ebbero la chiamata di Cleveland del 2016 che poi sarebbe diventata Skal Labissiere ma a Sacramento.

domenica 29 ottobre 2017

Il crollo dei Suns: l'esperimento dei tre playmaker

Come general manager McDonough, scuola Boston come Darryl Morey di Houston, crede che i point-men non siano mai troppi. I Suns delle 48 vittorie del 2014 avevano due point-man. Dopo aver ripreso Dragic da Houston, Phoenix ottenne Eric Bledsoe dai Clippers all'interno di uno scambio complicatissimo. Nell'estate del 2014, non contento di quanto avesse, McDonough andò a prendere dai Sacramento Kings anche Isaiah Thomas.

Phoenix Suns: la storia di un crollo

Nessuno dei 30 club NBA aveva cambiato allenatore in estate, una sorta di record che inevitabilmente  era preludio ad un inverno movimentato. Ma nessuno poteva pensare che Phoenix staccasse la spina ad Earl Watson dopo tre partite.
La tempistica e i modi, quello che il licenziamento ha poi generato - la rottura con Eric Bledsoe - ha scoperchiato la pentola delle critiche nei confronti di Robert Saver, il proprietario del club, e in generale dei Suns. Da un lato Watson - che ha avuto una apprezzata carriera da journeyman nella NBA - era ritenuto una scelta prematura come allenatore e in quanto tale suscettibile di fallimento (la sua esperienza di panchina era un anno e mezzo da assistente quando ha ricevuto l'incarico). Dall'altro il licenziamento è stato ovviamente troppo rapido per essere anche comprensibile. E così è sembrato pensarla anche Bledsoe, finito fuori squadra e in attesa di cessione.

giovedì 19 ottobre 2017

New York Basketball Stories 2.0: la dinastia dei Marbury



Donald Marbury a Coney Island lo chiamavano “The Major”, il Sindaco, perché aveva personalità e godeva di rispetto negli anni della gioventù. Era un uomo “cool”. I migliori giocatori di Coney Island uscivano sempre da casa sua. Tutti i figli di Donald Marbury arrivavano a giocare in college di prima divisione, prima o poi, ma nessuno di loro era abbastanza disciplinato, forte nella testa o abbastanza bravo per trasformare questo talento in qualcosa di produttivo. Finché non arrivò Stephon.

mercoledì 18 ottobre 2017

Gordon Hayward, la caviglia da 128 milioni di dollari

128 milioni di dollari in quattro anni si sono volatilizzati su un passaggio alley-oop e un contatto con LeBron James che ha determinato una caduta scomposta e la rottura terrificante della caviglia. Una delle visioni più brutte di questi anni quasi come l'infortunio di Paul George in nazionale o quello che ha cambiato la carriera di Shaun Livingston.

D'Antoni può resistere a tutto ma non alle sue idee

Pochi allenatori al mondo sono identificati da uno stile di gioco e un modo di allenare come Mike D'Antoni. La prima partita della stagione è solo questo: una partita. Ma D'Antoni ha subito superato il limite di utilizzo di 32 minuti che aveva concordato con James Harden e Chris Paul (che ha avuto anche qualche problema al ginocchio altrimenti avrebbe giocato anche più di 33 minuti).

domenica 15 ottobre 2017

New York Basketball Stories 2.0: Dollar Bill Bradley



Bradley veniva da un piccolo paese del Missouri, Crystal City, figlio del banchiere locale e di una ex giocatrice dai gusti raffinati che raddoppiava gli impegni scolastici del figlio con lezioni di musica, di lingue straniere, di sport improbabili. Il piccolo Bill era un prodigio a scuola e un giocatore di basket sorprendente. Non aveva talento atletico e non superò i 195 centimetri di statura. A livello professionistico sarebbe stato considerato piccolo e lento. Ma negli anni di Crystal City si allenava senza soluzione di continuità. Non si concedeva un minuto di riposo, di sosta, di svago. Bill Bradley contro il canestro, anche di notte, senza luci, perché migliorava il suo fiuto per il canestro. Lavorava sul palleggio usando occhiali che gli impedissero di guardare il pallone mentre cambiava mano. Passeggiava accanto alle vetrine dei negozi e senza voltare la testa cercava di memorizzare tutto quello che vedeva. Poi tornava indietro per capire cosa gli fosse sfuggito. Allenava la visione periferica.

lunedì 9 ottobre 2017

New York Basketball Stories 2.0: la scomparsa del Falco Hawkins

Nei giorni scorsi è morto a 75 anni Connie Hawkins, Il Falco. Ecco com'era stato descritto in "New York Basketball Stories 2.0".


Una volta ad Harlem assegnarono ad Hawkins il trofeo di MVP di un torneo cui non avrebbe neppure partecipato “perché ad Harlem se dai un titolo di MVP puoi darlo solo ad Hawk”, la geniale spiegazione. Connie ebbe almeno la bontà di presenziare alla cerimonia di consegna del trofeo e poi di giocare l’All-Star Game.
Hawkins era ovviamente un giocatore NBA e anche uno dei migliori, un’ala di 2.03, con apertura di braccia spaziali, che veniva da Beford-Stuyvesant a Brooklyn. Dominava a Rucker Park e anche alla Boys High School di Brooklyn, ma non aveva una buona istruzione, era un ragazzo ingenuo, che un giorno prese 200 dollari da Jack Molinas, sempre lui, senza immaginare fosse contro le regole. Quando l’episodio venne fuori, all’interno di una nuova indagine sulla corruzione nel basket universitario, Hawkins perse la borsa di studio ad Iowa che aveva cercato fino a quel momento di farlo passare per uno studente credibile. E assolutamente non lo era.

Il crollo dell'impero di Don Rick Pitino

Ricordo Rick Pitino ad un predraft camp di Chicago. Al Moody Bible Institute in centro. Aveva appena firmato per i Boston Celtics. Elegantissimo, dietro un canestro. Inavvicinabile. Il gilet bianco, pantaloni scuri, calzini e mocassini bianco latte. Pittoresco. La sua gang era formata da persone che gli dovevano il contratto più alto della loro vita. Lo servivano e riverivano. Era davvero Don Rick, il Padrino.

giovedì 5 ottobre 2017

Dove stanno andando i Lakers di Magic: Kyle Kuzma edition

I primi mesi di Magic Johnson alla guida dei Lakers non hanno prodotto fuochi d'artificio ma una serie di mosse prudenti e intelligenti (multa per tampering esclusa, un imbarazzante rookie mistake) che vanno ritenute promettenti perché consentono alla squadra di collocarsi in una posizione futura favorevole. Magic ha gli occhi puntati addosso: attualmente è in luna di miele con media e tifosi, in particolare perché lo è sempre stato, ma come executive è un debuttante e ha scelto come partner un altro debuttante. Rob Pelinka non è il primo agente a trasformarsi in general manager ma è il primo a farlo senza alcun periodo di apprendistato sotto coperta come ha fatto ad esempio Bob Myers a Golden State. Inoltre Jerry West passando ai Clippers ha fatto sapere con una punta di malizia che sarebbe stato felice di tornare al suo club ma in sostanza non l'hanno voluto. È normale che Magic non volesse una figura così forte alle spalle: West è una presenza forte ovunque ma ai Lakers lo sarebbe stato di più. Tuttavia questo aumenta la pressione.

Riuscirà Wade a far riposare di più l'indistruttibile LeBron?

Se Kevin Love vale il Chris Bosh di Miami - le sue cifre l'anno passato sono state superiori alle più alte mai avute da Bosh agli Heat, 19 punti e 11 rimbalzi di media - allora Cleveland ha rimesso i  piedi i Big 3 dei due titoli e quattto finali giocate a Miami. L'indistruttibile LeBron con Dwyane Wade.

mercoledì 4 ottobre 2017

Tante star e un solo LeBron James

Sulla carta LeBron James dovrebbe imboccare il viale del tramonto e dovrebbe farlo presto. Nel 2018 avrà 34 anni ma gioca nella NBA da 15, ha disputato otto finali, le ultime sette consecutive, e la stagione scorsa è stato il giocatore più impiegato della Lega. Ma se c'erano dubbi sulla legittimità della sua permanenza sul trono di miglior giocatore contemporaneo sono stati fugati paradossalmente dal momento più brutto ovvero la sconfitta 4-1 contro Golden State. In finale LeBron ha viaggiato in tripla doppia media e segnato 33 punti per partita. Nessuno aveva mai fatto così bene in una finale e soprattutto contro un avversario del livello dei Warriors.

martedì 3 ottobre 2017

Carmelo Anthony a OKC: All in One

Lo scambio per Carmelo Anthony non ha controindicazioni per i Thunder. Hanno sacrificato per averlo davvero poco. Doug McDermott è stato insignificante a OKC e con l'arrivo di Paul George sarebbe presumibilmente scomparso dalla rotazione. Enes Kanter era il miglior attaccante del secondo quintetto ma era ingiocabile nei playoffs a causa dei suoi straripanti limiti difensivi. Di sicuro è l'unico piccolo sacrificio concesso allo star power portato da Melo a OKC. Adesso i Thunder non hanno un cambio per Steven Adams ma nel basket di oggi è un limite sopportabile. Patrick Patterson potrebbe essere il centro da smallball dei Thunder, il ruolo che due anni fa aveva Serge Ibaka.