La notizia più
importante dell’estate degli Houston Rockets è stata l’estensione
contrattuale di James Harden. Non ha avuto la stessa eco di quella di Russell
Westbrook a Oklahoma City ma il concetto è lo stesso. Harden sarebbe andato a
scadenza un anno dopo Westbrook quindi i Rockets avevano meno urgenza di agire
e inoltre non si avvertiva lo stesso tipo di rischio. Ma il messaggio è stato
forte: Harden è al centro del progetto, il club crede in Harden e Harden nei
Rockets. In un’estate in cui non sono stranamente riusciti neppure a entrare
tra le cinque finaliste del Kevin Durant Derby, l’estensione di Harden è stato
un premio di consolazione non indifferente.
Il mercato dei
Rockets è stato soprattutto funzionale allo stile di gioco della squadra,
enfatizzato dall’arrivo di Mike D’Antoni. La partenza di Dwight Howard era da
ritenersi scontata: Howard non ha veramente legato con Houston, soffriva la
leadership di Harden come a Los Angeles soffriva quella di Kobe Bryant e Pau
Gasol e infine l’arrivo di D’Antoni, considerato il passato comune dei due e le
idee del coach “milanese”, ha sancito un divorzio che non è dispiaciuto nemmeno
ai Rockets. Altrimenti non si spiegherebbero le loro mosse. Tutte hanno spinto “contro”
Dwight Howard.
Ma una squadra senza
Howard è anche una squadra migliore? Questo è un concetto eterno nel basket
perché migliorare sottraendo è sempre auspicabile ma difficile. E qui entra in
gioco Clint Capela, il centro titolare, terzo anno di NBA, 22 anni, dei
Rockets.