La fine di “Lob City”, sancita dalla defezione di Chris Paul,
aveva messo i Clippers in una situazione molto difficile in estate, in mezzo al
guado tra la ricostruzione o il tentativo di rimanere ancora competitivi a
dispetto di una perdita devastante come quella del cosiddetto “Point-God” con
cui – va ricordato – comunque i Clippers non sono mai andati oltre il secondo
turno dei playoffs. In estate i Clippers non erano pronti ad arrendersi e accettare un ruolo minore, per
tanti motivi, alcuni commerciali (prezzi dei biglietti alzati, trattative in
corso per un nuovo impianto, la battaglia per la torta televisiva nella zona di
Los Angeles, i Lakers del nuovo corso), e altri più strettamente agonistici. In
fondo si erano illusi di essere più forti di quello che erano o forse erano stati
solo più sfortunati di altre squadre. Fatto sta che la perdita di Paul, in minima
parte compensata dai giocatori arrivati da Houston principalmente Lou Williams,
non ha convinto Steve Ballmer, il supermiliardario proprietario del club, a
staccare la spina e ripartire. I Clippers hanno provato a rimanere rilevanti prendendo
Danilo Gallinari – e non sono stati fortunati, visto che praticamente per ora
non ha giocato – e soprattutto estendendo Blake Griffin.
Opinioni, analisi e i miei libri: il mondo del basket americano visto da me di Claudio Limardi
martedì 30 gennaio 2018
sabato 27 gennaio 2018
La storia della finale di Monaco 1972 raccontata da Mosca
La finale olimpica di Monaco 1972 è stata probabilmente la partita
più famosa di basket più famosa, discussa, analizzata della storia. Certamente
non la più bella, neppure a livello olimpico, ma la più popolare. A Monaco,
pochi giorni dopo il massacro degli atleti israeliani nella palazzina di
Connollystrasse, gli USA persero la prima partita olimpica della loro storia
dopo sette medaglie d’oro e dopo aver sconfitto in semifinale proprio l’Italia
di Giancarlo Primo in modo inequivocabile. Ma la partita delle partite, in
piena guerra fredda, era quella contro l’Unione Sovietica che sconfisse Cuba in
semifinale. In sintesi la storia di quella partita è questa: l’URSS dominò in
lungo e in largo ma senza uccidere una gara giocata a ritmi molto bassi,
difensiva, con pochi canestri; gli USA si sbloccarono negli ultimi cinque
minuti di partita e completarono la rimonta quando la guardia Doug Collins –
che poi ebbe un eccellente carriera nella NBA sia da giocatore che da
allenatore – intercettò un passaggio, andò sparato a canestro e con tre secondi
da giocare subì un evidente fallo, punito con due tiri liberi. Claudicante,
Collins andò in lunetta con la benedizione del coach Hank Iba, un duro del
Missouri che aveva avuto una carriera leggendaria a Oklahoma State ma contro il
parere degli assistenti che avevano suggerito un’opportuna sostituzione. Il
ventenne Collins andò in lunetta e senza battere ciglio centrò entrambi i
liberi. E il resto è tutto quello che conta…
lunedì 15 gennaio 2018
Il ritiro della maglia numero 34 di Paul Pierce
Paul Pierce a terra
dolorante. Era gara 1 della Finale NBA del 2008. Scese il
gelo sull’arena. Quante possibilità avrebbero avuto i Celtics di vincere la
serie contro i Lakers se Paul Pierce fosse finito out nel cuore della prima partita? Ora i Celtics
ritireranno la sua maglia numero 34. Meritatamente. Quei Celtics avevano Kevin
Garnett e Ray Allen, anche Rajon Rondo. Ma i primi due erano arrivati in
estate, nella prima grande vendemmiata di mercato di Danny Ainge. Ma Pierce era
già lì, sempre a metà strada tra la cessione ad un club di alto livello che gli
permettesse di giocare per il titolo e il suo ruolo di bandiera dei Celtics, in
attesa che arrivassero i rinforzi. Nell’estate del 2007 arrivarono.
giovedì 11 gennaio 2018
NY Basketball Stories 2.0: Red Holzman
Andrew Fuzzy Levane non ha recitato una parte
particolarmente importante nella storia dei New York Knickerbockers, non
direttamente almeno. Ma tutta la carriera di Red Holzman, l’allenatore che ha
vinto più partite alla guida dei Knicks e l’unico che abbia vinto il titolo non
sarebbe mai decollata senza di lui. Nell’ultima delle sue autobiografie, “My
Unforgettable Season”, Holzman – scomparso nel 1998 – ammetteva che ogni lavoro
che gli sia stato offerto nella NBA è stato una conseguenza della sua amicizia
con Levane o della stima che questi nutriva per lui.
lunedì 8 gennaio 2018
The Lake Show, i più grandi dall'1 al 20
Solo i Boston Celtics hanno una storia paragonabile a
quella dei Los Angeles Lakers e un numero di giocatori “storici” competitivo.
Nell’anno in cui vengono ritirate le due maglie di Kobe Bryant e si è discusso,
si discute sul suo ruolo nella storia della franchigia, ho provato a stilare e
analizzare la mia Top 20 dei giocatori gialloviola, escludendo il periodo di
Minneapolis per evidente impossibilità di paragonare i giocatori di quell’epoca
alle successive e la totale mancanza di immagini che avrebbero potuto aiutare a
farsi un’idea almeno stilistica (di Jerry West e Elgin Baylor qualcosa esiste e
in più hanno giocato con e contro giocatori di generazioni più familiari, nei
primi anni ’70). Ovviamente sono classifiche soggettive, che lasciano il tempo
che trovano, non vogliono dimostrare nulla, sono opinabili ma proprio per
questo sono sempre state fatte e sempre verranno fatte.
Visto che siamo nel
regno dell’impossibile, sarebbe bella una partita tra i Top 10 dei Celtics e i
Top 10 dei Lakers. Immaginate i match-up iniziali: Bob Cousy, John Havlicek,
Larry Bird, Kevin Garnett, Bill Russell contro Magic Johnson, Jerry West, Kobe
Bryant, Elgin Baylor e Kareem Abdul-Jabbar. Dalla panchina: Sam Jones, Ray
Allen, Paul Pierce, Kevin McHale, Dave Cowens, Robert Parish per i Celtics;
Norm Nixon, Jamaal Wilkes, James Worthy, Shaquille O’Neal e Wilt Chamberlain
per i Lakers.The Lake Show, i più grandi: Magic Johnson
1 Magic
Johnson
(5
titoli, 3 MVP della Finale, 3 MVP, 10 All-NBA, 12 All-Star Game, 19.5 ppg, 11.2
apg, 7.2 rpg)
Spiegare perché Magic Johnson debba
essere considerato il miglior Laker di tutti i tempi significa soprattutto
spiegare perché l'onore non dovrebbe andare a qualcun altro. In parte è una
questione soggettiva: trovo legittimo che qualcuno possa scegliere Kobe,
Kareem, West o Shaq al suo posto. In termini di titoli vinti con i Lakers, lui
e Kobe sono pari. Negli ultimi tre Magic era chiaramente il giocatore di punta e nei
primi due andava considerato almeno alla pari di Kareem. Ma nel 1980 i Lakers
hanno vinto gara 6 della finale NBA a Philadelphia senza Kareem. Lui segnò 42
punti con 15 rimbalzi. Secondo la storia scritta da chi ha vinto, Magic
sostituì Abdul-Jabbar giocando da centro, in realtà i Lakers abbassarono il
quintetto e lui giocò assieme a tre esterni e in effetti venne accoppiato quasi
sempre al 4 dei Sixers (Caldwell Jones o Bobby Jones). Resta la prestazione
disumana.
mercoledì 3 gennaio 2018
The Lake Show, i più grandi: Kobe Bryant
2 Kobe
Bryant
(5
titoli, 2 MVP della Finale, 1 MVP, 15 All-NBA, 18 All-Star Game, 25.0 ppg, 4.7
apg, 5.2 rpg)
Kobe Bryant ha vinto cinque titoli
con i Lakers e giocato sette finali. In termini di vittorie è al top e due
finali le ha vinte da MVP. Nei tre titoli conquistati con O'Neal ha avuto un
ruolo importante e soprattutto nel 2000 forse decisivo (la vittoria di gara 4 a
Indianapolis con Shaq fuori per falli). La grande battaglia nella finale di conference del 2002 contro Sacramento ha richiesto il meglio dei Lakers, di Shaq, di Robert Horry e ovviamente di Kobe. Vittorie, longevità (20 anni nella
stessa squadra), record e personalità ne fanno un credibile "Best Laker
Ever" ma al tempo stesso non è neppure scontato che debba essere davanti a
Shaq, Kareem o West. Più di ogni altra cosa questo è un tributo alla grandezza
della storia del club.
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