Nel momento stesso in cui due estati fa Kevin Durant scelse
di portare il suo talento sulla Baia, istantaneamente le sue possibilità di
vincere un secondo MVP dopo quello conquistato con Oklahoma City nel 2014 si
sono ridotte. E per osmosi si sono ridotte anche quelle di Stephen Curry.
Succede sempre quando un superteam non ha un chiaro leader. A Miami era LeBron
James pur arrivando lui, da esterno, nella squadra di Dwyane Wade; ai Lakers di
inizio secolo il leader era Shaquille O’Neal e Kobe Bryant è diventato un
candidato MVP solo quando Shaq è stato ceduto a Miami; a Houston, Chris Paul è
andato a fortificare i Rockets che restano la squadra di James Harden. Durant
era il numero 1 a OKC. Probabilmente, Russell Westbrook non sarebbe mai stato
l’MVP della Lega se KD non fosse andato mai andato via. Forse.
Opinioni, analisi e i miei libri: il mondo del basket americano visto da me di Claudio Limardi
venerdì 30 marzo 2018
mercoledì 28 marzo 2018
MVP Review: il nuovo status di DeMar DeRozan
Può sembrare un’esagerazione includere DeMar DeRozan in una
qualsiasi conversazione sull’MVP di questa stagione soprattutto considerando le
cifre nude e crude. DeRozan, che è una guardia di alto livello da almeno cinque
anni, sta segnando circa quattro punti a partita in meno dei 27.3 di una
stagione addietro (record carriera) ed è passato da 5.2 a 3.9 rimbalzi per
gara. Va anche meno spesso in lunetta (da 8.7 viaggi a 7.2) e sarebbe
limitativo attribuire questa minor produttività al minutaggio. Dwane Casey lo
impiega 34 minuti di media, contro gli oltre 35 di un anno fa, un decremento
nel complesso trascurabile.
lunedì 26 marzo 2018
MVP Review: giocare a Portland penalizza Damian Lillard?
Damian Lillard ha 27 anni e per la quinta stagione
consecutiva sarà oltre i 20 punti di media oppure oltre i 25 per la terza. Eppure
resta un giocatore difficile da interpretare. In parte è una questione
logistica: Lillard ha giocato a Weber State dove l’esposizione è limitata, poi
è stato scelto nella seconda parte del primo giro del draft quindi con modeste
aspettative e infine è finito a Portland. Non è un mistero che giocare a tre
ore di fuso orario dalla costa est è penalizzante, soprattutto se non lo fai a
Los Angeles ma in un mercato limitato come quello di Portland. Avesse giocato a
New York è probabile – sicuro? – che la popolarità di Lillard sarebbe stata
diversa.
MVP Review: la candidatura tramontata di Giannis Antetokounmpo
Giannis Antetokounmpo per una porzione di stagione era stato
considerato un legittimo candidato MVP poi sono successe tante cose, ma soprattutto i Milwaukee Bucks sono scivolati
indietro nella classifica della Eastern Conference esattamente nella stagione
in cui, date le circostanze, avrebbero almeno potuto prendersi il vantaggio del
campo nel primo turno.
domenica 25 marzo 2018
MVP Review: nessuno può battere James Harden quest'anno
La corsa al titolo di MVP non è stata appassionante come un
anno fa quando il mondo si era diviso tra Russell Westbrook, James Harden e nel
finale prese quota la candidatura di Kawhi Leonard. Quest’anno Harden vincerà
con largo margine sul secondo classificato ed esiste una piccola possibilità
che come Steph Curry due anni fa vinca il titolo all’unanimità. Può starci:
Harden è il miglior giocatore della miglior squadra della stagione, quella che
ha stabilito il nuovo record franchigia di vittorie, ed è il miglior
realizzatore della Lega, oltre i 30 di media. Quest’anno Harden figurerà per il
quarto anno consecutivo nel primo quintetto All-NBA e in passato è arrivato due
volte secondo nella corsa all’MVP.
giovedì 22 marzo 2018
New York Basketball Stories 2.0: l'acquisto del nemico Monroe
Il 10 novembre 1971 invece i Knicks decisero di
eseguire un triplo salto mortale ed effettuare uno degli scambi più rumorosi
nella storia della NBA. Girarono Mike Riordan e Dave Stallworth a Baltimore per
ottenere niente di meno che Earl Monroe, il loro giustiziere dell’anno prima,
il grande avversario per anni, soprattutto di Walt Frazier.
NBA Finals Story 1990-1999: The Shrug
In gara 1 tutto quel che
fece Michael Jordan fu sparare, senza errori, dentro il canestro di Portland,
sei fucilate da tre punti. I Blazers lo invitarono al tiro. Come molti fecero
in quelle stagioni, anche a Portland pensarono che concedergli il tiro da fuori
fosse il minore dei mali. Almeno avrebbe evitato di caricare di falli gli
avversari attaccando l’area.
martedì 20 marzo 2018
Toronto Raptors: da Bosh e Bargnani a DeRozan, l'evoluzione
Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto
Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza
ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile
la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato
un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero
prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James
o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse
Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo
buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue
star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso
costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come
prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima
volta nella sua storia in finale.
domenica 18 marzo 2018
L'evoluzione del gioco dei Raptors
Nurse è uno degli assistenti di Dwane Casey, uno dei
sopravvissuti dei Raptors. Casey era un giovane assistente di Kentucky quando
una busta spedita da lui alla recluta Chris Mills (futuro discreto giocatore
NBA) contenente denaro saltò fuori in modo rocambolesco creando uno scandalo
che avrebbe dovuto spazzarlo via. Casey ripartì dal Giappone, era un reietto.
In seguito è riemerso prima da assistente (a Seattle ha fatto la finale del
1996, a Dallas ha vinto il titolo del 2011) e poi capo a Minnesota e infine
Toronto.
sabato 17 marzo 2018
La storia dell'ascesa dei Raptors
Nel 2009/10 i Toronto Raptors vinsero 40 partite e non si
qualificarono per i playoff. Bosh in quel momento vantava due apparizioni in
post-season e due eliminazioni al primo turno. Non c’era modo che quei Raptors
potessero diventare una squadra da titolo. E Bosh era la “spalla” più ricercata
della NBA nella stagione clamorosa di “The Decision”. Chris si accodò a Dwyane
Wade e LeBron James trasferendosi a Miami. I Raptors rimasero senza la loro
star e costretti a ricostruire. Tuttavia Colangelo aveva già gettato basi
importanti: nel 2009 aveva scelto DeMar DeRozan che nel primo anno senza Bosh
ebbe 17.2 punti per gara a 21 anni di età. Nei draft successivi alla fuga di
Bosh scelse Jonas Valanciunas e Terrence Ross. Nell’estate del 2012 acquistò da
Houston anche Kyle Lowry. Quando nel 2013 venne sostituito da Ujiri lasciò al
suo successore i tre quinti dello starting five di adesso inclusi i due
All-Star, più Ross che poi Ujiri avrebbe utilizzato per prendere Ibaka da
Orlando. Per quanto i Sixers di oggi siano considerati il frutto del lavoro di Sam
Hinkie e delle sue drastiche idee (Trust The Process) più che di Colangelo
(teoria rafforzata dal disastroso – al momento - scambio Fultz-Tatum con
Boston); al tempo stesso nei Raptors di oggi c’è molto di Colangelo. Ujiri ha
ricevuto una grande eredità e l’ha valorizzata bene.
venerdì 16 marzo 2018
Ecco come Toronto è diventata la miglior squadra dell'Est
Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima volta nella sua storia in finale.
giovedì 15 marzo 2018
La perdita del Re Saltatore di Charlotte, Henry Hi-Fly Williams
Questa è davvero dura da assorbire perché Henry Williams
aveva solo 47 anni, perché tutti noi siamo stati testimoni della sua intera
carriera professionistica, pensando che nella NBA erano stati pazzi a non
accettarne i limiti di taglia fisica per prendere tutto quello che sapeva fare
con il suo tiro mancino, l’esplosività, la straordinaria velocità di piedi. Ricordo la
prima volta che lo vidi fuori dal campo. C’era un ristorate vicino al palasport
di Verona. Non ricordo quale partita fosse. Lui entrò, vestito bene, elegante,
e dai tavoli spontaneamente si alzò un applauso che lo mise in imbarazzo. Fece
un piccolo inchino, alzò il braccio. Era contento e a disagio al tempo stesso.
L’ultima volta fu in America: aveva smesso di giocare presto dopo gli anni di
Verona, Treviso, Roma e Napoli. Lavorava come commentatore televisivo per
Charlotte. In fondo era anche quello un modo per raggiungere la NBA. Parlava
ancora in modo accettabile l’italiano. Da tempo era un pastore battista – la
religione sempre al primo posto della sua vita – ma faceva tante cose, aveva
sostenuto altre attività imprenditoriali, anche con la moglie. Fare l’analista
televisivo gli permetteva di rimanere a contatto con il basket in un posto in
cui aveva giocato solo a livello universitario ma dov’era una leggenda. Era
allegro, felice, una persona di successo, in pace con sé stesso e con la vita.
Era prima del 2009 quando gli dissero che i suoi reni non funzionavano più e
non sapevano spiegarsi perché. Da quel momento otto ore al giorno di dialisi:
comprò la macchina per evitare di dover andare in ospedale tutti i giorni e
poterla usare a casa. E provava a vivere come se fosse ancora Hi-Fly Williams,
il più grande realizzatore nella storia di North Carolina-Charlotte. Predicava
tutte le settimane ai fedeli, non aveva perso fede, fiducia, entusiasmo. La
vita l’aveva colpito duramente ma non l’aveva spento. Almeno fino a ieri.
mercoledì 14 marzo 2018
New York Basketball Stories 2.0: Frazier l'uomo che veniva dalla povertà
Frazier era il più anziano di nove figli di una
famiglia poverissima di Atlanta in Georgia in un’epoca in cui per gli
afroamericani il sud del paese non era proprio il luogo più piacevole in cui
vivere. Giocava alla Howard High School e diventò una stella, il miglior
giocatore della Georgia ma con pochissima visibilità perché confinato nelle
competizioni per soli ragazzi di colore nelle palestre ghettizzate di scuole
nere. Non venne neanche considerato dai college della zona, tipo Georgia Tech,
che anni dopo avrebbe attinto ripetutamente dalle strade di New York (Kenny
Anderson, Stephon Marbury), o Georgia.
martedì 13 marzo 2018
New York Basketball Stories 2.0: l'ingresso di Willis Reed zoppicante
Fu Veronica Reed, la figlia di Willis, in Louisiana,
la prima a sapere. Rientrato da Los Angeles, Reed si era fatto massaggiare da
Whelan, si era sottoposto a mille trattamenti, ultrasuoni, impacchi,
idromassaggi, poi era tornato a casa, a Rego Park, nel Queens, in attesa del
grande giorno. Quando arrivò al Garden si cambiò e andò ad eseguire qualche
tiro in campo ma zoppicando vistosamente. Chiamò Veronica mentre i compagni
erano già in campo per il riscaldamento. Le disse che avrebbe provato. Nel suo
cuore orgoglioso di ragazzo del sud, della Louisiana, non c’era spazio per i
tentennamenti. Nessuno avrebbe mai detto che i Knicks avevano perso il titolo
perché Reed non aveva giocato. Il dottor James Parkes si presentò in
spogliatoio con una siringa enorme, adatta alle vene di Willis, e gli iniettò
300 cc di carbocaina, l’antidolorifico più potente in circolazione. Reed si
avviò verso il tunnel che conduce al campo. Fu accolto da un boato. Era come un
urlo di liberazione per i tifosi dei Knicks. I suoi due tiri di riscaldamento
furono i più inutili e seguiti della storia. Addirittura ci fu chi esultò
quando andarono dentro…
sabato 10 marzo 2018
NBA Finals Story 1990-1999: i Chicago Bulls
Chicago è una bellissima
metropoli adagiata sul Lago Michigan e colpita da un vento fortissimo e spesso
gelido che le è valso il nomignolo di The Windy City per quanto nessuno a
Chicago l'abbia mai definita cosi. Anzi. Molti abitanti rifiutano persino il
concetto di città tremendamente ventosa menzionando statistiche che non la
collocano tra le prime cinque città più ventose d'America. Non importa cosa
dicano le statistiche: il vento è forte e Chicago è fredda. Michigan Avenue è
l'arteria principale. Una parte di essa è detta The Magnificent Mile per i
negozi e ristoranti di lusso. Il resto della città è costruita attorno ad essa,
vita notturna inclusa. In questa zona di Chicago a quei tempi, su La Salle,
c'era anche il ristorante di Michael Jordan, che negli anni sarebbe diventato
un'altra delle attrazioni turistiche del luogo.
venerdì 9 marzo 2018
NBA Finals Story 1990-1999: Joe Dumars
La limousine era pronta
fuori dal Memorial Coliseum di Portland. All'aeroporto un jet privato del
proprietario dei Detroit Pistons, Bill Davidson, lo stava aspettando. Tutto
quel che restava da fare era comunicare a Joe Dumars che 90 minuti prima della
palla a due di gara 3 della Finale NBA del 1990 il padre Joe jr aveva lasciato
la terra nella sua casa di Natchitoches in Louisiana. Non era una notizia
inaspettata. Joe jr stava male da tempo, le sue condizioni erano peggiorate
nelle due settimane precedenti e Joe Dumars III, il più giovane dei suoi sette
figli, aveva dato istruzioni precise su come gestire la scomparsa se fosse
coincisa con il giorno di una partita. Aveva chiesto che lo lasciassero giocare
salvo informarlo solo alla fine. A quel punto sarebbe rientrato a casa per il
funerale.
mercoledì 7 marzo 2018
Update: Mike D'Antoni e l'evoluzione dei Rockets
I Rockets hanno vinto a Oklahoma City, dominando, la loro
sedicesima partita consecutiva. In altri tempi sarebbero stati i favoriti
proibitivi nella corsa al titolo NBA che non vincono dal 1995 ma questi sono i
tempi dei Warriors e Golden State merita di essere ancora considerata la
squadra da battere. Ma l'esito della stagione non toglierà nulla alla statura
ormai leggendaria di Mike D'Antoni come allenatore. Due volte coach dell'anno
se non vincerà il trofeo quest'anno sarà principalmente perché mai viene dato
due anni di fila allo stesso coach. Brad Stevens a Boston e Dwane Casey a
Toronto sono legittimi candidati. Qui però vorrei aggiornare la storia di
allenatore di Mike D'Antoni.
sabato 3 marzo 2018
"NBA Finals Story" ora anche in edizione cartacea
Per coloro a cui dovesse interessare adesso la versione 2.0 di "NBA Finals Story 1990-1999" è disponibile su Amazon anche in formato cartaceo. Sono 502 pagine inclusi i contenuti extra rispetto alla versione originale, rivista e aggiornata. Eccolo qui.
venerdì 2 marzo 2018
"New York Basketball Stories 2.0" ora anche su carta
A grande richiesta (!!!) adesso la versione 2.0 di "New York Basketball Stories" è disponibile su Amazon anche nel formato cartaceo. Così spero di aver accontentato in qualche modo i - fortunatamente - tanti nemici dei libri in formato digitale che hanno peraltro il pregio di poter costare molto meno (e il difetto che non puoi esporli in alcuna libreria per cui - essendomi adattato - la mia personale si ferma a diversi anni fa). Eccolo qui.
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