venerdì 30 marzo 2018

MVP Review: perchè Durant e Steph si ostacolano


Nel momento stesso in cui due estati fa Kevin Durant scelse di portare il suo talento sulla Baia, istantaneamente le sue possibilità di vincere un secondo MVP dopo quello conquistato con Oklahoma City nel 2014 si sono ridotte. E per osmosi si sono ridotte anche quelle di Stephen Curry. Succede sempre quando un superteam non ha un chiaro leader. A Miami era LeBron James pur arrivando lui, da esterno, nella squadra di Dwyane Wade; ai Lakers di inizio secolo il leader era Shaquille O’Neal e Kobe Bryant è diventato un candidato MVP solo quando Shaq è stato ceduto a Miami; a Houston, Chris Paul è andato a fortificare i Rockets che restano la squadra di James Harden. Durant era il numero 1 a OKC. Probabilmente, Russell Westbrook non sarebbe mai stato l’MVP della Lega se KD non fosse andato mai andato via. Forse.

mercoledì 28 marzo 2018

MVP Review: il nuovo status di DeMar DeRozan


Può sembrare un’esagerazione includere DeMar DeRozan in una qualsiasi conversazione sull’MVP di questa stagione soprattutto considerando le cifre nude e crude. DeRozan, che è una guardia di alto livello da almeno cinque anni, sta segnando circa quattro punti a partita in meno dei 27.3 di una stagione addietro (record carriera) ed è passato da 5.2 a 3.9 rimbalzi per gara. Va anche meno spesso in lunetta (da 8.7 viaggi a 7.2) e sarebbe limitativo attribuire questa minor produttività al minutaggio. Dwane Casey lo impiega 34 minuti di media, contro gli oltre 35 di un anno fa, un decremento nel complesso trascurabile.

lunedì 26 marzo 2018

MVP Review: giocare a Portland penalizza Damian Lillard?


Damian Lillard ha 27 anni e per la quinta stagione consecutiva sarà oltre i 20 punti di media oppure oltre i 25 per la terza. Eppure resta un giocatore difficile da interpretare. In parte è una questione logistica: Lillard ha giocato a Weber State dove l’esposizione è limitata, poi è stato scelto nella seconda parte del primo giro del draft quindi con modeste aspettative e infine è finito a Portland. Non è un mistero che giocare a tre ore di fuso orario dalla costa est è penalizzante, soprattutto se non lo fai a Los Angeles ma in un mercato limitato come quello di Portland. Avesse giocato a New York è probabile – sicuro? – che la popolarità di Lillard sarebbe stata diversa.

MVP Review: la candidatura tramontata di Giannis Antetokounmpo


Giannis Antetokounmpo per una porzione di stagione era stato considerato un legittimo candidato MVP poi sono successe tante cose, ma soprattutto i Milwaukee Bucks sono scivolati indietro nella classifica della Eastern Conference esattamente nella stagione in cui, date le circostanze, avrebbero almeno potuto prendersi il vantaggio del campo nel primo turno. 

domenica 25 marzo 2018

MVP Review: nessuno può battere James Harden quest'anno


La corsa al titolo di MVP non è stata appassionante come un anno fa quando il mondo si era diviso tra Russell Westbrook, James Harden e nel finale prese quota la candidatura di Kawhi Leonard. Quest’anno Harden vincerà con largo margine sul secondo classificato ed esiste una piccola possibilità che come Steph Curry due anni fa vinca il titolo all’unanimità. Può starci: Harden è il miglior giocatore della miglior squadra della stagione, quella che ha stabilito il nuovo record franchigia di vittorie, ed è il miglior realizzatore della Lega, oltre i 30 di media. Quest’anno Harden figurerà per il quarto anno consecutivo nel primo quintetto All-NBA e in passato è arrivato due volte secondo nella corsa all’MVP.

giovedì 22 marzo 2018

New York Basketball Stories 2.0: l'acquisto del nemico Monroe


Il 10 novembre 1971 invece i Knicks decisero di eseguire un triplo salto mortale ed effettuare uno degli scambi più rumorosi nella storia della NBA. Girarono Mike Riordan e Dave Stallworth a Baltimore per ottenere niente di meno che Earl Monroe, il loro giustiziere dell’anno prima, il grande avversario per anni, soprattutto di Walt Frazier.

NBA Finals Story 1990-1999: The Shrug


In gara 1 tutto quel che fece Michael Jordan fu sparare, senza errori, dentro il canestro di Portland, sei fucilate da tre punti. I Blazers lo invitarono al tiro. Come molti fecero in quelle stagioni, anche a Portland pensarono che concedergli il tiro da fuori fosse il minore dei mali. Almeno avrebbe evitato di caricare di falli gli avversari attaccando l’area. 

martedì 20 marzo 2018

Toronto Raptors: da Bosh e Bargnani a DeRozan, l'evoluzione

Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima volta nella sua storia in finale.

domenica 18 marzo 2018

L'evoluzione del gioco dei Raptors



Nurse è uno degli assistenti di Dwane Casey, uno dei sopravvissuti dei Raptors. Casey era un giovane assistente di Kentucky quando una busta spedita da lui alla recluta Chris Mills (futuro discreto giocatore NBA) contenente denaro saltò fuori in modo rocambolesco creando uno scandalo che avrebbe dovuto spazzarlo via. Casey ripartì dal Giappone, era un reietto. In seguito è riemerso prima da assistente (a Seattle ha fatto la finale del 1996, a Dallas ha vinto il titolo del 2011) e poi capo a Minnesota e infine Toronto.

sabato 17 marzo 2018

La storia dell'ascesa dei Raptors

Nel 2009/10 i Toronto Raptors vinsero 40 partite e non si qualificarono per i playoff. Bosh in quel momento vantava due apparizioni in post-season e due eliminazioni al primo turno. Non c’era modo che quei Raptors potessero diventare una squadra da titolo. E Bosh era la “spalla” più ricercata della NBA nella stagione clamorosa di “The Decision”. Chris si accodò a Dwyane Wade e LeBron James trasferendosi a Miami. I Raptors rimasero senza la loro star e costretti a ricostruire. Tuttavia Colangelo aveva già gettato basi importanti: nel 2009 aveva scelto DeMar DeRozan che nel primo anno senza Bosh ebbe 17.2 punti per gara a 21 anni di età. Nei draft successivi alla fuga di Bosh scelse Jonas Valanciunas e Terrence Ross. Nell’estate del 2012 acquistò da Houston anche Kyle Lowry. Quando nel 2013 venne sostituito da Ujiri lasciò al suo successore i tre quinti dello starting five di adesso inclusi i due All-Star, più Ross che poi Ujiri avrebbe utilizzato per prendere Ibaka da Orlando. Per quanto i Sixers di oggi siano considerati il frutto del lavoro di Sam Hinkie e delle sue drastiche idee (Trust The Process) più che di Colangelo (teoria rafforzata dal disastroso – al momento - scambio Fultz-Tatum con Boston); al tempo stesso nei Raptors di oggi c’è molto di Colangelo. Ujiri ha ricevuto una grande eredità e l’ha valorizzata bene.

venerdì 16 marzo 2018

Ecco come Toronto è diventata la miglior squadra dell'Est


Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima volta nella sua storia in finale.

giovedì 15 marzo 2018

La perdita del Re Saltatore di Charlotte, Henry Hi-Fly Williams



Questa è davvero dura da assorbire perché Henry Williams aveva solo 47 anni, perché tutti noi siamo stati testimoni della sua intera carriera professionistica, pensando che nella NBA erano stati pazzi a non accettarne i limiti di taglia fisica per prendere tutto quello che sapeva fare con il suo tiro mancino, l’esplosività, la straordinaria velocità di piedi. Ricordo la prima volta che lo vidi fuori dal campo. C’era un ristorate vicino al palasport di Verona. Non ricordo quale partita fosse. Lui entrò, vestito bene, elegante, e dai tavoli spontaneamente si alzò un applauso che lo mise in imbarazzo. Fece un piccolo inchino, alzò il braccio. Era contento e a disagio al tempo stesso. L’ultima volta fu in America: aveva smesso di giocare presto dopo gli anni di Verona, Treviso, Roma e Napoli. Lavorava come commentatore televisivo per Charlotte. In fondo era anche quello un modo per raggiungere la NBA. Parlava ancora in modo accettabile l’italiano. Da tempo era un pastore battista – la religione sempre al primo posto della sua vita – ma faceva tante cose, aveva sostenuto altre attività imprenditoriali, anche con la moglie. Fare l’analista televisivo gli permetteva di rimanere a contatto con il basket in un posto in cui aveva giocato solo a livello universitario ma dov’era una leggenda. Era allegro, felice, una persona di successo, in pace con sé stesso e con la vita. Era prima del 2009 quando gli dissero che i suoi reni non funzionavano più e non sapevano spiegarsi perché. Da quel momento otto ore al giorno di dialisi: comprò la macchina per evitare di dover andare in ospedale tutti i giorni e poterla usare a casa. E provava a vivere come se fosse ancora Hi-Fly Williams, il più grande realizzatore nella storia di North Carolina-Charlotte. Predicava tutte le settimane ai fedeli, non aveva perso fede, fiducia, entusiasmo. La vita l’aveva colpito duramente ma non l’aveva spento. Almeno fino a ieri.

mercoledì 14 marzo 2018

New York Basketball Stories 2.0: Frazier l'uomo che veniva dalla povertà



Frazier era il più anziano di nove figli di una famiglia poverissima di Atlanta in Georgia in un’epoca in cui per gli afroamericani il sud del paese non era proprio il luogo più piacevole in cui vivere. Giocava alla Howard High School e diventò una stella, il miglior giocatore della Georgia ma con pochissima visibilità perché confinato nelle competizioni per soli ragazzi di colore nelle palestre ghettizzate di scuole nere. Non venne neanche considerato dai college della zona, tipo Georgia Tech, che anni dopo avrebbe attinto ripetutamente dalle strade di New York (Kenny Anderson, Stephon Marbury), o Georgia.

martedì 13 marzo 2018

New York Basketball Stories 2.0: l'ingresso di Willis Reed zoppicante



Fu Veronica Reed, la figlia di Willis, in Louisiana, la prima a sapere. Rientrato da Los Angeles, Reed si era fatto massaggiare da Whelan, si era sottoposto a mille trattamenti, ultrasuoni, impacchi, idromassaggi, poi era tornato a casa, a Rego Park, nel Queens, in attesa del grande giorno. Quando arrivò al Garden si cambiò e andò ad eseguire qualche tiro in campo ma zoppicando vistosamente. Chiamò Veronica mentre i compagni erano già in campo per il riscaldamento. Le disse che avrebbe provato. Nel suo cuore orgoglioso di ragazzo del sud, della Louisiana, non c’era spazio per i tentennamenti. Nessuno avrebbe mai detto che i Knicks avevano perso il titolo perché Reed non aveva giocato. Il dottor James Parkes si presentò in spogliatoio con una siringa enorme, adatta alle vene di Willis, e gli iniettò 300 cc di carbocaina, l’antidolorifico più potente in circolazione. Reed si avviò verso il tunnel che conduce al campo. Fu accolto da un boato. Era come un urlo di liberazione per i tifosi dei Knicks. I suoi due tiri di riscaldamento furono i più inutili e seguiti della storia. Addirittura ci fu chi esultò quando andarono dentro…

sabato 10 marzo 2018

NBA Finals Story 1990-1999: i Chicago Bulls



Chicago è una bellissima metropoli adagiata sul Lago Michigan e colpita da un vento fortissimo e spesso gelido che le è valso il nomignolo di The Windy City per quanto nessuno a Chicago l'abbia mai definita cosi. Anzi. Molti abitanti rifiutano persino il concetto di città tremendamente ventosa menzionando statistiche che non la collocano tra le prime cinque città più ventose d'America. Non importa cosa dicano le statistiche: il vento è forte e Chicago è fredda. Michigan Avenue è l'arteria principale. Una parte di essa è detta The Magnificent Mile per i negozi e ristoranti di lusso. Il resto della città è costruita attorno ad essa, vita notturna inclusa. In questa zona di Chicago a quei tempi, su La Salle, c'era anche il ristorante di Michael Jordan, che negli anni sarebbe diventato un'altra delle attrazioni turistiche del luogo. 

venerdì 9 marzo 2018

NBA Finals Story 1990-1999: Joe Dumars

La limousine era pronta fuori dal Memorial Coliseum di Portland. All'aeroporto un jet privato del proprietario dei Detroit Pistons, Bill Davidson, lo stava aspettando. Tutto quel che restava da fare era comunicare a Joe Dumars che 90 minuti prima della palla a due di gara 3 della Finale NBA del 1990 il padre Joe jr aveva lasciato la terra nella sua casa di Natchitoches in Louisiana. Non era una notizia inaspettata. Joe jr stava male da tempo, le sue condizioni erano peggiorate nelle due settimane precedenti e Joe Dumars III, il più giovane dei suoi sette figli, aveva dato istruzioni precise su come gestire la scomparsa se fosse coincisa con il giorno di una partita. Aveva chiesto che lo lasciassero giocare salvo informarlo solo alla fine. A quel punto sarebbe rientrato a casa per il funerale.

mercoledì 7 marzo 2018

Update: Mike D'Antoni e l'evoluzione dei Rockets



I Rockets hanno vinto a Oklahoma City, dominando, la loro sedicesima partita consecutiva. In altri tempi sarebbero stati i favoriti proibitivi nella corsa al titolo NBA che non vincono dal 1995 ma questi sono i tempi dei Warriors e Golden State merita di essere ancora considerata la squadra da battere. Ma l'esito della stagione non toglierà nulla alla statura ormai leggendaria di Mike D'Antoni come allenatore. Due volte coach dell'anno se non vincerà il trofeo quest'anno sarà principalmente perché mai viene dato due anni di fila allo stesso coach. Brad Stevens a Boston e Dwane Casey a Toronto sono legittimi candidati. Qui però vorrei aggiornare la storia di allenatore di Mike D'Antoni.

sabato 3 marzo 2018

"NBA Finals Story" ora anche in edizione cartacea

Per coloro a cui dovesse interessare adesso la versione 2.0 di "NBA Finals Story 1990-1999" è disponibile su Amazon anche in formato cartaceo. Sono 502 pagine inclusi i contenuti extra rispetto alla versione originale, rivista e aggiornata. Eccolo qui.

venerdì 2 marzo 2018

"New York Basketball Stories 2.0" ora anche su carta

A grande richiesta (!!!) adesso la versione 2.0 di "New York Basketball Stories" è disponibile su Amazon anche nel formato cartaceo. Così spero di aver accontentato in qualche modo i - fortunatamente - tanti nemici dei libri in formato digitale che hanno peraltro il pregio di poter costare molto meno (e il difetto che non puoi esporli in alcuna libreria per cui - essendomi adattato - la mia personale si ferma a diversi anni fa). Eccolo qui.