E’ molto italiano parlare del “non fallo” di Rudy Gobert su
Paul George. Se anche fosse stato chiamato un imbarazzante George avrebbe
dovuto andare sulla linea e fare 3/3 per portare la sfida al supplementare (in
realtà Utah avrebbe avuto un’altra opportunità). In queste ultime gare di
playoffs ci sono state tantissime chiamate controverse, il goal-tending di
LeBron James su Victor Oladipo, i 24 secondi non chiamati ad Al Horford che
hanno aiutato i Celtics a vincere gara 5 su Milwaukee ad esempio. La NBA spiega
tutto e ha spiegato anche la non chiamata di Ron Garretson, arbitro
espertissimo e figlio di Darrell Garretson, forse il più grande arbitro di
tutti i tempi, ma il problema resta e forse potrebbe generare altre riflessioni
sulla natura stessa del basket.
Opinioni, analisi e i miei libri: il mondo del basket americano visto da me di Claudio Limardi
sabato 28 aprile 2018
Il fallimento di OKC, Westbrook come Iverson e uno scambio di troppo
Tornassero indietro a OKC rifarebbero esattamente le stesse
mosse che hanno caratterizzato la scorsa estate. La “trade” per Paul George e
infine anche quella per Carmelo Anthony avevano un fine: restituire ai Thunder
un ruolo da potenziale contendente per il titolo per poter offrire a Russell
Westbrook motivi non solo economici per firmare un contratto mostruoso a lunga
scadenza (35 milioni l’anno prossimo, 43.8 nel 2021/22, ultima stagione
garantita e senza opzioni). E con quello convincere George a restare oltre la
scadenza contrattuale del prossimo 30 giugno. Con queste due firme – una c’è
già stata, dell’altra si parlerà per intere settimane – si regalerebbero altri
cinque anni almeno ad alto livello anche se non necessariamente da titolo.
Superbasket, Michael Jordan, Planinic e altro: l'intervista di Giancarlo Migliola
Iscriviti a:
Post (Atom)