Brad Stevens non è mai stato un giocatore. Meglio: è
cresciuto nell’Indiana, ha giocato bene a livello liceale ma non ha ricevuto
offerte vere per giocare in un college importante o semplicemente di Division
One. Stevens ha giocato quattro anni in Division Three e anche lì era un
giocatore marginale, a DePauw. Quando si è laureato ha lavorato nel marketing e
guadagnava 44.000 dollari all’anno, tanti per un 22enne. Ma voleva allenare, ha
studiato tantissimo, ha ottenuto un posto quasi da volontario a Butler sotto Thad
Matta impiegando cinque anni per tornare a guadagnare quanto prima. La sua
ascesa è cominciata così. Quando è diventato capo allenatore a 30 anni ha vinto
subito 30 partite e infine portato Butler a due finali NCAA consecutive, con un
supergiocatore (Gordon Hayward), un point-man da NBA (Shelvin Mack) e qualche buon
giocatore come Matt Howard. Ma a Butler ha costruito un programma sopravvissuto
bene alla sua dipartita. Persino quando UCLA gli ha offerto Westwood ha
rifiutato decidendo che avrebbe lasciato Butler solo per la NBA. E arrivò la
telefonata di Danny Ainge.