Mike Conley ha firmato quest’anno il contratto più alto
nella storia del basket NBA. 153 milioni di dollari in cinque anni per giocare
a Memphis. Può sembrare una follia ma non lo è necessariamente: Conley è una bandiera
e Memphis non è una destinazione per i free-agent. I Grizzlies i giocatori come
Conley devono tenerli e pagarli di conseguenza. Non sono rimpiazzabili. Solo
San Antonio – tra i club espressi da mercati piccoli – è riuscita dopo anni di
vittorie ad avere un certo successo tra i free-agent. Ovviamente il contratto
di Conley impressiona in un senso ma questa estate ha destato scalpore per
molti altri contratti. Qualcuno? Allen Crabbe è rimasto a Portland per 75
milioni in quattro anni: i Blazers hanno pareggiato l’offerta dei Brooklyn
Nets. Crabbe lo scorso anno ha segnato 10.3 punti a partita, dalla panchina.
Evan Fournier, francese, ha esteso con Orlando per 85 milioni in cinque anni.
Ha 23 anni e segnava 15.4 punti di media l’anno scorso. Il suo connazionale
Nicolas Batum ha firmato per il massimo salariale a Charlotte: 120 milioni in
cinque anni. Potrei andare avanti per molto alto toccando l’apice con i 64
milioni in quattro anni che Timofey Mozgov, virtualmente inutilizzato da
Cleveland in Finale. Prenderà dai Los Angeles Lakers. Il club che ha avuto come
centri George Mikan, Wilt Chamberlain, Kareem Abdul-Jabbar e Shaquille O’Neal,
praticamente quattro dei primi cinque o sei della storia (gli altri: Bill
Russell e Hakeem Olajuwon), paga 18 milioni all’anno Mozgov.
La cascata di soldi sui free-agents è stata senza precedenti
e praticamente imprevedibile all’epoca della stesura del contratto collettivo
attualmente in corso. Tutte e due le parti hanno la facoltà di uscire dall’accordo
e ritrattare alcuni aspetti. Il commissioner Adam Silver dopo l’approdo di
Kevin Durant a Golden State ha ammesso di non essere un tifoso dei superteams.
L’obiettivo, il sogno irraggiungibile ma da perseguire comunque, è quello di
avere una NBA equilibrata in cui tutte le squadre possano avere la chance di
vincere, ovviamente non su base annua ma con un po’ di programmazione, fortuna
e abilità.
Nessuno poteva prevedere che gli introiti della Lega, quelli
che generano le tre cifre chiave, aumentassero in modo così drastico. Le cifre
chiave sono il salary cap, la “luxury threshold” e il “salary floor”. Per
capire perché si è arrivati a strapagare certi giocatori (Tyler Johnson: 50
milioni in quattro anni per restare a Miami) bisogna capire cos’è il “salary
floor”. Si tratta in sostanza del minimo budget destinato ai giocatori che ogni
squadra deve spendere per restare dentro i regolamenti. Questo minimo è stato
fissato al 90% del salary cap. Nel momento in cui il “cap” è schizzato da 70 a
94 milioni in un solo anno, le squadre si sono trovate con una montagna di
soldi da spendere ma gli stessi giocatori.
Il “Floor” ha senso: serve ad evitare che una squadra risparmi
oltre il lecito aspettando tempi migliori. Se non hai la possibilità di vincere
o fare i playoffs, la cosa migliore da fare sarebbe tenere al minimo possibile
il monte salari. Le norme lo impediscono: nel 2016/17 qualunque ambizione tu
abbia, devi pagare almeno 84 milioni di dollari ai tuoi giocatori. Ecco dove
nascono i 38 in quattro anni di Matthew Della Vedova a Milwaukee. Uno come come
Alex Abrines, buonissimo giocatore del Barcellona, prenderà 17 milioni in tre
anni a Oklahoma City. Perso Kevin Durant, i Thunder sono passati da un monte
salari in zona “lusso” (quindi con tasse salate da pagare) ad una situazione
perfino troppo “facile”. Senza questa impennata del cap quei soldi non ci
sarebbero mai stati.
E qui nasce il grande difetto di un sistema in cui Al
Horford guadagna quanto Kevin Durant, in cui Chandler Parsons e Harrison Barnes
guadagneranno 22 milioni la prossima stagione, 22 giocatori più LeBron James
(che non ha ancora firmato) sono oltre i 20 milioni annui e cinquanta oltre i
15. Il problema non è il monte salari - che la NBA può permettersi - ma la
distribuzione della ricchezza. Tutto nasce dal salario massimo per giocatore
che nel caso più estremo rappresenta il 30% del salary cap. Nel momento in cui
i migliori non possono guadagnare più di una cifra stabilita ma esiste un monte
salari minimo è chiaro che la tendenza è quella di appiattire le differenze
strapagando i giocatori della classe media e bassa.
Una delle grandi crisi degli anni ’90 della NBA fu determinata dall’esplosione
dei salari dei rookies che guadagnavano cifre altissime senza aver dimostrato
nulla. Quando l’Associazione Giocatori accettò i salari prefissati, il problema
venne risolto. Ora se ne è generato un altro.
La via di uscita sarebbe quella di stabilire un salario speciale
per un giocatore singolo per franchigia. Silver sarebbe d’accordo: i “superteams”
sarebbero possibili ma solo nel momento in cui delle tre o quattro star come
quelle dei Warriors solo una prenderebbe una cifra esorbitante mentre gli altri
dovrebbero adattarsi alle regole attuali. Sarebbe un sistema più americano,
pagare le stelle per quello che valgono i vari LeBron James, Stephen Curry,
Kevin Durant (oops, gioca nella stessa squadra di Curry), Damiel Lillard, James
Harden. Attualmente i soldi che non vanno a loro, vanno in misura eccessive
alle mezze stelle (Ryan Anderson: 80 milioni in quattro anni a Houston) o
addirittura finiscono in tasche mediocri per rispettare semplicemente l’obbligo
di pagare i giocatori abbastanza. Ma per introdurre questa regola occorre
modificare il contratto collettivo più di quanto si pensi, occorre convincere
coloro che non sono stelle a rinunciare ad un sistema che li premia. E le “non
stelle” sono la maggioranza.
LA CLASSIFICA DEI
SALARI 2016/17
Le cifre sono espresse in milioni di dollari.
Giocatore
|
Salario
|
Squadra
|
|
1
|
Mike Conley
|
30.600
|
Memphis
|
2
|
James Harden
|
26.540
|
Houston
|
2
|
Kevin Durant
|
26.540
|
Golden State
|
2
|
Al Horford
|
26.540
|
Boston
|
5
|
Carmelo Anthony
|
24.559
|
New York
|
6
|
Chris Bosh
|
23.741
|
Miami
|
7
|
Dwyane Wade
|
23.200
|
Chicago
|
8
|
Dwight Howard
|
23.180
|
Atlanta
|
9
|
Chris Paul
|
22.868
|
Clippers
|
10
|
Chandler Parsons
|
22.200
|
Memphis
|
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