La notizia più
importante dell’estate degli Houston Rockets è stata l’estensione
contrattuale di James Harden. Non ha avuto la stessa eco di quella di Russell
Westbrook a Oklahoma City ma il concetto è lo stesso. Harden sarebbe andato a
scadenza un anno dopo Westbrook quindi i Rockets avevano meno urgenza di agire
e inoltre non si avvertiva lo stesso tipo di rischio. Ma il messaggio è stato
forte: Harden è al centro del progetto, il club crede in Harden e Harden nei
Rockets. In un’estate in cui non sono stranamente riusciti neppure a entrare
tra le cinque finaliste del Kevin Durant Derby, l’estensione di Harden è stato
un premio di consolazione non indifferente.
Il mercato dei
Rockets è stato soprattutto funzionale allo stile di gioco della squadra,
enfatizzato dall’arrivo di Mike D’Antoni. La partenza di Dwight Howard era da
ritenersi scontata: Howard non ha veramente legato con Houston, soffriva la
leadership di Harden come a Los Angeles soffriva quella di Kobe Bryant e Pau
Gasol e infine l’arrivo di D’Antoni, considerato il passato comune dei due e le
idee del coach “milanese”, ha sancito un divorzio che non è dispiaciuto nemmeno
ai Rockets. Altrimenti non si spiegherebbero le loro mosse. Tutte hanno spinto “contro”
Dwight Howard.
Ma una squadra senza
Howard è anche una squadra migliore? Questo è un concetto eterno nel basket
perché migliorare sottraendo è sempre auspicabile ma difficile. E qui entra in
gioco Clint Capela, il centro titolare, terzo anno di NBA, 22 anni, dei
Rockets.
La squadra sembra
costruita per lui. Come se fosse un giocatore di impatto. I Rockets daranno
la palla a James Harden, che è un potenziale MVP soprattutto se Jeff Bzdelik –
il “defensive coordinator” affiancato a D’Antoni – lo convincerà a non
disinteressarsi alla difesa. Al suo fianco avranno Patrick Beverley, che è un
difensore, o Eric Gordon, acquisito sul mercato dei free-agent, un esterno di
fisico e talento che aveva il 38.3% da tre ai Pelicans (unico dubbio su Gordon:
dopo la sua stagione da rookie non ha mai giocato più di 64 partite in un anno).
Gordon doppierà come ala piccola in alternativa a Trevor Ariza, altro difensore
interessante che tira con il 37.1% dall’arco. Dal momento che D’Antoni chiederà
ad Harden di attaccare centralmente e giocare tanto pick and roll in
transizione con un lungo veloce come Capela, è probabile che Gordon e Ariza
ricevano valanghe di palloni sul perimetro per tiri da tre “aperti”. Tanto più
che i Rockets hanno firmato l’ala forte con il miglior tiro da tre della Lega.
Ryan Anderson, che ha reclutato personalmente Gordon con il quale giocava a New
Orleans, ha il 37.7% in carriera dall’arco. Quindi Houston avrà tre specialisti
larghi con Harden in mezzo a creare per sé stesso e per tutti loro. I Rockets
erano già una delle migliori squadre offensive della Lega. Lo saranno ancora di
più. Persino il rookie “undrafted” Kyle Wiltjer – il padre ha giocato a Brescia
– è un’ala forte-centro che ha la sua miglior arma nel tiro da tre. Tutta
questa banda di tiratori ha come obiettivo quello di massimizzare il potenziale
di Harden. Ma al tempo stesso ha maggiori chance di funzionare nella misura in
cui la difesa dovrà collassare in area lasciando libertà sul perimetro. Questo
atteggiamento difensivo sarà inevitabile per proteggersi contro le penetrazioni
di Harden così come nei Suns di D’Antoni serviva contro Steve Nash. Ma il
compagno di pick and roll di Nash – che ovviamente aveva caratteristiche
diverse da Harden – era Amar’e Stoudamire al top della condizione. Il compagno
di Harden si chiama Clint Capela (i Rockets devono ancora rifirmare Donatas
Motjejunas e hanno come rete di protezione il veterano Nenè).
Capela lo scorso
anno, come cambio di Howard, segnava 7.0 punti a partita con 6.4 rimbalzi.
Numeri normali che assumono un altro significato quando consideriamo i 19.1
minuti di impiego per gara. Trasportandoli sui 36 minuti standard (potrebbe non
andare lontano da questa cifra), lo svizzero salirebbe a 13.3 punti e 12.1
rimbalzi di media oltre a 2.3 stoppate. Numeri da DeAndre Jordan. Realistici?
Tutti sanno che raramente le cifre crescono proporzionalmente allo spazio ma Capela
è giovane e inesperto. Attendersi, in una squadra che giocherà tirando
tantissimo da tre, aprendo il campo e con un compagno creativo come Harden, un
salto di rendimento importante è legittimo.
Ovviamente Clint
Capela ha importanti difetti: non sa cosa sia tirare la palla. Ma quello
che per tutti è un difetto, nel sistema dei Rockets – che vorrebbero concludere
ogni possesso in uno di questi tre modi, un tiro da tre, un viaggio in lunetta
o un tiro al ferro, eliminando tutto quello che esiste in mezzo -, potrebbe
rivelarsi un pregio. Capela esegue al ferro il 78.6% dei propri tiri e il 66.0%
di questi sono realizzati. Naturalmente sono quasi tutte schiacciate. Questo è
quello che vogliono da lui non per 19 minuti ma per 30. Se ci riesce, la
funzionalità dell’attacco dei Rockets potrebbe diventare superiore alle già
elevate aspettative odierne. Howard ad esempio pretendeva molto di più la palla
in post basso. Aveva chiesto un ruolo più definito in attacco. Hanno finto di
non capire cosa stesse dicendo. Capela la palla in post basso non la vuole
perché non saprebbe cosa farne e diventerebbe una calamita per i falli
sistematici. Dalla lunetta aveva il 37.9% l’anno passato ed era migliorato
tantissimo! Lui vuole la palla come rollante nel pick and roll andando al ferro
prima che possano fermarlo con un fallo. In questo sistema è perfetto.
Il “giochino” può
davvero funzionare: lo scorso anno con Capela in campo i Rockets segnavano
114 punti ogni 100 possessi, un indice di livello altissimo che proiettato su
un minutaggio ampio rappresenterebbe esattamente il posto in cui i Rockets
(108.3 di squadra, settimi nella Lega) vogliono arrivare. Molto, molto
interessante.
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