Da New York Basketball Stories 2.0
Anche se hanno vinto poco, pochissimo, nella loro
storia, i Knicks hanno avuto un ruolo dominante nella storia della NBA e non
sono mai stati poveri di stelle. Lo “star power” ha sempre affascinato i loro
dirigenti. La classifica ovviamente lascia il tempo che trova ma rappresenta
comunque un motivo di discussione. Nel compilarla ho tenuto conto di alcuni
fattori da chiarire prima: rendimento ai Knicks, non nel corso della carriera
(questo spiega la posizione di Earl Monroe, altrimenti più elevata, o l’esclusione
di Larry Johnson e Bob McAdoo ad esempio), privilegia i risultati di squadra
(per questo Willis Reed davanti a Patrick Ewing, per questo ci sono Bill
Bradley e Dick Barnett ma non McAdoo e Spencer Haywood), la permanenza ai
Knicks (penalizza Walt Bellamy ad esempio che ha numeri da Top 5 ma una milizia
di quattro stagioni di cui solo due concluse
con i playoffs), il contesto (l’inclusione nei quintetti All-NBA è
importante perché metro di confronto con gli altri giocatori dell’epoca).
Infine ho escluso i giocatori del presente, soprattutto perché trovo di
difficilissima collocazione Carmelo Anthony. Come numeri vale una delle prime
posizioni: in sei anni ai Knicks, Melo vale 25.2 punti e 7.0 rimbalzi, numeri
incrementati nelle tre edizioni dei playoffs disputate (28.0 punti e 7.7
rimbalzi). In questo arco di tempo due volte è stato All-NBA, una volta secondo
e una volta terzo quintetto (che in origine era una selezione inesistente).
Penso che a fine carriera sarà arduo trovare una collocazione coerente per
Anthony. Al momento, vale McAdoo e Haywood, un po’ meno di Bellamy ma la sua
milizia comincia ad essere lunga. Con meno anni ai Knicks e cifre largamente
meno esplosive, Latrell Sprewell è nei Top 15. Giusto? Forse no, ma Sprewell ha
giocato una Finale NBA e una finale di conference. Anthony tre volte su sei non
ha raggiunto i playoffs, due volte su tre non ha superato il primo turno e non
ha mai giocato con la maglia dei Knicks una finale di conference. Ma ammetto
che si tratterebbe di un’omissione complicata da motivare.
Ho trovato
particolarmente difficile non inserire, più che McAdoo, Haywood, Jerry Lucas
(11.0 punti e 8.6 rimbalzi di media in tre stagioni con il titolo del 1973 ma
partendo dalla panchina) o Cazzie Russell (che nel titolo del 1970 era il sesto
uomo), Micheal Ray Richardson. Nel 1979/80, Sugar finì la stagione primo in
assist e palle recuperate, roba da John Stockton, ma con un altro stile. Nei
suoi quattro anni ai Knicks, Richardson ebbe 14.2 punti di media con 7.1 assist
e 6.0 rimbalzi. E’ stato due volte primo quintetto difensivo. Se la droga non
l’avesse rovinato, Richardson avrebbe avuto la chance di diventare uno dei più
grandi Knick di tutti i tempi. Ma forse proprio per questo suicidio
professionale è difficile premiarlo davanti a giocatori che sono stati
nettamente più amati, perché hanno sfruttato meglio il talento (inferiore) a
disposizione oppure hanno vinto di più (in quattro anni Sugar ha giocato una
sola volta nei playoffs).
15: John Starks. Nella sua permanenza ai
Knicks ha segnato 14.1 punti per gara con 4.0 assist. Amatissimo dai tifosi
perché oltre a venire dal nulla – o meglio: da un supermercato di Tulsa,
Oklahoma – giocava sempre con il cuore in mano. Talvolta anche troppo. A New
York è ricordato al tempo stesso per “The Dunk” su Michael Jordan e lo 0/11 da
tre di gara 7 a Houston nel 1994. Comunque con lui i Knicks sono stati sempre
rilevanti e quando firmarono Allan Houston retrocedendolo in panchina, lui
rispose vincendo il titolo di sesto uomo dell’anno. A New York ha giocato anche
un All-Star Game. Per chiarire che anche individualmente non ha fatto poco.
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