domenica 6 agosto 2017

American Way: il fascino morboso del caso OJ Simpson


Come farà OJ Simpson dopo nove anni di prigione ad adattarsi a 70 anni ad un mondo nel frattempo cambiato così tanto? Ovviamente è una battuta vista la pensione che percepirà come ex giocatore della NFL con 11 anni di esperienza. Nel 1994 quando aveva 47 anni e venne accusato dell'omicidio della ex moglie e di un ragazzo giovane che faceva il cameriere a Brentwood nel ristorante sbagliato, io ero in America e rimasi sbalordito di fronte alla fissazione mediatica e pubblica creatasi attorno al caso.

Il prossimo 1 ottobre OJ Simpson tornerà in libertà dopo aver scontato nove anni di reclusione dei 33 che gli erano stati inflitti per essersi illegalmente appropriato di oggetti di memorabilia che riteneva di sua proprietà. È abbastanza evidente che la condanna fosse una sorta di rimedio verso l'assoluzione che era riuscito ad ottenere per il duplice, famosissimo omicidio di Brentwood 1994.
Un giorno OJ pronunciò una frase passata alla storia anche se non è chiaro in quale circostanza sia stata concepita. "Non sono nero, sono OJ". Simpson è stato il primo atleta di colore a diventare mainstream, seguito, coccolato e viziato anche dall'America bianca e miliardaria. Dopo di lui avrebbe ricevuto lo stesso trattamento Michael Jordan. Simpson aveva capito di trascendere il proprio sport e la propria razza. Ma se non fosse stato nero non se la sarebbe cavata nel 1994. Era una Los Angeles ferita dal caso Rodney King  (virtualmente linciato da poliziotti orrendi), divisa e pronta ad esplodere. Simpson diventò un simbolo. La carta razziale e la spettacolarizzazione di un processo andato in diretta tv nonostante questo l'abbia reso irregolare (ma il giudice Lance Ito non ebbe la forza di sottrarsi al suo anno di estrema popolarità e chiudere le porte) hanno salvato Simpson dalla condanna. A parte gli errori della procura come il clamoroso caso del guanto ritrovato sul luogo del delitto e fatto provare ingenuamente durante il processo dall'unico afroamericano del team accusatorio, Christopher Darden. Un autogol memorabile.
Simpson ha schivato la condanna ma da quel momento ha smesso di essere un idolo americano ed è precipitato nella polvere, salvato qualche volta dal carisma innegabile, lo charme, la personalità e il passato da star del football.
L'America è ancora incredibilmente affascinata dal caso. La serie tv in dieci puntate realizzata da HBO ha vinto otto Emmys. Il documentario di ESPN su tutta la vita di OJ da USC in avanti ha vinto un Oscar. La diretta del suo interrogatorio per ottenere la libertà condizionata ha registrato audience superiori alla media. Eppure ai tempi del primo processo, della fuga in diretta tv a reti unificate per le highways di Los Angeles durante gara 5 della finale NBA, Simpson aveva smesso di giocare da 15 anni e da allora ne sono passati 23. Quindi poche persone oggi ricordano il Simpson giocatore e solo chi ha più di 40 anni ha seguito davvero le vicende del 1994. Ma il caso resta affascinante. Dentro c'è tutto: la vita glamour di una star dello sport e poi di televisione e cinema; sesso e tradimento vero o presunto; una donna giovane, bionda e un matrimonio misto; un crimine; un giallo; un dream team di legali; Los Angeles; la rabbia dei familiari delle vittime in particolare del padre di Ron Goldman; il razzismo. Non mancava nulla a cominciare dallo sportivo più famoso della propria generazione.

Nessun commento: