martedì 28 novembre 2017

Knicks, l'era Porzingis è arrivata ma basterà?



Non è la prima volta negli ultimi, tragici, anni che i Knicks fanno capolino nella zona playoffs, o si affacciano attorno al 50% di vittorie dando la sensazione di aver svoltato. Quando è successo, poi la caduta è stata verticale. Non è detto che non succeda ancora (le ultime tre le hanno perse). La differenza è che questa volta non ci sono battaglie intestine da combattere, l'allenatore non viene telecomandato o peggio dal presidente e la squadra in campo gioca con l'entusiasmo, la voglia di competere tipiche di chi si scopre competitivo e ha un nucleo giovane. Pat Riley parlava di "Innocent Climbing".
Al centro di questa crescita ovviamente è Kristaps Porzingis, il giocatore generazionale che Phil Jackson ha lasciato come eredità. Se l'unicorno lettone porterà mai un titolo NBA a New York (i 50 anni dall'ultimo scadono nel 2023) Phil Jackson potrà legittimamente vantarsi di avere avuto un impatto decisivo nell'arco di un'esperienza dirigenziale fallimentare. Questo però è un concetto da revisionismo molto prematuro. Per ora i Knicks sono soprattutto impegnati a riparare un rapporto che nei mesi scorsi era apparso compromesso anche se la partenza di Jackson ha rasserenato gli animi. Porzingis ha la concreta possibilità di diventare una figura iconica nella storia della franchigia. Nulla può pareggiare il credito e la popolarità che gli arriverebbero da un titolo vinto a Manhattan. Patrick Ewing c'è andato vicino ma non è riuscito a fare la parata lungo la Broadway. Carmelo Anthony non ha neppure potuto sognarla. Come Micheal Richardson, Spencer Haywood, Bob McAdoo, Bernard King, Larry Johnson, Latrell Sprewell, Allan Houston,  Amar’e Stoudemire e tutti i campioni veri o presunti arrivati a New York con questo obiettivo.

Porzingis è una star che trascende il suo valore puro. È unico per la combinazione di statura, tecnica e coordinazione. Protegge il ferro in difesa (2.3 stoppate per gara), lo aggredisce in attacco (7.2 tiri liberi di media, il doppio rispetto ad un anno fa), tira da tre (40.2% al momento). È un'ala grande naturale ma può giocare anche da Stretch 5. In termini di accoppiamenti difensivi non è tanto meno problematico di Joel Embiid. Non è certamente un rimbalzista paragonabile a lui, ma nessuno può scegliere di lasciarlo tirare da fuori come minore dei mali.

Il problema vero, paradossale, è che probabilmente Porzingis è troppo buono per gli interessi stessi dei Knicks. New York avrebbe un disperato bisogno di aggiungere una seconda superstar attraverso i draft per poi completare l'opera con uno o due free-agent ma ogni vittoria la allontana da questo obiettivo. E nel roster attuale è improbabile si nascondano più che eccellenti giocatori di complemento (ovviamente sapendo quanto sia prematura ogni previsione sulla reale consistenza di Frank Ntilikina). Enes Kanter è un uomo spogliatoio, diverso dallo stereotipo del giocatore NBA. La sua difesa di Ntilikina contro LeBron sia pubblica che direttamente in campo è stata indescrivibile. In questo momento storico la sua presenza aiuta ma resta un giocatore monodimensionale (superbo attaccante di post basso, eccellente rimbalzista soprattutto offensivo ma un buco difensivo) non un top-player oltre ad avere un contratto comunque in scadenza nel 2018 (o 2019 se eserciterà l’opzione a suo favore da 18 milioni). Il suo arrivo ha cancellato Wily Hernangomez che da rookie era sembrato di statura superiore come giocatore rispetto a quanto sta emergendo in un periodo di chiara involuzione. Poi c'è Tim Hardaway jr.

Nel 2013 Hardaway venne scelto nei draft al numero 24. Uscito da Michigan era stato penalizzato più che aiutato dalla vicinanza con Trey Burke (che venne chiamato al 10). A New York fece bene da rookie e benino al secondo anno salvo essere ceduto in cambio dei diritti su Jerian Grant, point-man in seguito ceduto alla prima occasione. Hardaway di fatto fu scaricato. Il termine è "traded away'.
La sua prima stagione ad Atlanta diede ragione ai Knicks ma poi nel sistema molto più strutturato di Mike Budenholzer, Tim ha ripreso fiducia e finito la stagione passata molto forte.  E a quel punto con una mossa sorprendente i Knicks se lo sono ripresi mettendo sul piatto 71 milioni di dollari in quattro anni. Gli Hawks erano pronti a offrire intorno ai 48 milioni. Era un free-agent con restrizione quindi, volendolo, New York era obbligata a pagarlo più del suo valore di mercato. Ma oltre 20 milioni in più? La mossa è stata non criticata ma addirittura ridicolizzata. Hardaway era incolpevole ma in un contesto mediaticamente aggressivo come quello di New York poteva finire molto male. Invece ha risposto - per ora alla grande - con partite che fanno sembrare il criticatissimo Steve Mills, eterno sopravvissuto ad ogni cambio di scenario, un genio del mercato. O definite superiori alle aspettative.

Inciso: fa un po' effetto pensare ad Hardaway come ad una bandiera dei Knicks quando il padre era stato uno degli avversari più odiati dal Garden negli anni '90. In questa particolare classifica in cui Michael Jordan va considerato fuori concorso perché l'avversione era attutita dal totale rispetto, Tim Hardaway era preceduto solo da Reggie Miller.

Tuttavia Hardaway non può essere un top-player. Ha l'età (26 anni) e il fisico e il le qualità per essere un eccellente attaccante e forse anche uno starter in una squadra da titolo ma nella misura in cui lo è stato direi un JR Smith a Cleveland. Hardaway non è ancora un giocatore di alta efficienza, il tiro da tre è usato più di quanto dovrebbe per confezionare medie migliori e nelle sue apparizioni nei playoffs ad Atlanta è stato tragico. Ma si parla di poche partite. Per ora New York lo apprezza, come apprezza una squadra attesa ad un bilancio volutamente catastrofico ma improvvisamente divertente, apprezzabile. Vediamo tra due mesi se sarà ancora così. E nel caso non lo fosse se proprio sarebbe un male, perché Porzingis è un fenomeno. Ma non basta.

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