lunedì 4 dicembre 2017

NBA Finals: quando Jordan decise di dire la Sua verità

Nel 2009 Michael Jordan è stato ovviamente eletto nella Hall of Fame di Springfield e secondo tradizione in un lungo discorso ha tratto le somme della sua carriera. Ma il discorso di Jordan è stato per molti sorprendente nel senso che MJ ha eliminato tutta la canonica diplomazia di queste occasioni per andare dritto al sodo e spiegare che tutti i miti riguardanti la sua capacità di automotivarsi trovando stimoli dappertutto erano… veri.
Molti hanno trovato il discorso di Jordan, ancora visualizzato tantissimo su youtube, di cattivo gusto. Era la sua festa perché polemizzare? Ma la realtà è che Jordan voleva, probabilmente per la prima volta, dire la sua e vuotare il sacco, come si dice.

E’ partito così dal taglio alla Laney High School che non era un taglio, raccontando di come il suo allenatore e il giocatore selezionato al posto suo, Leroy Smith, gli abbiano fornito il pretesto per accendere il fuoco dentro di lui, come avrebbe fatto poi Buzz Peterson. Il suo amico Buzz Peterson, compagno di squadra a North Carolina, nominato giocatore dell’anno al liceo. “Come potevano dire che era più bravo di me se non avevamo mai giocato contro?” Ha menzionato Dean Smith, il maestro che adorava, Jerry Krause, che detestava e giù fino a chi nel suo primo All-Star Game in sostanza gli impedì di toccare palla per dargli una lezione.
Nella realtà, Jordan ha mostrato solo sé stesso. Come giocatore era ovviamente un talento atletico sensazionale, che ha abbinato con una straordinaria etica e una feroce motivazione ad un bagaglio tecnico diventato negli anni inappuntabile. Ricordo che Paul Westphal sosteneva che Jordan sarebbe stato tra i primi cinque della Lega in qualunque ruolo l’avessero costretto a giocare, anche centro. Su tutto questo ha infine costruito una forza mentale che non ha precedenti e non è mai stata avvicinata dai suoi eredi inclusi LeBron James o Kobe Bryant, che forse come convinzione nei propri mezzi e stile è colui che l’ha avvicinato di più.
Ci sono record di Jordan che dicono molto: ad esempio non ha mai perso una Finale NBA. Ma quella che resta incredibile è stata la sua puntualità nell’esprimersi al massimo quando era necessario farlo. Jordan non ha mai tradito le aspettative. Finale NCAA 1982. Finale Olimpica 1984. Sei Finali NBA. Possiamo andare a caccia di partite importanti sbagliate ma non erano mai definitive. Nel 1990 perse gara 7 a Detroit ma fu la partita in cui venne lasciato a piedi da Scottie Pippen. Nel 1995 perse gara 6 in casa contro Orlando ma era appena rientrato dal suo anno e mezzo sabbatico. La percezione pubblica, in occasione del ritiro dai Bulls (lasciamo perdere il tentativo di tornare a Washington, in parte ingenuo, in parte eccessivo ma comunque contrassegnato da momenti importanti, ad esempio il suo ultimo All-Star Game ad Atlanta), è stata quella di un campione che si ritira imbattuto. Tutta questa forza interna, questa ferocia, erano innate, generate forse anche da un’adolescenza che ha voluto far passare come più felice di quanto dev’essere stata, fino ai suoi primi anni di NBA (il padre piuttosto vivace, i problemi tra il padre e la figlia, il suo distacco dalla sorella, la mamma pietra angolare di tutto, le iniziative imprenditoriali del padre, amatissimo comunque). Ma lui ha coltivato questo fuoco, questa voglia di arrivare fino a nutrirla persino negli anni in cui non aveva più bisogno di farlo. Attorno al 1992 il suo status è stato certificato e riconosciuto. Non c’erano più rivincite da prendersi o dimostrazioni da dare. Eppure… era sempre lì a caccia di gente che non lo rispettava abbastanza o voleva credere che non lo rispettasse perché aveva bisogno comunque di un avversario o di una sfida in cui credere. Michael Jordan è stato il più grande di tutti perché è stato l’atleta più competitivo che ci sia mai stato: questa è la mia opinione. Ma la competitività e la forza mentale non sono sempre la stessa cosa. Lui era al top in entrambe.







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