Brad Stevens non è mai stato un giocatore. Meglio: è
cresciuto nell’Indiana, ha giocato bene a livello liceale ma non ha ricevuto
offerte vere per giocare in un college importante o semplicemente di Division
One. Stevens ha giocato quattro anni in Division Three e anche lì era un
giocatore marginale, a DePauw. Quando si è laureato ha lavorato nel marketing e
guadagnava 44.000 dollari all’anno, tanti per un 22enne. Ma voleva allenare, ha
studiato tantissimo, ha ottenuto un posto quasi da volontario a Butler sotto Thad
Matta impiegando cinque anni per tornare a guadagnare quanto prima. La sua
ascesa è cominciata così. Quando è diventato capo allenatore a 30 anni ha vinto
subito 30 partite e infine portato Butler a due finali NCAA consecutive, con un
supergiocatore (Gordon Hayward), un point-man da NBA (Shelvin Mack) e qualche buon
giocatore come Matt Howard. Ma a Butler ha costruito un programma sopravvissuto
bene alla sua dipartita. Persino quando UCLA gli ha offerto Westwood ha
rifiutato decidendo che avrebbe lasciato Butler solo per la NBA. E arrivò la
telefonata di Danny Ainge.
BRAD STEVENS – Ainge non ha mai perso troppo tempo con gli
allenatori. Ha la presunzione, corretta, di aver visto abbastanza basket da
poter scegliere guardando le squadre chi è adatto alle sue esigenze. E Stevens
l’ha colpito. Così nel 2013 è andato contro tutto prendendo un allenatore di college
con zero esperienza NBA nonostante quella tipologia di coach nella NBA non
funzionasse da anni. Vedi Rick Pitino (almeno in parte), John Calipari
addirittura, ma anche Leonard Hamilton, Tim Floyd, Lon Kruger. E invece con
Stevens ha avuto ragione. Il suo primo contratto è stato di sei anni e 22
milioni di dollari, tanti per un debuttante, pochi per gli standard odierni.
Dopo tre anni il contratto è stato esteso e scadrà nel 2022. In pratica, Stevens
ha firmato un altro contratto di sei anni. Stevens ha mostrato una capacità
diabolica di gestire una squadra profonda. Isaiah Thomas è il giocatore di
riferimento e la sua esplosione a livelli stratosferici ha permesso alla
squadra di fare il salto di qualità. Ma la base di una squadra tra le prime
cinque-sei della NBA attuale è stata generata dalla quantità enorme di
giocatori di medio-alto livello. Guardando al roster di Boston attuale, forse
solo due giocatori non sono al centro del progetto, Amir Johnson e Jonas
Jerebko, ambedue in scadenza di contratto e dal futuro dubbio. Sono funzionali
oggi, non sul lungo periodo. Gli altri? Avery Bradley è un difensore di
primissimo livello con tiro da tre letale; Jae Crowder (figlio del Corey
Crowder visto tanto in Italia) è un’ala piccola potente e con tiro; Marcus
Smart è un altro point-man fisico e difensore; Terry Rozier gioca poco e vale
più di quanto abbia potuto mostrare finora; Al Horford, preso da free-agent, è
giocatore di qualità, il più esperto della squadra che ha migliorato la
fluidità dell’attacco perché sa tirare, passare e può giocare uno contro uno (è
vero che è al minimo in carriera nei rimbalzi e nelle percentuali, due statistiche
che preoccupano); Kelly Olynik e Tyler Zeller sono centri che possono figurare
bene in qualunque panchina di livello.
Nei draft dell’anno scorso al numero 3
molti suggerivano ad Ainge di prendere Kris Dunn di Providence. Ma lui non
voleva – giustamente – un altro point-man e ha selezionato Jaylen Brown,
esterno super atletico da California. Thomas è esploso come un top-player e
Brown è un eccellente giocatore che diventerà molto più di questo.
In sostanza, Boston ha grande profondità, ha equilibrio e
tanti giovani con i quali vale già un posto in finale di conference o quasi. Quello che non ha è una superstar acclarata, uno come il Kevin
Durant che aveva tentato di prendere in estate, forse andandoci più vicino di
quanto si pensi, o il Jimmy Butler che ad un certo punto sembrava cedibile da
Chicago. Thomas può essere questo giocatore ma la sensazione è che stia
giocando al di sopra delle proprie possibilità. In ogni caso se punti al titolo
ormai una superstar e tanti ottimi elementi non è abbastanza. I Celtics hanno
gli asset per scambiare per un giocatore che faccia la differenza ma devono
trovarlo (Ainge ha pazienza), non è Carmelo Anthony, e non devono smembrare la
squadra per averlo. L’altra possibilità è reperirlo attraverso i prossimi due
draft. Il guaio è che le potenziali megastar del prossimo draft sono tutti
point-man, giocatori che vogliono la palla in mano. Esattamente come Isaiah
Thomas il cui contratto da poco oltre sei milioni va a scadenza nel 2018.
2-continua
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