Ben Simmons, la prima scelta assoluta dell'ultimo draft, è il frutto più evidente e ambito dell'ardita ricostruzione dei Philadelphia 76ers ideata, forzando i regolamenti o le storture del sistema, dall'ex general manager Sam Hinkie.
Chi segue la NBA con attenzione conosce probabilmente molto bene la storia recente dei Sixers e di Hinkie, uno dei più grandi sostenitori del movimento analitico che non significa pretendere tiro da tre ad oltranza, zero tiri dalla media e generalmente quintetti piccoli disinteressati ai rimbalzi d'attacco anche se sono principi base, i più comprensibili forse, di un movimento che è molto più questo. Hinkie - ex delfino di Daryl Morey a Houston - aveva portato avanti un'idea "The Process" che aveva bisogno di essere seguita con fede. Di qui lo slogan "Trust The Process". Considerato che la base di partenza era consegnarsi ad una serie imprecisata di stagioni perdenti per scegliere sempre in alto e cedere i giocatori attorno ai quali non era pensabile costruire nulla per accumulare scelte poi trasformabili in giocatori ambiti, il Processo di Hinkie è stato seguito molto più a lungo del preventivabile. I Sixers in tre anni hanno vinto 47 gare perdendone 199 al fine di rinforzare quella che Hinkie ha definito - nella sua lettera di dimissioni poco elegantemente girata ai media - "la vista più lunga dell'intera stanza".
Il cammino intrapreso da Hinkie non è stato tanto diverso da quello attuato da Sam Presti a Oklahoma City. La diifferenza maggiore è che Presti ha avuto la fortuna un draft dietro l'altro di trovare Kevin Durant poi Russell Westbrook e quindi James Harden oltre alla bravura di pescare molto più indietro Serge Ibaka. Hinkie non ha avuto la stessa dose di fortuna e in parte bravura per cui la sua "necessità" di cedere e sacrificare il presente è risultata troppo prolungata nel tempo per essere tollerabile. Dalla NBA, dai tifosi e in ultima analisi dai proprietari del club.
È anche vero che Hinkie ha spinto i confini del suo progetto oltre il punto di rottura. Ha probabilmente esagerato non tanto nella durata del Processo ma nella bizzarria di alcune mosse come la selezione nei draft di giocatori di grande potenziale ma infotunati come Nerlens Noel - fuori un anno - e Joel Embiid, che non ha ancora giocato una partita ed è stato scelto due anni fa. Mentre tutti i general manager fuggono di fronte a problemi fisici, Hinkie ha considerato la possibilità di scegliere giocatori di talento non utilizzabili un benefit per perdere partite e scegliere ancora in alto. L'obiettivo era fare il pieno e poi presentarsi sul mercato ricchi di assets (al momento nessuno ha abboccato) e al via della prossima stagione con un roster completamente ricaricato. Anche i giocatori europei sono stati scelti in base a questo principio. Ad esempio Dario Saric, lasciato serenamente a maturare a Istanbul quando tecnicamente sarebbe risultato da tempo molto utile al Coach Brett Brown.
Ma la pressione su Hinkie era diventata insostenibile e l'arrivo nel ruolo di grande saggio di Jerry Colangelo - si dice per volontà della NBA stessa - ha fatto saltare il banco. Attenzione però: il fatto che Hinkie sia stato portato alle dimissioni non significa che il Processo sia terminato. Come ha riconosciuto il suo sostituto Bryan Colangelo - figlio di Jerry ma per i maligni, si parla di un manager di 51 anni che è stato due volte miglior executive - ormai Hinkie aveva fatto troppe cose per disconoscere che i Sixers che stanno nascendo siano principalmente una sua creatura. Non ha scelto lui Ben Simmons - un 2.08 che passa e tratta la palla come Magic Johnson anche se non tira proprio mai - ma ha messo in moto e poi anche guidato la macchina che ha condotto Simmons a Philadelphia. Noel, Embiid, Saric e il discusso Jahlil Okafor sono tutti prodotti del sistema di Hinkie e della sua visione a lungo raggio.
I Sixers sono in sostanza obbligati a portare avanti il Processo con fede e certificare dove questo perverso modo di operare li avrà condotti. Colangelo cosi si trova ora ad amministrare una squadra generata da un'idea mostruosa e contestata ma che nessuno ha il coraggio di giurare non fosse quella giusta mettendoci qualcosa del suo più tradizionale e rassicurante modo di fare. Colangelo lasciò a Toronto una valida base al successore Masai Ujiri, DeMar DeRozan in testa. Adesso Ujiri raccoglie anche i frutti di quanto Colangelo aveva seminato. Nella NBA si programma veramente e queste cose sono all'ordine del giorno.
Colangelo ci sta mettendo anche del suo. A Toronto per accelerare i progressi della squadra non esitò a pescare veterani dall'Europa come erano Calderon, Parker e Garbajosa. A Philadelphia sono rimasti tutti sorpresi della scelta di riportare in America uno che era stato archiviato dalla NBA come Sergio Rodriguez. Hinkie non l'avrebbe mai preso ma adesso Brett Brown ha in mano un point-man esperto che farà giocare meglio i giovani a disposizione e rappresenta il giusto mix tra due modi di pensare differenti ma che dovranno essere armonizzati. La sfida di Colangelo - forse la sua vera impronta - è quella di correggere l'aspetto più bizzarro delle scelte di Hinkie ovvero cedere bene uno dei tre centri che Philadelphia ha selezionato negli ultimi draft. Noel, Embiid e Okafor sono tutti diversi ma in termini di posizione e spazi sono ridondanti. Uno andrà inevitabilmente ceduto. Ma lo sanno tutti e questo indebolisce la posizione di Colangelo sul mercato. Tuttavia la giuria sulle idee di Hinkie non ha potuto ancora esprimersi in attesa di vedere la fine del Processo.
Chi segue la NBA con attenzione conosce probabilmente molto bene la storia recente dei Sixers e di Hinkie, uno dei più grandi sostenitori del movimento analitico che non significa pretendere tiro da tre ad oltranza, zero tiri dalla media e generalmente quintetti piccoli disinteressati ai rimbalzi d'attacco anche se sono principi base, i più comprensibili forse, di un movimento che è molto più questo. Hinkie - ex delfino di Daryl Morey a Houston - aveva portato avanti un'idea "The Process" che aveva bisogno di essere seguita con fede. Di qui lo slogan "Trust The Process". Considerato che la base di partenza era consegnarsi ad una serie imprecisata di stagioni perdenti per scegliere sempre in alto e cedere i giocatori attorno ai quali non era pensabile costruire nulla per accumulare scelte poi trasformabili in giocatori ambiti, il Processo di Hinkie è stato seguito molto più a lungo del preventivabile. I Sixers in tre anni hanno vinto 47 gare perdendone 199 al fine di rinforzare quella che Hinkie ha definito - nella sua lettera di dimissioni poco elegantemente girata ai media - "la vista più lunga dell'intera stanza".
Il cammino intrapreso da Hinkie non è stato tanto diverso da quello attuato da Sam Presti a Oklahoma City. La diifferenza maggiore è che Presti ha avuto la fortuna un draft dietro l'altro di trovare Kevin Durant poi Russell Westbrook e quindi James Harden oltre alla bravura di pescare molto più indietro Serge Ibaka. Hinkie non ha avuto la stessa dose di fortuna e in parte bravura per cui la sua "necessità" di cedere e sacrificare il presente è risultata troppo prolungata nel tempo per essere tollerabile. Dalla NBA, dai tifosi e in ultima analisi dai proprietari del club.
È anche vero che Hinkie ha spinto i confini del suo progetto oltre il punto di rottura. Ha probabilmente esagerato non tanto nella durata del Processo ma nella bizzarria di alcune mosse come la selezione nei draft di giocatori di grande potenziale ma infotunati come Nerlens Noel - fuori un anno - e Joel Embiid, che non ha ancora giocato una partita ed è stato scelto due anni fa. Mentre tutti i general manager fuggono di fronte a problemi fisici, Hinkie ha considerato la possibilità di scegliere giocatori di talento non utilizzabili un benefit per perdere partite e scegliere ancora in alto. L'obiettivo era fare il pieno e poi presentarsi sul mercato ricchi di assets (al momento nessuno ha abboccato) e al via della prossima stagione con un roster completamente ricaricato. Anche i giocatori europei sono stati scelti in base a questo principio. Ad esempio Dario Saric, lasciato serenamente a maturare a Istanbul quando tecnicamente sarebbe risultato da tempo molto utile al Coach Brett Brown.
Ma la pressione su Hinkie era diventata insostenibile e l'arrivo nel ruolo di grande saggio di Jerry Colangelo - si dice per volontà della NBA stessa - ha fatto saltare il banco. Attenzione però: il fatto che Hinkie sia stato portato alle dimissioni non significa che il Processo sia terminato. Come ha riconosciuto il suo sostituto Bryan Colangelo - figlio di Jerry ma per i maligni, si parla di un manager di 51 anni che è stato due volte miglior executive - ormai Hinkie aveva fatto troppe cose per disconoscere che i Sixers che stanno nascendo siano principalmente una sua creatura. Non ha scelto lui Ben Simmons - un 2.08 che passa e tratta la palla come Magic Johnson anche se non tira proprio mai - ma ha messo in moto e poi anche guidato la macchina che ha condotto Simmons a Philadelphia. Noel, Embiid, Saric e il discusso Jahlil Okafor sono tutti prodotti del sistema di Hinkie e della sua visione a lungo raggio.
I Sixers sono in sostanza obbligati a portare avanti il Processo con fede e certificare dove questo perverso modo di operare li avrà condotti. Colangelo cosi si trova ora ad amministrare una squadra generata da un'idea mostruosa e contestata ma che nessuno ha il coraggio di giurare non fosse quella giusta mettendoci qualcosa del suo più tradizionale e rassicurante modo di fare. Colangelo lasciò a Toronto una valida base al successore Masai Ujiri, DeMar DeRozan in testa. Adesso Ujiri raccoglie anche i frutti di quanto Colangelo aveva seminato. Nella NBA si programma veramente e queste cose sono all'ordine del giorno.
Colangelo ci sta mettendo anche del suo. A Toronto per accelerare i progressi della squadra non esitò a pescare veterani dall'Europa come erano Calderon, Parker e Garbajosa. A Philadelphia sono rimasti tutti sorpresi della scelta di riportare in America uno che era stato archiviato dalla NBA come Sergio Rodriguez. Hinkie non l'avrebbe mai preso ma adesso Brett Brown ha in mano un point-man esperto che farà giocare meglio i giovani a disposizione e rappresenta il giusto mix tra due modi di pensare differenti ma che dovranno essere armonizzati. La sfida di Colangelo - forse la sua vera impronta - è quella di correggere l'aspetto più bizzarro delle scelte di Hinkie ovvero cedere bene uno dei tre centri che Philadelphia ha selezionato negli ultimi draft. Noel, Embiid e Okafor sono tutti diversi ma in termini di posizione e spazi sono ridondanti. Uno andrà inevitabilmente ceduto. Ma lo sanno tutti e questo indebolisce la posizione di Colangelo sul mercato. Tuttavia la giuria sulle idee di Hinkie non ha potuto ancora esprimersi in attesa di vedere la fine del Processo.
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