martedì 16 maggio 2017

A proposito di James Harden...

Ci sono partite che - giusto o sbagliato che sia - identificano una carriera. Nella serie Billions, c'è un passaggio nel quale Paul Giamatti dice una cosa tipo "Avevi l'emicrania come Scottie Pippen?". Sono passati quasi 30 anni, Pippen ha vinto sei titoli, è un Hall of Fame, forse uno dei Top 30 di sempre. Ma le prime due partite che si ricordino di lui sono quella dell'emicrania - gara 7 a Detroit nel 1990 - con relativo 2 su 17 dal campo e quella del rifiuto a rientrare in una gara di playoffs contro New York. Phil Jackson aveva scelto Toni Kukoc e non lui per prendere il tiro decisivo  (Kukoc segnò).

John Starks schiaccio' in testa a Michael Jordan un pallone decisivo in una gara di playoffs. Di lui si ricorda lo 0 su 11 da tre di gara 7 a Houston nel 1994. Tre giorni prima era andato ad un tiro dal titolo e d'immortalità.
Il concetto vale anche nel bene. La tripla arretrando di Ray Allen. La stoppata di LeBron su Andre Iguodala. Il baby hook di Magic Johnson. La bomba di John Paxson. The Shot di Michael Jordan. Il bacio della morte di Mario Elie. Gli otto punti in nove secondi di Reggie Miller. E tanti altri momenti o partite che hanno definito intere carriere.
Per questo gara 6 di James Harden, passiva, rinunciataria, angosciante sarà eternamente incollata alla sua storia. Harden ha la fortuna di essere giovane e di avere la possibilità di rifarsi, di costruire su questa delusione una legacy migliore. Ma al momento è così.
Nella partita più importante dell'anno Harden ha tirato nove volte da tre e solo sue volte da due. Il miglior giocatore della Lega nell'attaccare il ferro è rimasto sul perimetro a lanciare palloni per aria quando non è stato occupato dal perderli. E il miglior difensore degli Spurs, Kawhi Leonard non era neppure in campo.
Harden ha speso tantissimo durante la stagione (2947 minuti, terzo nella Lega). Mike D'Antoni è storicamente un coach estremista nell'utilizzo delle proprie star. Non ha mai risparmiato nessuno e nei playoffs come tutti ha ridotto la rotazione. Quando Nene' (decisivo contro i Thunder) si è infortunato, semplicemente il minutaggio degli altri è cresciuto e Ryan Anderson è diventato il cambio del centro, un ruolo che rende i Rockets illegali in attacco ma scadenti in difesa perché Anderson non può cambiare, non può contenere una penetrazione di decente velocità e non garantisce alcuna protezione al ferro. La stagione dei Rockets resta spettacolare: 14 vittorie in più dell'anno prima, una buona semifinale di conference  (prima del crollo di gara 6 era stata ad un tiro dalla vittoria in gara 5) e l'efficacia di Harden da point-man. Ora si tratta di capire cosa serve per il salto di qualità successivo, terminale.
La debacle di Harden in gara 6 diventa così motivo di riflessione. Se il suo è stato un crollo nervoso, caratteriale il problema è insormontabile perché lui per i Rockets non è tutto ma è tantissimo. Se il problema è stato un crollo totale di energia, se semplicemente era a fine corsa, i Rockets dovranno ripensare alla gestione dei minuti e della rotazione non solo nei playoffs ma anche durante la regular season. Insomma D'Antoni dovrà essere un po' meno D'Antoni e un po' più Gregg Popovich che teorizzando  i riposi strategici l'ha eliminato cinque volte dai playoffs (con squadre migliori generalmente). Ma nel frattempo su Harden la discussione si è riaperta.

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