13 Lamar
Odom
(2
titoli, 13.7 ppg, 3.7 apg, 9.5 rpg, sesto uomo dell’anno)
Altro
giocatore difficile da collocare in questa classifica. Nei Lakers del triennio
2008/2010, due titoli e tre finali consecutive, era il terzo giocatore della
squadra dopo Kobe e Pau Gasol, ma è stato uno starter a tempo pieno solo nel
primo anno (nelle 21 gare di playoffs il quintetto era Fisher, Kobe, Odom,
Gasol e Radmanovic), nel secondo con l’innesto di Andrew Bynum in quintetto lui
è diventato il sesto uomo della squadra che aveva normalmente Trevor Ariza da
ala piccola; nel terzo anno non c’era più Ariza ma c’era Ron Artest (o Metta
World Peace). E l’anomalia conclusiva è che è stato il sesto uomo dell’anno nel
2011 quando quel ciclo dei Lakers volgeva al termine. Dei suoi anni ai Lakers
(il top della carriera anche se giocò molto bene a Miami e anzi servì agli Heat
per permettere loro di arrivare a Shaq e vincere il titolo del 2006), vanno
notati i rimbalzi, davvero tanti per un giocatore più di fioretto, di classe
che ruvido. Odom è sempre stato un all-around, non abbastanza affamato di
canestri per sprigionare un potenziale formidabile. La sua carriera sarebbe
sbagliato definirla incompiuta perché ha vinto, ha giocato ad alto livello,
guadagnato tantissimo e confezionato molte stagioni strepitose. Resta solo il
dubbio di cosa sarebbe stato se la vita fosse stata più clemente nei suoi
confronti o se lui avesse saputo gestire le avversità diversamente.
(2
titoli, 1 All-Star Game, 16.4 ppg, 7.9 apg, 2.7 rpg)
Quando
Magic Johnson arrivò a Los Angeles da Michigan State le aspettative erano
enormi ma non è che i Lakers gli consegnarono in mano le chiavi della squadra.
Nei primi anni – e vinsero due titoli – Magic giocava con un altro point-man a
fianco, Norm “The Storm” Nixon (a fine carriera visto a Pesaro). Nixon era
giovane, spettacolare, piaceva al pubblico ed era un fuoriclasse. Velocissimo,
gran tiratore, personalità. Con Magic sviluppò un rapporto stranissimo: in
campo, sotto la cenere covava la rivalità tra il fenomeno nuovo che reclamava
la leadership della squadra e il veterano nel pieno della carriera che
avvertiva, soffrendolo, l’incalzare del compagno; fuori del campo i due erano
protagoniste di clamorose scorribande notturne. Non è chiaro se i Lakers infine
decisero di cederlo perché 1) dovevano valorizzare Magic eliminando l’altro
point-man per affiancargli un bomber (Byron Scott: uno dei primi grandi scambi
di Jerry West da general manager); 2) la rivalità tra i due, qualche volta
persino pubblica, era arrivata al punto di non ritorno; oppure 3) Nixon era
considerato una figura fuorviante a causa delle sue abitudini di vita fuori del
campo. Nondimeno, Nixon era un fenomeno che giocava con due giocatori
generazionali e una terza star come Wilkes.
11 Gail
Goodrich
(1
titolo, 1 All-NBA, 4 All-Star Game, 19.0 ppg, 4.2 apg, 3.0 rpg)
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