Dove eravate – se c’eravate visto che parliamo del 1993 –
quando Drazen Petrovic perse la vita su un’autostrada tedesca? Cosa stavate
facendo quando la notizia vi arrivò sulla mascella come un terribile colpo da
knock-out? Era il giugno del 1993. Io ero a JFK, l’aeroporto di New York, in
attesa del volo per Phoenix dove l’indomani avrei assistito alla prima partita
della Finale NBA tra i Bulls e i Suns. Avevo lasciato l’Italia molte ore prima
quando la notizia non era ancora diventata di dominio pubblico. A New York
acquistai una copia di USA Today, la meravigliosa versione statunitense che da
noi arrivava in formato ridotto, con le sue quattro o cinque sezioni complete,
quella sportiva strepitosa. Davide Dupree era la prima firma del primo
quotidiano americano autenticamente nazionale. Il grande Peter Vecsey scriveva
tre volte alla settimana il suo “Hoop du Jour”, la rubrica più potente che sia
mai stata scritta nel basket americano ma potrei dire mondiale. A quei tempi le
notizie le apprendevi così: seppi che Drazen era morto acquistando USA Today.
Sono abbastanza certo che il suo nome non comparisse nel
titolo, sostituito da “NBA Star Killed etc”, o qualcosa del genere. Quando
arrivai in hotel a Phoenix, ricordo ancora il nome, “Crescent”, fui accolto da
un fax – a quei tempi sembrava un’invenzione che avrebbe cambiato il nostro
modo di vivere – del mio direttore a Superbasket con gli ordini di servizio. Mi
spiegò in poche righe – no forse erano molte righe, ma potevo capirlo – cos’era
successo. Il giorno dopo ci fu un momento di raccoglimento a Phoenix per la
scomparsa di Petrovic. Quello era stato l’anno dell’esplosione: 23.5 punti di
media, il 45% da tre, numeri convalidati dall’inclusione nel terzo quintetto
All-NBA. I Nets fecero i playoffs ma vennero eliminati in fretta. L’allenatore
era il grande Chuck Daly. Avevano Kenny Anderson, Derrick Coleman. Ma Petrovic
era in scadenza di contratto. Sarebbe stato free-agent. Dicevano fosse pronto a
tornare in Europa, a raccogliere milioni di dracme greche, ma non ci credeva
nessuno. Aveva un valore NBA importante ed era al top della carriera. Era un
idolo per tutti in Europa. Potevi odiarlo, perché in campo era irridente, ai
limiti del provocatorio, ma non potevi non ammirarlo. Era una macchina da
canestri, ma aveva fantasia, coraggio, etica del lavoro. Un giocatore avanti ai
suoi tempi, un prodigio, con una forza di volontà spaventosa.
I Nets nei giorni scorsi gli hanno tributato un omaggio.
Sono passati – incredibile – quasi 25 anni da allora. Eppure Petrovic… sembra
morto ieri. Quell’orribile fine l’ha trasformato in un personaggio eternamente
giovane. Come James Dean nel cinema, Ayrton Senna nella Formula 1, come Marilyn
Monroe.
Ci sono milioni di aneddoti su Petrovic: aveva una gamba
leggermente più corta dell’altra, si sottoponeva ad allenamenti punitivi che
per lui erano routine e doveva essere fermato. A Trieste prime delle Olimpiadi
del 1992 in amichevole si accorse, dopo un paio di errori, che il canestro era
situato ad un’altezza sbagliata. Si fermò a guardarlo, uno o due secondi, mosse
la testa, chiamò gli arbitri. Lo misurarono. Aveva ragione. Da ragazzino portò
Sibenik a competere in Europa. Poi decisero che per interesse nazionale doveva
andare in un club più forte, il Cibona, e lo portò a due titoli europei. Poi il
Real Madrid e la finale di Coppa delle Coppe ad Atene contro Oscar e Gentile.
Infine i Portland Trail Blazers da outsider e i Nets da protagonista.
Enrico Campana mi inviò quel fax a Phoenix perché
raccogliessi materiali, reazioni in America alla morte di Drazen. Ricordo una
pagina di Superbasket di Aldo Giordani: Drazen su una spiaggia a piedi nudi,
sorridente, e il titolo. Angelo e Satana. Raccontavano fosse un angelo fuori
del campo e ovviamente era un’altra persona dentro. Campana era innamorato di
lui. L’aveva conosciuto quando non era ancora il diavolo di Sebenico. Lo
ribattezzò il Mozart dei canestri. Il soprannome rimase. Il suo ristorante in
Croazia si chiamava così, Mozart.
1 commento:
Drazen rimarrà il più grande giocatore europeo di tutti i tempi, il numero uno.
Numero uno alla pari di Claudio, come scrive di basket lui non scrive nessuno, davvero.
Michele
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