I Golden State Warriors
sono “The Most Entertaining Show on Earth”, il più grande, intrigante
spettacolo cestistico sulla faccia della terra. Hanno conquistato la NBA con record,
velocità, sicurezza e soprattutto con un gioco affascinante, costruito attorno
ad uno dei giocatori più incredibili che si siano mai visti al mondo. E
altrettanto velocemente hanno preso tutto questo, record, spettacolo, sicurezza
e l’hanno gettato dalla finestra. E’ come se ogni squadra avesse davvero un DNA
al quale è impossibile sfuggire. Può accadere ma non definitivamente. Non
sarebbero i Warriors se dopo un titolo NBA vinto dopo 40 anni e il primato di
ogni epoca di vittorie non avessero perso in casa, in gara 7, il secondo titolo,
ritenuto per mesi scontato. Una bizzarra anomalia che anche nel momento del
successo percorre la spina dorsale di una franchigia che è sempre stata anomala
e bizzarra.
Come del resto, Stephen
Curry. I giocatori dominanti nella NBA sono sempre stati caratterizzati da una
qualità che li ha resi speciali, fenomenali attorno alla quale sono riusciti a
fabbricare uno stile spesso unico, di sicuro completo e di altissimo livello.
Bill Russell era un difensore, la stoppata elevata ad arte. Wilt Chamberlain
aveva qualità atletiche abnormi che utilizzava per segnare valanghe di punti.
Kareem Abdul-Jabbar era il re dal gancio cielo ed era anche 2.18. Magic Johnson
era un passatore di 2.05. Larry Bird era una unica combinazione di stazza, tiro
e passaggio. Michael Jordan era un atleta irreale. LeBron James è il giocatore
più potente fisicamente che ci sia mai stato. Quasi onnipotente. Ma Stephen
Curry? 185 centimetri e 80 chili di peso. Numeri da Allen Iverson che però
saltava, era veloce, forte, aveva fatto il quarterback.
Curry ha costruito il suo
dominio sul proprio tiro. Il resto è venuto dopo. Non c’era mai stato uno così.
E non c’era mai stata una
storia tempestata di vicissitudini come quella dei Golden State Warriors. Nati
a Philadelphia, quando la NBA non esisteva ancora. Trasferitisi a San
Francisco, per giocare al Cow Palace, posto riservato al mercato del bestiame,
con un proprietario di nome Frank Mieuli, pantaloni a quadri, barba lunga, look
raggelante persino per quei tempi. Fu lui a portarli a Oakland, la sorella
povera, brutta e pericolosa di San Francisco, al di là del ponte.
La prima star, Rick
Barry, era così infastidito da Mieuli che decise di andare a giocare nella ABA
nel bel mezzo della carriera. Eppure con lui i Warriors avrebbero
successivamente vinto un titolo che è sembrato un’aberrazione. Pensate a cosa è
successo dopo: i Warriors cedettero Kevin McHale e Robert Parish ai Boston
Celtics per Joe Barry Carroll. Joe Barry Carroll a 27 anni li lasciò a terra un
anno per giocare a Milano. La nuova star designata, Chris Mullin, venne
internato in una clinica per il recupero di alcoolisti. La spettacolare formula
del “Run TMC”, Tim Hardaway, Mitch Richmond, Chris Mullin venne spezzata per
irrobustirsi con Billy Owens, un’ala che giocava sempre con un cilindro in
meno.
L’arrivo di Chris Webber nel
1993 poteva essere quello del Messia. Dopo un anno litigò con tutti ma
soprattutto con il Coach Don Nelson e fu ceduto a Washington. Per riprendersi
sarebbero serviti anni. Il proprietario Chris Cohan era il Re delle battaglie
legali ma un giorno un quotidiano locale pubblicò una storia investigativa che
lo fece a pezzi anche più dei drammatici risultati della squadra.
Latrell Sprewell cercò di
strangolare il coach PJ Carlesimo e andò a giocare i suoi anni vincenti a New
York e Minnesota. Poi ci fu la squadra del “We Believe” e durò circa un anno. L’ultimo
proprietario, quello attuale, Joe Lacob licenziò l’allenatore che aveva riportato
i Warriors in alto, Mark Jackson, perché non andava d’accordo con nessuno e
soprattutto con i suoi assistenti, uno dei quali fu addirittura licenziato perché
sorpreso a registrare segretamente i meeting dello staff. Se qualcosa doveva
andare storto ai Warriors andava storto. E’ sempre stato così. Lo è anche
adesso.
Poi Stephen Curry è
diventato Stephen Curry e molto più di quello che lui stesso avrebbe potuto
immaginare. Creando una favola sulla Baia. Ma le favole non sono tutte belle
dall’inizio alla fine e se fosse tutto facile i Warriors non sarebbero i
Warriors. Nel bene e nel male. Ogni storia di questi
Warriors meriterebbe un libro. Qui ho provato a raccontarvele, partendo da Rick
Barry e Frank Mieuli e attraverso tutti i passi che hanno magicamente condotto
Steph Curry dalla Virginia o da Charlotte alla California del Nord nel momento
giusto, con Klay Thompson e le sue origini bahamensi, Steve Kerr e la sua
storia strappalacrime tra Beirut, Tucson, il destro di Michael Jordan e il
sistema di Gregg Popovich. Una storia che è la somma di tante storie
incredibili. E la più incredibile è proprio l’ultima, quella del titolo perso
nell’anno delle 73 vittorie stagionali. La squadra più forte di sempre,
risultati alla mano, beffata nel suo anno migliore. E in modo rocambolesco,
perdendo gara 7 in casa – non succedeva in Finale dal 1978 -, perdendo dopo
aver condotto 3-1 e in Finale non succedeva… non era mai successo. 32 volte una
squadra in Finale si è trovata avanti 3-1 e tutte e 32 aveva vinto. Poi sono
arrivati loro, quelli del destino bizzarro, della legge di Murphy. E hanno
perso. Diventando umani, se vogliamo, ma regalando subito dopo – ennesimo colpo
di scena inatteso – la perla di aver convinto il più corteggiato free-agent del
nuovo secolo, LeBron James a parte, ad unirsi a loro. Provate a seguirmi.
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