Baron Davis, californiano
di Los Angeles (anzi di UCLA) con il pallino del cinema e una personalità
dirompente, venne acquistato dai New Orleans Hornets, la sua unica squadra NBA
fino ad allora. Era un All-Star, generalmente disinteressato alla difesa ma di talento
enorme, un leader. Per averlo, Mullin sacrificò un giocatore marginale come
Speedy Claxton e un veterano a fine carriera, il suo ex compagno di squadra a
Indiana, Dale Davis. Una grande operazione.
Stephen Jackson di tutti
i “Bad Boys” era il più “bad” di tutti. Texano di Port Arthur, perse un
fratello in circostanze tragiche quando aveva 16 anni, fu il capocannoniere del
McDonald’s All-America Game ed era destinato ad Arizona quando fu dichiarato
accademicamente inutilizzabile. Per alcuni anni fece la spola tra leghe minori
americane e leghe estive dell’America Latina. Jackson era un’anima persa quando
i Nets gli diedero una chance e i San Antonio Spurs lo catapultarono al top.
Nel titolo vinto dagli Spurs nel 2003 lui ebbe un ruolo decisivo, anche in Finale
contro i Nets. Ma i problemi non erano stati superati: andò ad Atlanta, poi a
Indiana e fu uno dei massimi protagonisti della clamorosa rissa di Auburn Hills
tra Detroit e Indiana. Lui salì in tribuna a difendere Ron Artest con
conseguenze immaginabili. A Indiana ne combinò altre, ci fu un incidente fuori
da un nightclub e alla fine venne ceduto ai Warriors nel febbraio del 2007. In
un colpo solo, Mullin cancellò tutti i suoi errori cedendo Dunleavy, Murphy e
anche l’ex prima scelta Ike Diogu. Con Stephen Jackson, arrivò Al Harrington,
ala piccola e grande, un ragazzo dell’area di New York che non aveva mai fatto
il college. La squadra del “We Believe” era stata creata.
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