mercoledì 23 novembre 2016

NBA WEEK 4: Lakers, Utah, Green, Oden, Irving, Harden e i Clips

Negli ultimi tre anni i Los Angeles Lakers hanno vinto 65 partite, otto in meno di quelle vinte dai Golden State Warriors nella sola stagione scorsa. Ecco perché la discesa di Luke Walton da Oakland giù verso Los Angeles è stata mossa più sentimentale che cerebrale. A meno che Walton non sappia qualcosa delle sue qualità di allenatore che noi non sappiamo ancora.

I Lakers, che hanno il 26.4% di vittorie nelle ultime tre stagioni, e ne hanno vinte 17 appena l’anno scorso peggiorando le 21 dell’anno prima quando avevano peggiorato le 27 della stagione precedente, viaggiano oltre il 50% di vittorie, divertono, giocano senza pressione e sono in corsa per conquistare un posto nei playoffs. L’obiettivo teorico resta molto difficile da centrare in una conference in cui non si farà la post-season sotto le 41 vittorie e anche a quella quota non è garantita. Ma questo al momento è il minore dei problemi. Walton sta costruendo una squadra che ha il secondo attacco della Lega per punti di media (110 a partita), che gioca ad alto numero di possessi (100.4 per gara, quarta assoluta) rispettando così la cultura del club e comunque anche parametrando tutti questi numeri su criteri moderni emerge che Walton sta amministrando il nono attacco della Lega e la 18° difesa. Sarebbero posizioni irritanti per la storia della franchigia ma in questo momento sembrano un miracolo destinato a spegnersi o attenuarsi nella portata. Al momento i Lakers hanno un quintetto ben definito in cui D’Angelo Russell e Nick Young sono le guardie, Luol Deng è l’ala piccola (al momento anche la nota negativa) e Julius Randle l’ala forte. Timofey Mozgov con il suo contratto gonfiato parte da centro. Ma è molto interessante la panchina, una delle più produttive della Lega con Jordan Clarkson, lo specialista Lou Williams (15.6 punti in 22.5 minuti), Larry Nance jr e naturalmente la promessa Brandon Ingram, scelto al numero 2 dell’ultimo draft. Walton sta mixando giocatori esperti, guide, con elementi molto giovani o giovanissimi che rappresentano il futuro del club. Il miracolo è che persino uno come Young, responsabilizzato, sta giocando bene, con continuità.
Clarkson è un potenziale sesto uomo dell’anno, di sicuro uno dei migliori: gioca 26.3 minuti, segna 14.8 punti a partita e ha il 55.1% nel tiro da due prendendo 8.9 tiri di questo tipo a partita. Randle, che perse la stagione da rookie per infortunio, è un’ala forte vecchio stile, cioè un giocatore interno che non tira da fuori quindi potrebbe accoppiarsi bene ad un centro con tiro da fuori. Randle si prende 9.1 tiri ravvicinati a partita e li trasforma con il 57.8% quindi il gioco vale la candela e aggiunge 8.7 rimbalzi, primo di squadra. L’altro giocatore importante è D’Angelo Russell, playmaker di taglia fisica al secondo anno che sta ricavando buoni frutti dal tiro da tre: ha il 39% su 6.4 tentativi, quindi si sente sicuro. Sta segnando 16.8 punti con 4.7 assist, che è il dato su cui ha bisogno di migliorare ma somiglia molto in questo a Kyrie Irving. E’ vero però che i Lakers avrebbero festeggiato di più un’eventuale partenza bruciate di Ingram. Il rookie da Duke invece nelle prime 15 partite è stato accettabile, non trascendentale. Tuttavia, risultati a parte, adesso i Lakers sembrano aver puntato la nave nella direzione giusta. Il nucleo di promesse sta lievitando: con Russell, probabilmente Ingram, e Randle ci sono gli ingredienti per una crescita veloce. Clarkson e Nance jr. sono asset ulteriori. Tornare in Lotteria e scegliere giovane di qualità non sarebbe una brutta notizia anche se arriverà il momento in cui un “pacchetto” di giocatori andrà tramutato in una superstar sperando  che uno tra Russell e Ingram lo sia e che una volta tornati competitivi i Lakers tornino ad esercitare il tradizionale fascino sui free-agent. Ma Walton ha rovesciato la tendenza. Per questo è stato lui il vero colpo dell’estate.

FROM GOLDEN TIMES
La scelta di Draymond Green.
Ma c’è un aspetto di questa storia che non può essere dimenticato. Per quanto i Warriors siano una franchigia modello, la selezione di Green grida fortuna. Quell’anno, Golden State aveva due scelte al primo giro e se avesse saputo quello che Green sarebbe diventato in seguito non avrebbe mai aspettato il numero 35 per sceglierlo. I Warriors scelsero al numero 7 Harrison Barnes e al numero 30, ultimo uomo selezionato nel primo round, il centro da Vanderbilt, Festus Ezeli, che per due anni sarebbe stato una figura minore salvo spiccare il volo nella stagione 2013/14 grazie all’ennesimo infortunio di Andrew Bogut. Rifatto oggi quel draft, Anthony Davis verrebbe ancora chiamato al numero 1 da New Orleans e forse Damian Lillard di Portland andrebbe al 2, ma è impossibile pensare ad un Green fuori dalle prime tre chiamate. Se i Warriors avessero creduto davvero in lui fin dal primo momento, come minimo avrebbero scelto lui e non Ezeli alla fine del primo giro. Ma questi sono i colpi di fortuna che inevitabilmente contraddistinguono ogni grande squadra.

IL QUINTETTO DEI JAZZ
Utah non ha una star conclamata nel proprio roster. Gordon Hayward gli somiglia molto ma non lo è ancora. Rudy Gobert non può essere una stella per il tipo di giocatore che è, un centro che protegge il ferro, un supremo difensore ma con limiti - tuttavia attenuati - come attaccante.
Ma Utah è una squadra che piace sul serio a tanti perché ha estrema profondità. Non solo la profondità paga in campo ma consente ad una squadra di essere sempre un potenziale fattore sul mercato.  Può sempre convertire qualcuno dei suoi giocatori giovani e di qualità in una superstar che possa cambiarne i destini. Utah ha anche giocatori esperti come il veteranissimo Joe Johnson, il declinante Boris Diaw e naturalmente George Hill che prima di infortunarsi stava giocando come un All-Star. Ma la scorsa settimana il quintetto di Utah annoverava: Dante Exum (classe 1995), Rodney Hood (1992), Gordon Hayward  (1990), Trey Lyles (1995) e Rudy Gobert  (1992). Il dato saliente è che questi giocatori sono stati tutti scelti dai Jazz nei draft delle ultime sei stagioni. Gobert tecnicamente è stato scelto da Denver ma le squadre avevano già scambiato i diritti di chiamata per cui i Nuggets si limitarono a scegliere il giocatore che Utah aveva indicato loro in attesa che lo scambio venisse certificato dalla Lega. Molto raro un quintetto di giocatori scelti in casa anche se per ora a causa dei tanti infortuni (Hill soprattutto ma prima era successo ad Hayward e poi l'ala forte Derrick Favors) Utah è almeno un livello al di sotto delle aspettative.

L'ERA DEI CENTRI TIRATORI
Dal momento che ormai da tre tirano proprio tutti è normale che lo stiano facendo anche i centri dotati storicamente di un buon tiro dalla media. Brook Lopez è sempre stato un eccellente tiratore dalla media ma fino a questa stagione aveva tre canestri da tre in carriera. Attualmente ne ha segnati 20 in 10 partite con il 35.6%. Marc Gasol è sempre stato dotato di un pungente tiro dalla media distanza ma nessuno ha mai pensato a lui come ad un tiratore. Ma in questa sorta di rivoluzione tecnica che di sicuro ha in atto anche David Fizdale a Memphis anche Gasol è incoraggiato a tirare da tre. Prima di questa stagione aveva segnato 12 triple in carriera. Ne ha messe 17 nelle prime 12 partite di questa stagione.  Il primo centro tiratore affermatosi nella NBA probabilmente è stato Arvydas Sabonis che era diventato un grande tiratore con i piedi per terra quando gli infortuni gli tolsero la rapidità che da giovane ne faceva un fenomeno paranormale. Ma Sabonis non ha mai eseguito più di 1.9 tiri da tre per partita in una stagione. E in carriera aveva il 32.9%. 

POWER 10
1 LA CLIPPERS - Il 3 dicembre giocano in trasferta contro i Warriors. Sarà la quinta di una serie di sei trasferte. Hanno bisogno comunque di uno statement-game contro Golden State.
2 GOLDEN STATE - Draymond Green fa il Green. Steve Kerr viene multato perché critica gli arbitri e loro vincono a ripetizione e ormai sono "arrivati".
3 CLEVELAND - Forse un po' distratti dalla polemica LeBron Vs Phil.
4 SAN ANTONIO - Recuperati Danny Green e Tony Parker hanno aperto una nuova striscia vincente. Loro ci sono sempre.
5 TORONTO - Due sconfitte contro Cleveland e Golden State dicono che i Raptors non sono di quel livello ma non è un delitto. Lo è perdere con Sacramento.
6 MEMPHIS - La rivoluzione filosofica di Fizdale con Zach Randolph dalla panchina e Marc Gasol a tirare da tre.
7 HOUSTON - Clint Capela è al top carriera in tutto anche nei tiri liberi. Il problema è che siamo ancora al 40%.
8 ATLANTA- Non ha stelle se pensiamo che Dwight Howard non lo sia più ma produce un basket solidissimo grazie alla difesa numero 1 della Eastern Conference ma può capitare di perdere con i Knicks.
9 CHARLOTTE- Kemba Walker 33.9% da tre in carriera. 43.5% quest'anno. All-Star Game?
10 CHICAGO - Aver puntato su Dwyane Wade accanto a Jimmy Butler chiudendo il capitolo Rose appare ogni giorno più saggio.

IL DRAMMA DI ODEN
Greg Oden si è definito il più grande bidone nella storia dei draft NBA e ha aggiunto che la sua posizione peggiorerà ogni volta che Kevin Durant continuerà a giocare come sta facendo.
La dichiarazione struggente denuncia un malessere lancinante, il dolore che Oden prova nel dover accettare il proprio destino. Lo stesso Durant si è sentito in dovere di difenderlo.
Oden doveva essere il nuovo Shaquille O'Neal oppure Anthony Davis prima di Anthony Davis. Dipende dai punti di vista. Un centro fisicamente dominante, grande protettore del ferro. Un intimidatore. Oden e Durant si dichiararono entrambi per i draft del 2007 dopo una sola stagione al college. A Ohio State, Oden raggiunse perdendola la Finale NCAA. 
Portland sceglieva al numero 1 e scelse Oden. Nella storia tutti i più grandi errori di valutazione sono stati commessi da chi ha sopravvalutato taglia fisica e prestanza rispetto a talento, tecnica e velocità. Ma Oden era un fuoriclasse vero e nel 2007 almeno tre quarti di NBA avrebbero scelto Oden prima di Durant. Lo fece anche Portland.
Oden non era un bidone ma un giocatore fragile cui gli infortuni hanno impedito di avere una carriera stellare. Il poco tempo in cui ha giocato in decenti condizioni di salute, Oden è stato eccellente.
Il problema è che Portland è stata probabilmente vittima di sé stessa due volte nella propria storia. Prima nel 1984 quando al numero 2 scelse Sam Bowie invece che Michael Jordan. E poi nel decidere tra Oden e Durant. Ma i casi sono differenti.
Bowie era un buon giocatore ma aveva già manifestato problemi fisici a Kentucky. Nessuno nel 1984 pensava che Michael Jordan diventasse Michael Jordan ma non c'è dubbio che preferirei Bowie per una questione di esigenze di squadra fosse un errore colossale. Portland aveva motivi per commettere quell'errore avendo in roster un giocatore giovane e dirompente come Clyde Drexler. 
Sottovalutando Jordan, il general manager di allora Stu Inman pensò che sceglierlo avrebbe solo reso la sua squadra ridondante sul perimetro. Ovviamente sbagliando in modo clamoroso. Aldilà della coesistenza Drexler-Jordan nel basket di allora - comunque avrebbe funzionato e portato i Blazers a diversi titoli NBA- si trattò di un errore abbastanza ricorrente. Quello di scegliere in base alle necessità ignorando quanto possedere assett del miglior livello possibile aiuti strada facendo. Detroit nel 2003 scelse Darko Milicic anziché Carmelo Anthony o Chris Bosh o Dwyane Wade perdendo un'occasione unica di costruire una squadra devastante nel futuro. Fu un errore doppio: non scelse una giovane star da inserire in un gruppo fortissimo ed equilibrato e poi prese anche il giocatore sbagliato. Fu l'errore di Portland con Bowie che al massimo avrebbe potuto essere un Brook Lopez più affidabile in difesa e meno come tiratore.
Ma il caso Oden è differente perché Oden era davvero buono. È stata la sfortuna a tradire sia lui che Portland. 
Paradossalmente Seattle/OKC ha avuto la fortuna di non dover scegliere. Al numero 2 poteva solo chiamare ciò che sarebbe rimasto sul tavolo. Avesse scelto Seattle all'1 non è da escludere che avrebbe preso anch'essa Oden. 
Di sicuro con gli infortuni catastrofici di Bill Walton e Sam Bowie, di Greg Oden e Brandon Ray nessuna franchigia nella storia della Lega può considerarsi più sfortunata dei Blazers. E solo Bowie è stato un errore cercato.

THE RACE FOR THE MVP 
1 JAMES HARDEN - A parte le cifre stagionali, contro Utah ha segnato 31 punti con 10 assist senza palle perse che per uno che tiene tanto la palla è già questa un'impresa.
2 DEMAR DEROZAN - Capo cannoniere della Lega nella seconda squadra della Eastern Conference. Sei tiri a partita in più di un anno fa saltando dal 45 al 49% dal campo.
3 LEBRON JAMES - Settimana antipatica vista la polemica a distanza con Phil Jackson. In ogni caso è al top in carriera in assist e rimbalzi.
4 ANTHONY DAVIS- Il ritorno di Jrue Holiday ha restituito vita ai Pelicans e di conseguenza credibilità al mostruoso rendimento di The Brow.
5 RUSSELL WESTBROOK - Ovviamente la famosa schiacciata risolutiva su Clint Capela con 5 secondi da giocare sul più tre è stata tanto entusiasmante quanto tatticamente errata. Fatica a trovare equilibrio tra la sua voglia di fare tutto e le esagerazioni. Forse perché ai Thunder serva che faccia tutto.
6 KEVIN DURANT - La cosa più impressionante è come abbia alzato le percentuali dal campo sfruttando chirurgicamente il maggio spazio a disposizione.
7 JIMMY BUTLER- New entry eccessiva ma 40 punti per consentire ai Bulls di battere i Lakers facendo riposare Wade sono tanta roba.
8 KAWHI LEONARD- Rispetto alle altre superstar è il meno dotato nel passaggio e la necessità di farsi carico dei nuovi Spurs ha sporcato le sue percentuali ma resta il miglior difensore che sappia anche attaccare e intanto è diventato automatico nei tiri liberi.
9 BLAKE GRIFFIN - I Clippers cominciano una settimana di passione come miglior squadra NBA e lui è il loro miglior giocatore. Il 79.3% ai liberi è top in carriera.
10 STEPHEN CURRY - Il 41.2% è di spessore ma resta la media nel tiro da tre più bassa della sua carriera.

FROM “NEW YORK BASKETBALL STORIES 2.0"
Le origini di Kyrie Irving
Drederick Irving un giorno disse ai due figli, Asia e Kyrie, che avrebbero dovuto ricevere dalla vita più di quanto aveva avuto lui. Non era una grande dichiarazione. Drederick Irving veniva da un ghetto del Bronx, viveva nei Mitchel Projects, la madre gestiva due lavori per mantenere da sola sei figli perché il padre se ne andò senza avvertire nessuno quando Drederick aveva sei anni. Peggio di così, sarebbe stato difficile. Drederick e i suoi vivevano con il welfare, non avevano nulla. Tranne il basket.


LA STATISTICA 1
Dalla stagione 2012/13 a oggi nessun giocatore ha avuto più partite da almeno 30 punti di James Harden con 126.

LA STATISTICA 2
Draymond Green è primo di squadra ai Warriors in rimbalzi, assist e stoppate. Nessuno dei primi 13 stoppatori della Lega è più basso dei suoi presunti 203 cm.

LA STATISTICA 3
DeMar DeRozan ha segnato almeno 30 punti in nove partite su 11. Non succedeva dal 1988. Ovviamente allora l'impresa fu di Michael Jordan.

LA STATISTICA 4
Tim Duncan il cui 21 sarà ovviamente ritirato dagli Spurs è uno dei tre giocatori che hanno vinto più di 1000 partite in carriera. Gli altri due sono Robert Parish e Kareem Abdul-Jabbar.

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