sabato 28 gennaio 2017

Le pretese impossibili del general manager LeBron James



I Cleveland Cavaliers dovranno prendere almeno un giocatore perché l'ha chiesto LeBron James e a LeBron James non puoi dire di no. I Cavs hanno il monte salari più alto della Lega e pagano una fortuna di luxury tax (54 milioni l’anno scorso, 27 in questa stagione) anche perché hanno strapagato giocatori graditi a LeBron come Tristan Thompson nel 2015 e JR Smith nel 2016. Per mantenere una parvenza di dignità ad un payroll enorme (127 milioni quest’anno) hanno dovuto lasciar andare Timofey Mozgov - sacrificio modesto nel sistema di gioco di Tyronn Lue - e Matthew DellaVedova che invece sarebbe stato utile. Nonostante questo sono stati in grado di prendere Kyle Korver da Atlanta, un'addizione generalmente considerata vincente.

Ma LeBron non è soddisfatto. I recenti rovesci hanno accentuato la sua insoddisfazione come gli infortuni (Smith virtualmente non ha giocato finora e comunque tornerà molto tardi). Ha usato Twitter per mettere pressione sul proprietario che sta spendendo di più nella Lega e sul general manager (Dave Griffin) che non avendo spazio salariale più di qualunque altro ha bisogno di essere creativo per rinforzare la squadra. Finora è sempre riuscito nell'intento e Korver lo dimostra. Ma non basta ancora. LeBron guarda i Warriors, guarda gli Spurs e pensa che la panchina non sia abbastanza profonda e forse servirebbe una stella ulteriore. Ha definito la squadra top-heavy. Cioè pendente al top dove ci sono tre star conclamate. Gli altri? Evidentemente non abbastanza per vincere.
LeBron non giocherà in eterno. Ha 32 anni compiuti e un chilometraggio nelle gambe abnorme (38.9 minuti di media in 14 stagioni regolari). Griffin ha ammesso che compito dei Cavaliers è quello di sfruttare al massimo la finestra di tempo in cui LeBron sarà disponibile. Non ci sono scelte da proteggere o giocatori da sviluppare ma solo titoli da vincere. LeBron ne ha vinti tre ma per lui, per un campione come lui non sonosufficienti. Vincendone uno a Cleveland è entrato nella storia della sua città logorata da anni di delusioni sportive atroci. Ma ora ha il dubbio che aver vinto il titolo abbia generato appagamento. Il senso della pressione che sta esercitando è questo: a lui non basta un titolo e vuole che i Cavs lo sappiano. Le uscite pubbliche possono essere infelici ma bisogna ricordare che i suoi rapporti con la proprietà di Dan Gilbert sono rimasti freddi dopo il divorzio polemico, amarissimo del 2010. LeBron non dimentica. Non ha dimenticato tornando e non ha dimenticato vincendo. Il suo status ha superato quello della franchigia per cui gioca. Nella NBA odierna sarà sempre di più così almeno per un ristretto numero di megastar come lui e come è stato Michael Jordan. Hanno il potere di cambiare le strategie. Imporle. LeBron ha influenzato la costruzione di questo roster: lo scambio per Kevin Love, le conferme di Thompson e Smith sono cosa sua. Ma non è questione di avere ragione o torto. Nella NBA è così perché le star spostano più che in ogni altri sport o Lega.
Nel 1997 Michael Jordan fece saltare la cessione di Scottie Pippen a Boston per due scelte altissime (gli obiettivi erano Keith VanHorn e Tracy McGrady) per tentare di vincere un altro titolo. Come poi successe. Pippen andava a scadenza e cederlo aveva senso. Ma i Bulls non poterono farlo. Gli andò bene perché vinsero il titolo anche nel 1998. Jordan non andava d’accordo con il proprietario Jerry Reinsdorf e soprattutto con il general manager Jerry Krause. Per LeBron è lo stesso: rispetta Griffin ma non è in sintonia con Dan Gilbert.
Così come sono concepiti adesso i Cavs possono tornare in finale. Sono i favoriti ad Est. Nettamente. Ma non lo sarebbero in Finale. Non contro i Warriors o contro gli Spurs. Hanno battuto Golden State a Cleveland ma è stata più una prova di carattere e al limite un segnale di vulnerabilità dei Warriors in una partita secca che un messaggio. Anzi tecnicamente i Warriors avevano vinto anche quella partita. Per batterli in una serie di sette gare non hanno abbastanza armi, i Cavs. Non le avevano neanche nel giugno scorso ma successero cose particolari: la sospensione di Draymond Green e poi l'infortunio di Andrew Bogut. Ma quest'anno i Warriors hanno Kevin Durant laddove avevano Harrison Barnes. LeBron potrebbe giocare la sua Finale numero 8, la settima consecutiva ma non è per questo che gioca.
Ha motivi per ritenere di avere ragione. Alla sua età e in una stagione come questa i Cavs lo utilizzano 37.6 minuti a partita. Nessuno gioca quanto lui. In tre gare consecutive è rimasto in campo oltre 43 minuti. Atteggiamento pericoloso. Ma sono 3-12 quando non va in campo negli ultimi tre anni. Quindi è normale che Lue senta la pressione di usarlo per vincere. Ma è rischioso. Eppure la realtà è che Griffin dovrebbe fare una magia per elevare il roster di questi Cavs. Dicono che i Knicks abbiano proposto Carmelo Anthony e che Cleveland abbia chiuso la trattativa prima che decollasse. Sarebbe stato suggestivo e lo scambio avrebbe fatto felice Melo, i Knicks e forse in questo contesto persino LeBron se non avesse comportato la cessione di Kevin Love che invece è giustamente un intoccabile. I Cavs dovranno fare qualcosa e non è questione che riguardi l’atteggiamento giusto o sbagliato, egoista o intollerante di LeBron. E’ così e basta. Ma trovare un giocatore che rinforzi la squadra resta impresa disperata

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