martedì 7 marzo 2017

Los Angeles Lakers: come e più di un reality



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(AGGIORNAMENTO) Luke Walton non vorrebbe abbracciare la teoria del "tanking" selvaggio perché creerebbe una sorta di cultura della sconfitta che alla lunga non paga. Ma i Lakers non sono abbastanza forti per i playoffs mentre sono abbastanza scarsi da finire comunque lontanissimi dalla zona che conta quindi servirebbe solo un "aiutino". Che piaccia o no il "tanking" funziona. Le nuove regole che dovrebbero favorire la permanenza delle grandi stelle nelle loro squadre originali potrebbero risolvere un problema e crearne un altro: se i draft sono l'unico modo per procurarsi un grande giocatore, il "tanking" diventerà inevitabile per salire a certi livelli. La cessione di Lou Williams che segnava oltre 18 punti di media ha tolto a Walton ogni chance di vincere in modo consistente. Triste ma vero, inevitabile e condivisibile.
Quando erano 10-10 i Lakers si erano forse convinti di trovarsi più avanti nello sviluppo della squadra. Poi sono arrivate otto sconfitte in fila e la realtà ha fatto breccia. I Lakers vengono da tre stagioni pessime che hanno consentito loro di scegliere molto in alto nel draft ma questo non è ancora servito a migliorare il prodotto sul campo. I tre giocatori arrivati sono tutti buoni o molto buoni. Arriverà il giorno in cui renderanno i Lakers di nuovo significativi come squadra dando per scontato che Walton sarà una presenza stabile in panchina.
Ma D'Angelo Russell, Brandon Ingram (il secondo giocatore più giovane della Lega, una versione in scala di Kevin Durant secondo gli ottimisti) e Julius Randle sono eccellenti giocatori, ma forse non sono stelle destinate a cambiare la storia della franchigia nei prossimi anni. Non si vede tra loro l'evidente potenziale di Joel Embiid o Karl-Anthony Towns o Kristaps Porzingis. Il giocatore attorno al quale costruire, la prima punta di una squadra da titolo, i Lakers non ce l'hanno. Hanno il cast di supporto che può rivelarsi molto intrigante (aggiungerei Ivica Zubac e Larry Nance jr più che Jordan Clarkson tra chi ha potenziale di primo piano). Ma come sono caduti così in basso?

Nel 2007, nel terzo anno del Phil Jackson Bis, i Lakers erano un eccellente squadra trascinata dalla furia omicida di Kobe Bryant. Non erano una squadra da titolo ma avevano bisogno di poco per esserlo. Dalla trade per Kareem Abdul-Jabbar alla scelta di Magic Johnson in trenta anni sono riusciti con fortuna, abilità e il loro ruolo – ora smarrito - di franchigia simbolo della NBA, a ricostruire tre dinastie. La prima è durata tutti gli anni '80 (Magic, Kareem e Pat Riley), la seconda tra il 1996 e il 2004 (Shaq, Kobe e Phil Jackson) e la terza stavano per metterla in piedi di nuovo appunto nel 2008.aa
Il giocatore che mancava era Pau Gasol: riuscirono a prenderlo senza sacrificare nessuno dei loro giocatori di rotazione. Semplicemente aggiunsero Gasol ad un roster già di alto livello (a parte il miglior Kobe, avevano Lamar Odom al top, Trevor Ariza in fase di decollo, Derek Fisher, Andrew Bynum). Gregg Popovich era così indignato dallo scambio che chiese l'istituzione di una commissione tecnica che approvasse o meno scambi senza senso tecnicamente. In realtà lo scambio aveva senso perché i Lakers cedettero a Memphis anche i diritti di un giocatore scelto e lasciato in Spagna: Marc Gasol.
In sostanza Memphis scambiò una star di 28 anni, superflua in quel momento, per una futura stella di 23 anni che sarebbe diventato uno dei giocatori più importanti nella storia della franchigia. Il migliore o quasi. Chris Wallace, allora capo delle operazioni dei Grizzlies, sapeva cose di Marc Gasol che nessun altro sapeva. O forse ha avuto solo fortuna. Ma lo scambio Pau per Marc aveva perfettamente senso come ha dimostrato la storia. Nessuno a Memphis o ai Lakers l'ha mai rimpianto. Con Pau Gasol, i Lakers giocarono tre finali consecutive di cui due vinte.
Poi sono diventati ostaggio di Kobe Bryant.
Nessun club a parte forse i Celtics è mai stato tanto legato
ai propri campioni quanto i Lakers. È nel DNA: Elgin Baylor, Jerry West, Magic Johnson, James Worthy e Kobe Bryant hanno speso la loro intera carriera con i Lakers. Wilt Chamberlain e Kareem hanno finito la loro carriera ai Lakers. Shaq (scambiato a Miami nell’estate del 2004) è stato un'eccezione.
Ma per sostenere la presenza e le ambizioni di Bryant, i Lakers non solo hanno perso tempo e gonfiato il monte salari inutilmente, hanno anche confezionato alcune trade che pagano ancora oggi.
Per sgombrare il campo dagli equivoci voglio dire che sono favorevole a chi resta fedele ai propri miti. Quindi che i Lakers abbiano sostenuto Kobe all'eccesso lo trovo romantico e corretto.
Ci sono stati quattro momenti significativi del declino dei Lakers. Due poco rilevanti e uno addirittura opinabile.
1) Nel 2009 dopo aver vinto il titolo i Lakers sostituirono Ariza con Metta World Peace
(Ron Artest). Stesso salario. Ma Ariza otto anni dopo è ancora uno starter a Houston mentre MWP è un ex giocatore. Si può obiettare che con MWP arrivò comunque il titolo del 2010. Fu anche decisivo in gara 7 della Finale contro i Celtics. Ma Ariza era molto più futuribile.
2) Nel dicembre del 2011 Lamar Odom venne scaricato a Dallas dove la sua vita è andata a rotoli. Ma questa è un'altra storia.
3) Nell'estate del 2012 i Lakers sono andati sul mercato con inaudita aggressività per prendere il veterano Steve Nash (ma ormai agli sgoccioli), mossa palesemente sbagliata, e 4) Dwight Howard. Per averli sono stati sacrificati giocatori minori, trascurabili o finiti (Andrew Bynum, anche se nessuno lo sapeva ai tempi) ma soprattutto due prime scelte. Quando un club sacrifica le scelte, i danni del proprio comportamento si materializzano in futuro. Puoi giustificarlo solo vincendo. Ma non è questo il caso. Inoltre quando scambi a lunga scadenza non sai bene cosa stai sacrificando (nessuno lo sa meglio di loro: così gli è stato possibile molti anni fa mettere le mani su Magic Johnson e poi su James Worthy, due numeri 1 del draft). I Lakers stessi non lo sanno ancora. E adesso hanno le spalle al muro.

Per ottenere Steve Nash da Phoenix rinunciarono ad esempio ad una prima scelta che successivamente è finita ai Sixers (Sam Hinkie ogni giorno che passa sembra sempre di più che sapesse cosa stesse facendo a Philly). La scelta era protetta per le prime cinque posizioni nel 2015 così i Lakers se la sono tenuta prendendo D'Angelo Russell. Poi era protetta per le prime tre scelte nel 2016 (ed è diventata Brandon Ingram). Per il 2017 è protetta ancora per le prime tre posizioni. Di qui l'invito a Walton di pilotare elegantemente la squadra verso il fondo per non omaggiare i Sixers di un'altra scelta di Lotteria. La prima mossa di Magic Johnson come vice presidente dell'area tecnica è stata effettuata in questa direzione.
Ma non è tutto: se i Lakers riuscissero a sfuggire al danno (non basta perdere: serve anche l'aiuto della palline da ping pong) e chiamare con uno dei primi tre pick anche nel 2017, la stessa scelta - senza protezioni - finirebbe ai Sixers nel 2018. Quindi anche il  "tanking" comporta dei rischi. Eppure non è ancora tutto. Incredibile: non è ancora tutto!
Anche per avere Howard da Orlando, i Lakers hanno ipotecato il futuro. Se la scelta del 2017 andasse ai Sixers, la prima del 2019 andrà ai Magic. Se invece i Sixers riceveranno la scelta del 2018 ai Magic andranno due seconde scelte.
È ovvio che nel dubbio i Lakers preferirebbero tenersi la prima scelta del 2017 e rischiare su quella del 2018 perché così eviterebbero di perderne una seconda.
In generale queste sono le situazioni che richiedono anni per essere cancellate. Sarà così anche per loro. E i Lakers in cambio di tutto questo non hanno nulla da esibire. Nash e Howard non hanno funzionato. Howard se n'è andato a Houston da free-agent quindi in cambio di nulla. Alle loro spalle, ci sono solo macerie e qualche giovane interessante. Quando cedettero Steve Blake ai Warriors ricevettero Kent Bazemore ma non si accorsero di cosa fosse e adesso è uno starter ad Atlanta. Un altro rimpianto. Minore ma significativo.
Normale che Jeanie Buss, al comando delle operazioni, abbia fatto piazza pulita liquidando i responsabili di questo disastro ovvero il fratello enigmatico Jim (che aveva promesso le dimissioni) e il general manager storico Mitch Kupchak immeritatamente coinvolto nel mucchio dopo tanti anni seri e vincenti (lui ha preso Pau Gasol ad esempio) puntando sulla coppia Magic-Pelinka dei quali si sottolinea peraltro il livello di esperienza nella gestione di un club. Zero.
Buss e Kupchak però hanno una grande attenuante ovvero un episodio storico, controverso e in qualche modo imbarazzante che ha condizionato la storia della NBA.

Nel dicembre del 2011, prima che prendessero Steve Nash e Dwight Howard, i Lakers avevano acquistato da New Orleans addirittura Chris Paul. Il commissioner David Stern intervenne invalidando lo scambio che avrebbe coinvolto anche Houston. Difficile credere che non l'abbia fatto su pressione di diversi degli altri proprietari, Dan Gilbert di Cleveland in testa colui che si epose più di tutti.
In quel momento New Orleans era gestita dalla Lega che ne aveva assunto la proprietà in attesa di trovare un nuovo owner (sarebbe stato Tom Benson). Ma Stern aveva assicurato che il potere operativo del general manager Dell Demps sarebbe stato totale. Non ci sarebbero stato interferenze. Alla faccia.
Lo scambio originale prevedeva che Pau Gasol finisse a Houston e Chris Paul appunto ai Lakers. New Orleans avrebbe ereditato Lamar Odom, Luis Scola, Kevin Martin e Goran Dragic. Dopo l'irruzione di Stern e la cessione di Paul ai Clippers, New Orleans ricevette un pacchetto di giocatori insignificanti, molto inferiore a quello previsto dal primo scambio (unico significativo: Eric Gordon). Stern sosteneva che il secondo scambio fosse migliore perché a New Orleans andò anche una prima scelta. Nella sostanza la differenza è che New Orleans fu costretta a ricostruire e facendolo ebbe poi la possibilità di scegliere Anthony Davis. Non si può dire con esattezza che Stern abbia nociuto ai Pelicans ma che si sia intromesso è certo.
Ma cosa sarebbe successo se Chris Paul fosse arrivato ai Lakers al top della condizione per giocare con Kobe senza sottrarre ai Lakers gli asset che successivamente avrebbero permesso di prendere Howard? Per molti avrebbero vinto almeno un titolo. Di sicuro avrebbero esteso la loro competitività per qualche anno. Forse oggi racconteremmo una storia molto diversa. Perché questa è davvero brutta e non è chiaro quando cesserà di esserlo.
Anni fa David Stern con una battuta significativa disse che per la Lega la finale perfetta sarebbe stata Lakers contro Lakers. Erano i tempi in cui vincevano sul campo e facevano parlare fuori.  Kobe Bryant accusato di molestie che nella sua deposizione coinvolge Shaquille O'Neal. I litigi tra i due. Gli interventi non sempre da paciere di Phil Jackson che a sua volta era il fidanzato della figli del proprietario di allora. Jeanie Buss appunto. Oggi i Lakers non vincono ma continuano a far discutere e sono meglio di un reality. Il colpo di stato di Magic Johnson approvato da Jeanie Buss. La risposta dei fratelli Buss che hanno tentato di far cadere Jeanie. Questioni che finiranno in tribunale e le cui conseguenze non sono immaginabili. Sappiamo che la famiglia Buss governa i Lakers ma sono sei fratelli che in sostanza non si amano. Il patriarca Jerry si starà rivoltando nella tomba anche se aveva lasciato indicazioni precise sul capolavoro della sua vita. I Lakers non la famiglia.

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