La fine di “Lob City”, sancita dalla defezione di Chris Paul,
aveva messo i Clippers in una situazione molto difficile in estate, in mezzo al
guado tra la ricostruzione o il tentativo di rimanere ancora competitivi a
dispetto di una perdita devastante come quella del cosiddetto “Point-God” con
cui – va ricordato – comunque i Clippers non sono mai andati oltre il secondo
turno dei playoffs. In estate i Clippers non erano pronti ad arrendersi e accettare un ruolo minore, per
tanti motivi, alcuni commerciali (prezzi dei biglietti alzati, trattative in
corso per un nuovo impianto, la battaglia per la torta televisiva nella zona di
Los Angeles, i Lakers del nuovo corso), e altri più strettamente agonistici. In
fondo si erano illusi di essere più forti di quello che erano o forse erano stati
solo più sfortunati di altre squadre. Fatto sta che la perdita di Paul, in minima
parte compensata dai giocatori arrivati da Houston principalmente Lou Williams,
non ha convinto Steve Ballmer, il supermiliardario proprietario del club, a
staccare la spina e ripartire. I Clippers hanno provato a rimanere rilevanti prendendo
Danilo Gallinari – e non sono stati fortunati, visto che praticamente per ora
non ha giocato – e soprattutto estendendo Blake Griffin.
Via Paul, rinunciare a Griffin avrebbe potuto essere una
strada ampiamente percorribile per ridurre il monte salari e accelerare il
processo di ripartenza con tanta flessibilità salariale, scelte alte eccetera.
Invece hanno pensato che Griffin fosse un uomo-franchigia (vero), la prima vera
bandiera del club (vero), un giocatore magari da coccolare per tutta la carriera fino
al ritiro della maglia (per convincerlo a firmare a 171 milioni complessivi
hanno improvvisato una cerimonia fasulla del ritiro del numero 32).
Ma come spesso succede, dopo averlo firmato, sono
sopraggiunti i pentimenti: i Clippers, con Griffin ma senza Paul e con un
DeAndre Jordan in scadenza di contratto, sono una squadra da 50% di
vittorie (i tanti infortuni lasciano presupporre che possano essere meglio di
così ma non molto meglio), ovvero quel territorio che non ti porta da nessuna
parte. Griffin, che ha saltato il 40% delle proprie partite negli ultimi tre
anni e due volte si è fermato nei playoffs, è stato assente 16 partite quest’anno.
Senza di lui i Clippers sono andati 8-8, grosso modo lo stesso bilancio
collezionato con lui abile e arruolato. In più era da valutare la posizione di
Jordan e infine stiamo parlando di un giocatore da 29 milioni di dollari che
saranno 39 nel 2020/21 quando avrà 32 anni. Un contratto pesantissimo che strozza il salary cap,
per un giocatore di altissimo livello (al momento 21.6 punti, 9.3 rimbalzi, 4.6
assist oltre ad una crescente pericolosità come tiratore da fuori) ma non il
giocatore attorno al quale costruisci una squadra da titolo, l’obiettivo
dichiarato di Ballmer.
La cessione a Detroit non significa necessariamente una
ricostruzione totale: i Clippers si sono soprattutto ringiovaniti e hanno recuperato
flessibilità salariale. Avery Bradley (15.0 punti e la fama di difensore di
primissima fascia) in scadenza di contratto e l’ottimo Tobias Harris (18.1
punti, 5.1 rimbalzi, il 41% da tre, career-high) sono buoni giocatori di
complemento ma non sono ovviamente la ragione per cui hanno scambiato Griffin.
Permettono ai Clippers di mantenere un certo livello di competitività in attesa
delle prossime mosse, la più importante delle quali riguarda proprio Jordan. Harris
va a scadenza nel 2019.
Quello che i Clippers vogliono è un payroll modesto per
andare a caccia di un free-agent trascinante e tante scelte. Ora non hanno vincoli reali a imporre le strategie. Questo è il
consiglio di Jerry West, salito a bordo in estate, un cambio di tendenza netto
rispetto al passato quando sotto l'egida del coach-manager Doc Rivers avevano compromesso il futuro per veterani pronto uso. I Clippers nel 2018 potrebbero avere due selezioni in Lotteria,
la propria e quella dei Pistons in un draft considerato profondo, o comunque due prime scelte. Altri pick
potrebbero arrivare con ulteriori cessioni (la prima scelta del 2019 andrà a
Boston ma solo se sarà dopo la chiamata numero 14). E' una sterzata netta verso un futuro distante e senza garanzie. Ma hanno molto da offrire: Los Angeles, le ambizioni di Ballmer, soldi e gli assett per poter in qualunque momento fare un colpo.
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