sabato 24 febbraio 2018

Trust The Process: a che punto siamo Philadelphia?



E’ molto probabile che a South Philly quest’anno si giocheranno partite di playoffs. Magari non molte, partendo dalla posizione attuale, la settima nella Eastern Conference, ma è significativo perché per la prima volta da molti anni i Sixers non stanno giocando solo per il futuro. Un possibile scontro di post-season con i Boston Celtics sarebbe un trionfo per i nostalgici dell’era in cui due delle franchigie storiche della Lega si contendevano su base annua l’accesso alla Finale NBA. Per otto anni, dal 1980 al 1987, l’Est è stato rappresentato in Finale dai Sixers o dai Celtics. L’ultimo titolo vinto da Philadelphia risale al 1983, l’ultima Finale al 2001, all’apice dell’era firmata da Allen Iverson. Non è un mistero che il futuro dei Sixers sia spettacolare: tre dei giocatori del quintetto base hanno 23 anni o meno, due di essi hanno potenziale da MVP (Joel Embiid e Ben Simmons; il terzo uomo è Dario Saric), un quarto ha 27 anni (Robert Covington). In altre parole, hanno il personale e l’età per competere al vertice per i prossimi 10 anni con una squadra costruita attorno a tre o quattro giocatori già presenti nel roster tra i quali solo Covington è già al top del proprio rendimento. L’unica vera incognita è rappresentata dal fisico di Embiid, che tecnicamente sarebbe al quarto anno nella Lega ma di fatto è poco più di un rookie.

IL ROSTER – Bryan Colangelo ha ereditato le fondamenta del gruppo da Sam Hinkie. Mai nella storia della NBA una squadra è stata identificata – anche in termini di slogan, il famoso “Trust the Process” – da un manager che non c’è più. Colangelo sta ricevendo critiche durissime da una piazza mediaticamente complicata come Philadelphia per la gestione pubblica del caso Fultz, sul quale aleggiano enormi misteri, e scacciare la scomoda sensazione di essere stato drammaticamente “sconfitto” da Danny Ainge nello scambio “Pick 1 per Pick 3”. Poi non è riuscito a “vendere” bene Nerlens Noel e Jahil Okafor ma i fatti dicono che nessuno dei due ha dimostrato di valere la propria posizione nel draft (Noel si è operato alla mano, quando ha giocato a Dallas l’ha fatto poco e in modo trascurabile; Okafor a Brooklyn non ha fatto ancora nulla di significativo). Però tutte le operazioni di mercato le ha fatte in modo tecnicamente corretto, senza compromettere mai la flessibilità salariale della squadra. JJ Redick sta giocando 32 minuti a partita, è il secondo realizzatore di squadra e il miglior tiratore da tre punti ovviamente. Guadagna 23 milioni di dollari ma il suo contratto scade a fine giugno. Come quello di Amir Johnson e come quello di Marco Belinelli. I Sixers non si sono impegnati oltre e sulla carta potrebbero avere 31 milioni di dollari da investire sul mercato dei free-agent. Sulla carta perché ovviamente Redick potrebbe essere confermato e erodere una parte di questo ammontare. D’altronde è possibile che tentino di fare il colpo sul mercato più avanti, nel 2019 o 2020, quando saranno più vicini ad un ruolo da contender ed essere appetibili da free-agent di primissima fascia. E’ la stessa mossa che hanno fatto i Lakers quando hanno firmato Kentavious Caldwell-Pope e scambiato giocatori con contratti più o meno lunghi (D’Angelo Russell, Jordan Clarkson, Larry Nance) tramutandoli in giocatori a scadenza come Brook Lopez e Isaiah Thomas. Ma i Sixers nell'evoluzione sono molto più avanti dei Lakers.


I DRAFT – Naturalmente migliorare la classifica significa non poter più contare sul rafforzamento tramite draft. E’ una conseguenza logica, e quindi gradita, del differente status sociale raggiunto dai 76ers. Ma prima di pagarne le conseguenze, le operazioni di mercato passate permetteranno a Colangelo di iniettare altro sangue giovane nel roster (oppure di usare questi asset per scambi di mercato vantaggiosi). Ad esempio nel prossimo draft i Sixers dovrebbero avere la prima scelta dei Lakers: in realtà hanno ceduto una parte di quel diritto a Boston, in particolare per le posizioni dalla 2 alla 5. Colangelo si è tenuto il diritto di chiamare all’1 e dalla posizione numero sei in avanti. Siccome i Lakers non hanno alcun interesse a fare tanking non disponendo della loro prima scelta, giocheranno per vincere fino alla fine, mentre lo stesso non si può dire per Atlanta (la rinuncia a Belinelli è un esempio), per Dallas (l’ha ammesso Mark Cuban e ha rimediato 600.000 dollari di multa), per Chicago, Phoenix, Sacramento Orlando e Memphis. E’ chiaro che la Lotteria potrebbe diventare beffarda ma in termini di probabilità il pick dei Lakers dovrebbe scivolare oltre la quinta chiamata e rimanere a Philadelphia. In un draft promettente possono prendere un giocatore funzionale. Non solo questo: se la prima scelta dei Lakers finirà a Boston, nel 2019 avranno la chiamata di Sacramento (potenzialmente molto intrigante); se invece la selezione del 2018 resterà a Philly, dovranno dare ai Celtics la migliore chiamata tra quella dei Kings e la loro. In ogni caso avranno tre prime scelte in due anni.

FULTZ – Il caso Markelle Fultz rappresenta il grande neo dei Sixers di quest’anno. Per avere un bomber creativo, considerato perfetto per completare le caratteristiche di Simmons (che da tre non tira letteralmente mai), i Sixers hanno girato a Boston una prima scelta (come visto, quella dei Lakers oppure nel 2019 una tra la loro e quella di Sacramento) più i diritti sulla selezione numero 3 del draft scorso che i Celtics hanno usato per prendere Jayson Tatum ovvero un’ala che ha già cancellato ogni dubbio sulla propria consistenza. Nessuno ha criticato Colangelo per la scelta di Fultz: era considerato il miglior prospetto praticamente all’unanimità. Quello che è successo dopo, nessuno poteva prevederlo e nessuno ha capito se Fultz si è infortunato perché ha cambiato meccanica di tiro o se ha cambiato meccanica perché si è infortunato. E nessuno ha capito se non sta giocando perché non è in grado di tirare da più di tre metri – come ha dichiarato ad un certo punto Colangelo – o se il problema sia più mentale che fisico. Il risultato attuale sono quattro presenze, con plus/minus agghiaccianti (- 43 complessivo). Difficilmente tornerà prima della prossima stagione. 



IN CONCLUSIONE – Rilevare che la virtuale assenza stagionale della prima scelta assoluta non abbia inciso sulla stagione dei Sixers e sulle loro prospettive future è un tributo a quanto bene abbiano programmato questo momento. Nessun club NBA ha mai gettato via una prima scelta senza conseguenze almeno momentanee. I Sixers non hanno avuto nulla da Fultz ma probabilmente giocheranno i playoffs né qualcuno mette in dubbio che l’asse Simmons-Embiid possa portare a Philly un titolo NBA o anche di più, proprio com’era nelle idee di Hinkie. Se Fultz diventerà il giocatore che si pensava fosse, i Sixers avranno la terza star che cercavano nell’ultimo draft, tanto spazio salariale per completare il roster nei prossimi anni e nuovi asset in arrivo via draft. Se Fultz si rivelerà un clamoroso flop, qualunque sia il motivo, sarà tutto un po’ meno facile ma quando hai Embiid e Simmons hai anche ottime ragioni per guardare al futuro. Se Embiid è un giocatore generazionale e moderno per le sue caratteristiche totali, un point-man da quasi otto rimbalzi e otto assist di media nella stagione da rookie, che tira con il 73.6% dentro l’area, è più unico che raro. Philadelphia ha appena celebrato il Superbowl degli Eagles. I Sixers possono fare molto di più. Basta avere pazienza, un pizzico di fortuna e tanta fiducia. Trust the Process, appunto.

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