E’ molto probabile che a South Philly quest’anno si
giocheranno partite di playoffs. Magari non molte, partendo dalla posizione
attuale, la settima nella Eastern Conference, ma è significativo perché per la
prima volta da molti anni i Sixers non stanno giocando solo per il futuro. Un
possibile scontro di post-season con i Boston Celtics sarebbe un trionfo per i
nostalgici dell’era in cui due delle franchigie storiche della Lega si
contendevano su base annua l’accesso alla Finale NBA. Per otto anni, dal 1980
al 1987, l’Est è stato rappresentato in Finale dai Sixers o dai Celtics. L’ultimo
titolo vinto da Philadelphia risale al 1983, l’ultima Finale al 2001, all’apice
dell’era firmata da Allen Iverson. Non è un mistero che il futuro dei Sixers
sia spettacolare: tre dei giocatori del quintetto base hanno 23 anni o meno,
due di essi hanno potenziale da MVP (Joel Embiid e Ben Simmons; il terzo uomo è Dario Saric), un quarto ha
27 anni (Robert Covington). In altre parole, hanno il personale e l’età per
competere al vertice per i prossimi 10 anni con una squadra costruita attorno a
tre o quattro giocatori già presenti nel roster tra i quali solo Covington è
già al top del proprio rendimento. L’unica vera incognita è rappresentata dal
fisico di Embiid, che tecnicamente sarebbe al quarto anno nella Lega ma di
fatto è poco più di un rookie.
IL ROSTER – Bryan Colangelo ha ereditato le fondamenta del
gruppo da Sam Hinkie. Mai nella storia della NBA una squadra è stata
identificata – anche in termini di slogan, il famoso “Trust the Process” – da un
manager che non c’è più. Colangelo sta ricevendo critiche durissime da una
piazza mediaticamente complicata come Philadelphia per la gestione pubblica del
caso Fultz, sul quale aleggiano enormi misteri, e scacciare la scomoda
sensazione di essere stato drammaticamente “sconfitto” da Danny Ainge nello
scambio “Pick 1 per Pick 3”. Poi non è riuscito a “vendere” bene Nerlens Noel e
Jahil Okafor ma i fatti dicono che nessuno dei due ha dimostrato di valere la propria
posizione nel draft (Noel si è operato alla mano, quando ha giocato a Dallas l’ha
fatto poco e in modo trascurabile; Okafor a Brooklyn non ha fatto ancora nulla di
significativo). Però tutte le operazioni di mercato le ha fatte in modo
tecnicamente corretto, senza compromettere mai la flessibilità salariale della
squadra. JJ Redick sta giocando 32 minuti a partita, è il secondo realizzatore
di squadra e il miglior tiratore da tre punti ovviamente. Guadagna 23 milioni
di dollari ma il suo contratto scade a fine giugno. Come quello di Amir Johnson
e come quello di Marco Belinelli. I Sixers non si sono impegnati oltre e sulla
carta potrebbero avere 31 milioni di dollari da investire sul mercato dei
free-agent. Sulla carta perché ovviamente Redick potrebbe essere confermato e
erodere una parte di questo ammontare. D’altronde è possibile che tentino di
fare il colpo sul mercato più avanti, nel 2019 o 2020, quando saranno più
vicini ad un ruolo da contender ed essere appetibili da free-agent di
primissima fascia. E’ la stessa mossa che hanno fatto i Lakers quando hanno
firmato Kentavious Caldwell-Pope e scambiato giocatori con contratti più o meno
lunghi (D’Angelo Russell, Jordan Clarkson, Larry Nance) tramutandoli in
giocatori a scadenza come Brook Lopez e Isaiah Thomas. Ma i Sixers nell'evoluzione sono molto più avanti dei Lakers.
I DRAFT – Naturalmente migliorare la classifica significa
non poter più contare sul rafforzamento tramite draft. E’ una conseguenza
logica, e quindi gradita, del differente status sociale raggiunto dai 76ers. Ma
prima di pagarne le conseguenze, le operazioni di mercato passate permetteranno
a Colangelo di iniettare altro sangue giovane nel roster (oppure di usare
questi asset per scambi di mercato vantaggiosi). Ad esempio nel prossimo draft
i Sixers dovrebbero avere la prima scelta dei Lakers: in realtà hanno ceduto
una parte di quel diritto a Boston, in particolare per le posizioni dalla 2
alla 5. Colangelo si è tenuto il diritto di chiamare all’1 e dalla posizione
numero sei in avanti. Siccome i Lakers non hanno alcun interesse a fare tanking
non disponendo della loro prima scelta, giocheranno per vincere fino alla fine,
mentre lo stesso non si può dire per Atlanta (la rinuncia a Belinelli è un
esempio), per Dallas (l’ha ammesso Mark Cuban e ha rimediato 600.000 dollari di
multa), per Chicago, Phoenix, Sacramento Orlando e Memphis. E’ chiaro che la
Lotteria potrebbe diventare beffarda ma in termini di probabilità il pick dei
Lakers dovrebbe scivolare oltre la quinta chiamata e rimanere a Philadelphia.
In un draft promettente possono prendere un giocatore funzionale. Non solo
questo: se la prima scelta dei Lakers finirà a Boston, nel 2019 avranno la
chiamata di Sacramento (potenzialmente molto intrigante); se invece la selezione
del 2018 resterà a Philly, dovranno dare ai Celtics la migliore chiamata tra
quella dei Kings e la loro. In ogni caso avranno tre prime scelte in due anni.
FULTZ – Il caso Markelle Fultz rappresenta il grande neo dei
Sixers di quest’anno. Per avere un bomber creativo, considerato perfetto per
completare le caratteristiche di Simmons (che da tre non tira letteralmente mai),
i Sixers hanno girato a Boston una prima scelta (come visto, quella dei Lakers
oppure nel 2019 una tra la loro e quella di Sacramento) più i diritti sulla
selezione numero 3 del draft scorso che i Celtics hanno usato per prendere
Jayson Tatum ovvero un’ala che ha già cancellato ogni dubbio sulla propria
consistenza. Nessuno ha criticato Colangelo per la scelta di Fultz: era
considerato il miglior prospetto praticamente all’unanimità. Quello che è
successo dopo, nessuno poteva prevederlo e nessuno ha capito se Fultz si è
infortunato perché ha cambiato meccanica di tiro o se ha cambiato meccanica
perché si è infortunato. E nessuno ha capito se non sta giocando perché non è
in grado di tirare da più di tre metri – come ha dichiarato ad un certo punto
Colangelo – o se il problema sia più mentale che fisico. Il risultato attuale sono
quattro presenze, con plus/minus agghiaccianti (- 43 complessivo). Difficilmente
tornerà prima della prossima stagione.
IN CONCLUSIONE – Rilevare che la virtuale assenza stagionale
della prima scelta assoluta non abbia inciso sulla stagione dei Sixers e sulle
loro prospettive future è un tributo a quanto bene abbiano programmato questo
momento. Nessun club NBA ha mai gettato via una prima scelta senza conseguenze
almeno momentanee. I Sixers non hanno avuto nulla da Fultz ma probabilmente
giocheranno i playoffs né qualcuno mette in dubbio che l’asse Simmons-Embiid
possa portare a Philly un titolo NBA o anche di più, proprio com’era nelle idee
di Hinkie. Se Fultz diventerà il giocatore che si pensava fosse, i Sixers avranno
la terza star che cercavano nell’ultimo draft, tanto spazio salariale per
completare il roster nei prossimi anni e nuovi asset in arrivo via draft. Se
Fultz si rivelerà un clamoroso flop, qualunque sia il motivo, sarà tutto un po’
meno facile ma quando hai Embiid e Simmons hai anche ottime ragioni per
guardare al futuro. Se Embiid è un giocatore generazionale e moderno per le sue
caratteristiche totali, un point-man da quasi otto rimbalzi e otto assist di
media nella stagione da rookie, che tira con il 73.6% dentro l’area, è più
unico che raro. Philadelphia ha appena celebrato il Superbowl degli Eagles. I
Sixers possono fare molto di più. Basta avere pazienza, un pizzico di fortuna e tanta fiducia. Trust the Process, appunto.
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