Negli ultimi due anni i migliori tre giocatori dei Toronto
Raptors sono andati a scadenza di contratto. Ogni singolo contratto in scadenza
ha dato la possibilità al general manager Masai Ujiri – una storia incredibile
la sua, ragazzo nigeriano emigrato negli Stati Uniti per il college e diventato
un top manager nella NBA – di implodere la propria creatura e ripartire da zero
prendendo atto che la squadra non era abbastanza forte da superare LeBron James
o difendersi dall’ascesa di Boston, per cominciare (ma anche Philadelphia e forse
Milwaukee), ma comunque troppo costosa per attrarre free-agent altrui e troppo
buona per scegliere in alto nel draft. E invece Ujiri ha confermato le sue
star, eseguito un capolavoro nel circondarli di giocatori giovani, a basso
costo e futuribili, e ha in mano adesso una squadra che entrerà nei playoff come
prima di conference e con la concreta possibilità di approdare per la prima
volta nella sua storia in finale.
Per capire i Raptors bisogna ripartire da molto lontano ovvero dal 2006. In quel momento, Toronto era la squadra di Chris Bosh, uno dei grandi nomi del draft del 2003. Quando i Pistons vengono “rianalizzati” perché scelsero Darko Milicic con il numero 2 piuttosto che Carmelo Anthony o Dwyane Wade ci si dimentica che, tatticamente, se volevano un “big man” avrebbero anche potuto prendere Bosh.
Bargnani è stato un errore perché Colangelo poteva prendere Aldridge ma rivisto oggi quel draft era davvero povero. Se dovessero rifarlo oggi, dopo Aldridge verrebbero scelti in ordine discutibile Kyle Lowry, Rajon Rondo, Paul Millsap (fu chiamato al secondo round!) e Rudy Gay a parte Brandon Roy che forse è stato il migliore di tutti ma la cui carriera è stata tagliata dagli infortuni. Toronto ebbe la chiamata numero 1 nell’anno sbagliato e quella sfortuna ingigantita dall’errore commesso nel trascurare Aldridge in ultima analisi è costata il posto a Colangelo.
Per capire i Raptors bisogna ripartire da molto lontano ovvero dal 2006. In quel momento, Toronto era la squadra di Chris Bosh, uno dei grandi nomi del draft del 2003. Quando i Pistons vengono “rianalizzati” perché scelsero Darko Milicic con il numero 2 piuttosto che Carmelo Anthony o Dwyane Wade ci si dimentica che, tatticamente, se volevano un “big man” avrebbero anche potuto prendere Bosh.
I Raptors avevano quindi una star giovane e la grande
opportunità di scegliere con il numero 1: non era un grande draft, lo sappiamo.
Con il senno di poi avrebbero dovuto prendere LaMarcus Aldridge e affiancarlo a
Bosh. Ma i Raptors erano gestiti da Bryan Colangelo che aveva avuto grande
successo a Phoenix puntando sulle idee di Mike D’Antoni. Quando arrivò a
Toronto diede alla franchigia una forte impronta internazionale, con Maurizio
Gherardini braccio destro più Marc Eversley, che anche ora lo affianca a
Philadelphia. I Raptors nello stesso anno portarono nella NBA Jorge Garbajosa
ed Anthony Parker, avevano già Josè Calderon, e infine scelsero all’1 Andrea
Bargnani.
Anche se la carriera di Aldridge è stata chiaramente
superiore a quella di Bargnani, tendiamo tutti a dipingerla meno buona di
quanto sia stata. Bargnani non è diventato un All-Star ed è vero che dal numero
1 di ogni draft si aspettano cose eccezionali ma in sette anni ai Raptors ha
segnato 15.2 punti per gara con 4.8 rimbalzi, tirando con il 36.1% da tre.
Cinque anni dopo, sarebbe stato un perfetto “Stretch 5” di un quintetto “small”
di quelli che oggi usano tutti. Nel 2010/11 Bargnani ha segnato 21.4 punti a
partita. Dopo sono cominciati gli infortuni, veri responsabili del suo declino:
la stagione seguente ebbe 19.5 punti di media ma sfortunatamente con appena 31
presenze. Da quel momento non ha mai giocato più di 46 partite in una stagione.
INCISO: degli ultimi 30 giocatori scelti all’1 cinque sono
diventati MVP (Shaq, Iverson, Duncan, LeBron e Rose), altri 11 (quindi 16 in
tutto) sono stati All-NBA (Coleman, Larry Johnson, Webber, Brand, Yao, Howard,
Bogut, Griffin, Wall, Irving e Anthony Davis), altri quattro (Danny Manning,
Glenn Robinson, Kenyon Martin e Karl-Anthony Towns) hanno giocato l’All-Star
Game senza essere mai All-NBA (Bogut ha fatto il contrario). Quindi 10 su 30
risultano privi di onori individuali. Tra questi però ci sono Markelle Fultz,
Ben Simmons e Andrew Wiggins, ancora troppo acerbi per considerazioni profonde
(Simmons è un potenziale MVP). Sono sette quelli che certamente non hanno
sfondato abbastanza: Anthony Bennett e Kwame Brown sono stati un disastro, Greg
Oden è stato rovinato dagli infortuni; Pervis Ellison e Michael Olowokandi hanno
avuto carriere mediocri; quella di Bargnani è paragonabile a quella di Joe
Smith (1995), molto, molto meno lunga, con picchi migliori. Giocatori di medio
livello, che a tratti hanno dato la sensazione di poter diventare star ma non
hanno mai fatto il salto di qualità.
Bargnani è stato un errore perché Colangelo poteva prendere Aldridge ma rivisto oggi quel draft era davvero povero. Se dovessero rifarlo oggi, dopo Aldridge verrebbero scelti in ordine discutibile Kyle Lowry, Rajon Rondo, Paul Millsap (fu chiamato al secondo round!) e Rudy Gay a parte Brandon Roy che forse è stato il migliore di tutti ma la cui carriera è stata tagliata dagli infortuni. Toronto ebbe la chiamata numero 1 nell’anno sbagliato e quella sfortuna ingigantita dall’errore commesso nel trascurare Aldridge in ultima analisi è costata il posto a Colangelo.
Ma è stata la fortuna di Masai Ujiri.
Nel 2009/10 i Toronto Raptors vinsero 40 partite e non si qualificarono per i playoff. Bosh in quel momento vantava due apparizioni in post-season e due eliminazioni al primo turno. Non c’era modo che quei Raptors potessero diventare una squadra da titolo. E Bosh era la “spalla” più ricercata della NBA nella stagione clamorosa di “The Decision”. Chris si accodò a Dwyane Wade e LeBron James trasferendosi a Miami. I Raptors rimasero senza la loro star e costretti a ricostruire. Tuttavia Colangelo aveva già gettato basi importanti: nel 2009 aveva scelto DeMar DeRozan che nel primo anno senza Bosh ebbe 17.2 punti per gara a 21 anni di età. Nei draft successivi alla fuga di Bosh scelse Jonas Valanciunas e Terrence Ross. Nell’estate del 2012 acquistò da Houston anche Kyle Lowry. Quando nel 2013 venne sostituito da Ujiri lasciò al suo successore i tre quinti dello starting five di adesso inclusi i due All-Star, più Ross che poi Ujiri avrebbe utilizzato per prendere Ibaka da Orlando. Per quanto i Sixers di oggi siano considerati il frutto del lavoro di Sam Hinkie e delle sue drastiche idee (Trust The Process) più che di Colangelo (teoria rafforzata dal disastroso – al momento - scambio Fultz-Tatum con Boston); al tempo stesso nei Raptors di oggi c’è molto di Colangelo. Ujiri ha ricevuto una grande eredità e l’ha valorizzata bene.
Nel 2009/10 i Toronto Raptors vinsero 40 partite e non si qualificarono per i playoff. Bosh in quel momento vantava due apparizioni in post-season e due eliminazioni al primo turno. Non c’era modo che quei Raptors potessero diventare una squadra da titolo. E Bosh era la “spalla” più ricercata della NBA nella stagione clamorosa di “The Decision”. Chris si accodò a Dwyane Wade e LeBron James trasferendosi a Miami. I Raptors rimasero senza la loro star e costretti a ricostruire. Tuttavia Colangelo aveva già gettato basi importanti: nel 2009 aveva scelto DeMar DeRozan che nel primo anno senza Bosh ebbe 17.2 punti per gara a 21 anni di età. Nei draft successivi alla fuga di Bosh scelse Jonas Valanciunas e Terrence Ross. Nell’estate del 2012 acquistò da Houston anche Kyle Lowry. Quando nel 2013 venne sostituito da Ujiri lasciò al suo successore i tre quinti dello starting five di adesso inclusi i due All-Star, più Ross che poi Ujiri avrebbe utilizzato per prendere Ibaka da Orlando. Per quanto i Sixers di oggi siano considerati il frutto del lavoro di Sam Hinkie e delle sue drastiche idee (Trust The Process) più che di Colangelo (teoria rafforzata dal disastroso – al momento - scambio Fultz-Tatum con Boston); al tempo stesso nei Raptors di oggi c’è molto di Colangelo. Ujiri ha ricevuto una grande eredità e l’ha valorizzata bene.
Toronto ha utilizzato i draft per scegliere negli ultimi due
anni Pascal Siakam, ala forte di energia, Jakob Poeltl, centro austriaco di
scuola americana destinato a rimpiazzare Valanciunas, e OG Anunoby,
terrificante atleta sottovalutato prima dell’esplosione all’università di
Indiana. Questi giocatori hanno confermato le qualità di scout di Ujiri, che
era entrato nella NBA proprio con questo ruolo. Con Delon Wright, Fred Van Vleet e naturalmente Norman Powell - ottenuto nel 2015 da Milwaukee insieme al
diritto di scelta diventato in seguito Anunoby, in cambio di Greivis Vasquez - formano
il cuore di una panchina che per molti è oggi la migliore della NBA e il vero
segreto dei Raptors.
C’è da dire che Ujiri ha realizzato due capolavori quando è
riuscito a scaricare a condizioni vantaggiose i contratti di Bargnani e Rudy
Gay. Cedendo Bargnani ai Knicks ha ricevuto in cambio tre scelte tra cui una
numero 1 trasformata in Poeltl. Scambiando Gay a Sacramento ha risparmiato
soldi e ottenuto Patrick Patterson, che ha dato eccellenti stagioni ai Raptors
come “Stretch 4” prima di diventare superfluo in un ruolo in cui avevano
aggiunto Ibaka e Siakam, più Vasquez usato per avere Powell e Anunoby.
Considerando Anunoby uno starter, l’intera “second unit” di Toronto incluso CJ
Miles costa 16.4 milioni. Senza Miles è sotto i 10. Delon Wright (a parte
Miles) è il più vecchio, 25 anni di età!
Quando Ujiri sostituì Colangelo a Toronto, i Raptors avevano
vinto 34 partite e l’idea era quella di ricostruire. Nel dicembre del 2013
avevano deciso di scambiare Kyle Lowry a New York per ricevere Iman Shumpert ma
soprattutto una futura prima scelta. Lo scambio avrebbe messo in moto una
profonda ricostruzione della squadra che forse non avrebbe risparmiato neppure
DeRozan. Ma i Knicks si tirarono indietro all’ultimo momento e i Raptors
esplosero. Da quel momento hanno vinto tre titoli dell’Atlantic Division (ora
arriverà il quarto) e toccato nel 2016 quota 56 vittorie. Ogni proposito di
ricostruzione o “tanking” è stato abbandonato.
Ma il successo in regular season non si è tradotto nei
playoffs. Nel 2014 i Raptors persero 4-3 contro Brooklyn (la serie del “Fuck
Off Brooklyn” urlato da Ujiri insieme ai tifosi costatogli una maximulta); nel
2015 furono umiliati 4-0 da Washington. Nell’estate del 2015 aggiunsero al
roster DeMarre Carroll e Cory Joseph che aveva oltretutto il pregio di essere
canadese. In quella stagione arrivarono alla finale di conference perdendola
4-2 contro Cleveland che poi avrebbe vinto il titolo. Valanciunas si infortunò e
Bismack Biyombo lo sostituì catturando 9.4 rimbalzi di media nella post-season
che ne anticipava l’irruzione sul mercato dei free-agent. La sensazione era che
Toronto avesse raggiunto il top del proprio potenziale e con DeRozan in
scadenza di contratto aveva l’opportunità di ripartire. Invece Ujiri ha firmato
DeRozan per 27 milioni a stagione e lasciato andare Biyombo a Orlando (Poeltl è
più giovane, più bravo e con contratto da rookie molto meno costoso). Dopo le
51 vittorie ma lo 0-4 con i Cavs del 2017, ha scaricato sia Carroll che Joseph
ricevendo CJ Miles, meno impegnativo dal punto di vista economico ma di nuovo
ha rifiutato l’idea di ricominciare estendendo sia Ibaka – arrivato a metà
stagione scorsa e firmato per tre anni a 65 milioni – che Lowry, 90 milioni in
tre anni.
E arriviamo così a Nick Nurse.
Nurse è uno degli assistenti di Dwane Casey, uno dei
sopravvissuti dei Raptors. Casey era un giovane assistente di Kentucky quando
una busta spedita da lui alla recluta Chris Mills (futuro discreto giocatore
NBA) contenente denaro saltò fuori in modo rocambolesco creando uno scandalo
che avrebbe dovuto spazzarlo via. Casey ripartì dal Giappone, era un reietto.
In seguito è riemerso prima da assistente (a Seattle ha fatto la finale del
1996, a Dallas ha vinto il titolo del 2011) e poi capo a Minnesota e infine
Toronto.
Nurse invece ha trascorso gran parte della sua carriera in Gran
Bretagna, addirittura. Dopo i successi ad Iowa sempre nell’attuale G-League, Houston
lo mise a capo del progetto Rio Grande, la squadra di sviluppo che aveva come
obiettivo sperimentare le idee dei Rockets fino alle estreme conseguenze ovvero
provare a giocare tirando praticamente solo da tre o al ferro, proibendo i tiri
dalla media. Nel 2013 Nurse venne chiamato da Ujiri a Toronto ma solo
nell’ultima estate è diventato di fatto una specie di “offensive coordinator”.
I Raptors fino allo scorso anno giocavano un basket difensivo, fisico ma
antiquato in attacco, con la loro stella DeRozan impalpabile come tiratore da
tre punti.
I nuovi Raptors come filosofia ora usano di più la panchina,
spremono meno le stelle (Lowry nei playoff è sempre arrivato spento ma ora
gioca 32 minuti a partita, cinque in meno di media rispetto alle ultime due
stagioni), corrono di più e tirano da tre. Non sono i Rockets ovviamente ma
sparano dall’arco nove volte in più dell’anno scorso. DeRozan, che gioca 34
minuti a partita, il valore più basso dalla sua stagione da rookie quando c’era
ancora Bosh, esegue 3.6 tiri da tre di media e Nurse ha spiegato che il solo
fatto che li prenda aiuta i compagni e apre spazi per tutti. Persino Jonas
Valanciunas, centro vecchia scuola, ha iniziato a tirare da tre, così mixando
il suo gioco spalle a canestro.
Il risultato è che oggi i Raptors sono la terza squadra
della Lega nei punti per 100 possessi e la quarta difesa nella stessa metrica.
Non ci sono garanzie di un approdo in finale che sarebbe storico. All’orizzonte
resta LeBron James prima o poi da superare e resta da capire se possa andare in
finale o addirittura vincerla una squadra il cui miglior giocatore è DeRozan e
conta su un esercito di “role players”. Ma Ujiri è riuscito a costruirla con
pazienza senza passare dal disastro, vincendo praticamente tutti gli scambi, sostituendo
i giocatori diventati troppo costosi con elementi giovani e a basso costo, addirittura
cambiando filosofia di gioco senza cambiare né l’allenatore né i quattro
giocatori di punta. Davvero notevole.
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