Durante la stagione 1994/95, la sua quarta a New York, Pat
Riley chiese alla proprietà potere esecutivo su tutta la parte cestistica
dell’organizzazione. Ma i Knicks erano nel mezzo di un cambio di proprietà e
sono sempre stati una questione di equilibrismi, politica, potere. Riley non
ebbe risposta e cominciò segretamente a trattare con Miami. A fine stagione, si
dimise con un anno di contratto restante e si trasferì a South Beach. Gli Heat
dovettero ricompensare New York per schivare sanzioni. Riley ebbe da Micky
Arison quello che voleva. Sarebbero seguiti oltre 20 anni di gestione che hanno
prodotto tra le altre cose: tre titoli NBA, cinque finali, una galleria di
fenomeni che comprende LeBron James, Dwyane Wade, Alonzo Mourning, Chris Bosh,
Tim Hardaway e Shaquille O’Neal. Questi quasi 25 anni – ovviamente sarebbero cambiate molte
dinamiche – avrebbero potuto essere i 25 anni dei Knicks che tra l’altro nel
1995 erano molto più avanti di quanto lo fosse Miami nello sviluppo della
squadra. Anzi erano competitivi per vincere subito e infatti lo sarebbero stati
– senza Pat Riley – per altri cinque o sei anni (giocarono la Finale nel 1999,
persero la finale di conference nel 2000).
Adesso i Knicks stanno per scegliere il loro nuovo
allenatore. Dopo la partenza improvvisa di Jeff Van Gundy, discepolo di Riley,
nel 2001, 11 allenatori si sono seduti sulla panchina più difficile del mondo.
Tutte le tipologie di allenatore sono state provate. I grandi nomi come Lenny
Wilkens, Larry Brown e Mike D’Antoni. Grandi nomi con potere assoluto come
Isiah Thomas. Ex assistenti ed ex giocatori dei Knicks, trovatisi ad allenare
quasi per caso, come Herb Williams o Mike Woodson – che poi è stato il migliore
e infatti viene considerato un outsider nella “battaglia” attuale -, esordienti
come Derek Fisher fino a Kurt Rambis e Jeff Hornacek. Non ha funzionato nulla. O quasi. Come ha
dichiarato proprio Van Gundy il problema non è l’allenatore. Il problema è che
devi avere giocatori di alto livello. New York ne ha avuto pochi in questi
ultimi 15 anni, quasi tutti nella parte discendente della carriera (Tracy
McGrady, Penny Hardaway, Steve Francis, Stephon Marbury e anche Amar’e
Stoudemire sono stati grandi giocatori ma a New York si sono viste solo
imitazioni del loro talento oppure il talento è emerso per uno o al massimo due
anni come nel caso incomprensibile di Steph o in quello dettato dalle condizioni fisiche di Stoudemire). Unica eccezione ma con mille cose da dire: Carmelo Anthony, a parte Kristaps Porzingis che deve ancora fare tutto.
Quindi non c’è una tipologia di allenatore che oggi i Knicks
possano perseguire forti di un volume di dati rassicurante. Il presidente Steve Mills è un
eccellente politico e il general manager scelto, Scott Perry, è un executive
moderno, che applica idee e concetti in linea con la NBA attuale anche se a New
York sono partiti in ritardo da questo punto di vista. I due hanno espresso
genericamente concetti condivisibili sapendo che la scelta che faranno sarà
decisiva. C’è un’altra cosa da dire sui Knicks: gli allenatori sono sempre
stati apprezzati dopo la loro partenza. Non tutti, ovviamente. Nessuno
rimpiangerà Hornacek, penso. Riley ha dato ai Knicks quattro anni di grande spessore,
in cui hanno sbattuto la testa due volte contro Michael Jordan e un’altra
contro il migliore Hakeem Olajuwon, ma se ne andò senza lasciare troppe lacrime
dietro. Mike Woodson venne esonerato senza complimenti da Phil Jackson ma nel
suo primo anno vinse 54 partite che ora sembrano un traguardo inarrivabile in
tempi relativamente brevi. Frank Isola, bravissimo columnist del Daily News, ha
ironizzato sulla scelta di Mills e Perry di non considerare un ritorno di Van
Gundy. Ha augurato loro di prendere un coach che sia bravo la metà di JVG
perché sarebbe una grande scelta. Ha ragione ma ai tempi in cui allenava i
Knicks, Van Gundy non riceveva tutti questi consensi. Per nulla. Non sarà
facile per nessuno.
I candidati attuali sono tutti scommesse: David Fizdale ha
fatto bene a Memphis per un anno poi è stato esonerato dopo il deterioramento
del suo rapporto con Marc Gasol, fatto che ha aperto gli occhi a molti anche se
Fizdale è “sostenuto” dai giocatori che ha avuto a Miami da assistente; David
Blatt ha forti legami con Mills (compagni di squadra a Princeton) e ha vinto
tantissimo a Cleveland ma anche lui è stato esonerato; Mark Jackson sarebbe
perfetto per tanti motivi, è stato un leggendario giocatore dei Knicks, è di
New York e ha portato i Warriors dalla mediocrità all’orlo dell’eccellenza.
Però ha idee che non suonano tanto moderne e a Golden State l’hanno cacciato
perché aveva discusso e litigato con tutti. Woodson sarebbe un cavallo di
ritorno ma ha 60 anni. Infine c’è Jerry Stackhouse, che nella G-League ha fatto
un figurone e per molti sarà il prossimo grande allenatore NBA. Ma chi può
dirlo?
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