Prima di Klay Thompson,
molto prima di lui, c’era stato Mychal Thompson, il padre, un centro di 2.08
che avrebbe giocato anche a Caserta, nato e cresciuto a Nassau, la capitale
delle Isole Bahamas. Con la famiglia si trasferì presto negli Stati Uniti, a
Miami. Fu qui che conobbe il basket e diventò una star. La sua squadra del
liceo, Jackson High, vinse 33 partite a zero nel suo ultimo anno a scuola.
Purtroppo, quattro starters incluso Thompson erano accademicamente non
eleggibili, tutti provenienti da Cuba o dalle Bahamas. La stagione sarebbe
stata invalidata. Per Thompson sarebbe diventato un tema ricorrente.
Mychal scelse di andare
all’università del Minnesota, passando dal sole al freddo in un batter di
ciglia. Nel 1974, da freshman, pensò di mettersi in tasca qualche dollaro
vendendo alcuni biglietti delle proprie partite come facevano in tanti. Non
immaginava fosse un reato. In seguito l’avrebbero squalificato per sette gare.
Mychal restituì tutti i soldi per dimostrare la propria buona fede ma era
troppo tardi. Nel 1976 la NCAA colpì duro Minnesota. L’università rispose
proteggendo Thompson e rifiutando le sanzioni. La NCAA rispose estendendole a
tutte le squadre della scuola. Dopo l’anno da junior, Mychal ricevette una
proposta contrattuale da 1.5 milioni dai Buffalo Braves della NBA. A quei tempi
si poteva fare. Buffalo gli garantì la scelta. Lui rifiutò perché sentiva di
avere un debito nei confronti della sua università che l’aveva difeso quando
sarebbe stato molto più semplice scaricarlo. Tornò per una stagione da senior
sensazionale e il giorno dell’ultima partita lo celebrarono ritirandogli la
maglia numero 43. Nel 1978 fu scelto al numero 1 dei draft dai Portland Trail
Blazers. E cominciò una carriera importante.
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