lunedì 21 novembre 2016

NBA WEEK 4/a: la giusta direzione dei Lakers di Walton

Negli ultimi tre anni i Los Angeles Lakers hanno vinto 65 partite, otto in meno di quelle vinte dai Golden State Warriors nella sola stagione scorsa. Ecco perché la discesa di Luke Walton da Oakland giù verso Los Angeles è stata mossa più sentimentale che cerebrale. A meno che Walton non sappia qualcosa delle sue qualità di allenatore che noi non sappiamo ancora.

I Lakers, che hanno il 26.4% di vittorie nelle ultime tre stagioni, e ne hanno vinte 17 appena l’anno scorso peggiorando le 21 dell’anno prima quando avevano peggiorato le 27 della stagione precedente, viaggiano oltre il 50% di vittorie, divertono, giocano senza pressione e sono in corsa per conquistare un posto nei playoffs. L’obiettivo teorico resta molto difficile da centrare in una conference in cui non si farà la post-season sotto le 41 vittorie e anche a quella quota non è garantita. Ma questo al momento è il minore dei problemi. Walton sta costruendo una squadra che ha il secondo attacco della Lega per punti di media (110 a partita), che gioca ad alto numero di possessi (100.4 per gara, quarta assoluta) rispettando così la cultura del club e comunque anche parametrando tutti questi numeri su criteri moderni emerge che Walton sta amministrando il nono attacco della Lega e la 18° difesa. Sarebbero posizioni irritanti per la storia della franchigia ma in questo momento sembrano un miracolo destinato a spegnersi o attenuarsi nella portata. Al momento i Lakers hanno un quintetto ben definito in cui D’Angelo Russell e Nick Young sono le guardie, Luol Deng è l’ala piccola (al momento anche la nota negativa) e Julius Randle l’ala forte. Timofey Mozgov con il suo contratto gonfiato parte da centro. Ma è molto interessante la panchina, una delle più produttive della Lega con Jordan Clarkson, lo specialista Lou Williams (15.6 punti in 22.5 minuti), Larry Nance jr e naturalmente la promessa Brandon Ingram, scelto al numero 2 dell’ultimo draft. Walton sta mixando giocatori esperti, guide, con elementi molto giovani o giovanissimi che rappresentano il futuro del club. Il miracolo è che persino uno come Young, responsabilizzato, sta giocando bene, con continuità.
Clarkson è un potenziale sesto uomo dell’anno, di sicuro uno dei migliori: gioca 26.3 minuti, segna 14.8 punti a partita e ha il 55.1% nel tiro da due prendendo 8.9 tiri di questo tipo a partita. Randle, che perse la stagione da rookie per infortunio, è un’ala forte vecchio stile, cioè un giocatore interno che non tira da fuori quindi potrebbe accoppiarsi bene ad un centro con tiro da fuori. Randle si prende 9.1 tiri ravvicinati a partita e li trasforma con il 57.8% quindi il gioco vale la candela e aggiunge 8.7 rimbalzi, primo di squadra. L’altro giocatore importante è D’Angelo Russell, playmaker di taglia fisica al secondo anno che sta ricavando buoni frutti dal tiro da tre: ha il 39% su 6.4 tentativi, quindi si sente sicuro. Sta segnando 16.8 punti con 4.7 assist, che è il dato su cui ha bisogno di migliorare ma somiglia molto in questo a Kyrie Irving. E’ vero però che i Lakers avrebbero festeggiato di più un’eventuale partenza bruciate di Ingram. Il rookie da Duke invece nelle prime 15 partite è stato accettabile, non trascendentale. Tuttavia, risultati a parte, adesso i Lakers sembrano aver puntato la nave nella direzione giusta. Il nucleo di promesse sta lievitando: con Russell, probabilmente Ingram, e Randle ci sono gli ingredienti per una crescita veloce. Clarkson e Nance jr. sono asset ulteriori. Tornare in Lotteria e scegliere giovane di qualità non sarebbe una brutta notizia anche se arriverà il momento in cui un “pacchetto” di giocatori andrà tramutato in una superstar sperando  che uno tra Russell e Ingram lo sia e che una volta tornati competitivi i Lakers tornino ad esercitare il tradizionale fascino sui free-agent. Ma Walton ha rovesciato la tendenza. Per questo è stato lui il vero colpo dell’estate.

FROM GOLDEN TIMES
La scelta di Draymond Green.
Ma c’è un aspetto di questa storia che non può essere dimenticato. Per quanto i Warriors siano una franchigia modello, la selezione di Green grida fortuna. Quell’anno, Golden State aveva due scelte al primo giro e se avesse saputo quello che Green sarebbe diventato in seguito non avrebbe mai aspettato il numero 35 per sceglierlo. I Warriors scelsero al numero 7 Harrison Barnes e al numero 30, ultimo uomo selezionato nel primo round, il centro da Vanderbilt, Festus Ezeli, che per due anni sarebbe stato una figura minore salvo spiccare il volo nella stagione 2013/14 grazie all’ennesimo infortunio di Andrew Bogut. Rifatto oggi quel draft, Anthony Davis verrebbe ancora chiamato al numero 1 da New Orleans e forse Damian Lillard di Portland andrebbe al 2, ma è impossibile pensare ad un Green fuori dalle prime tre chiamate. Se i Warriors avessero creduto davvero in lui fin dal primo momento, come minimo avrebbero scelto lui e non Ezeli alla fine del primo giro. Ma questi sono i colpi di fortuna che inevitabilmente contraddistinguono ogni grande squadra.

LA STATISTICA 1
Dalla stagione 2012/13 a oggi nessun giocatore ha avuto più partite da almeno 30 punti di James Harden con 126.

LA STATISTICA 2
Draymond Green è primo di squadra ai Warriors in rimbalzi, assist e stoppate. Nessuno dei primi 13 stoppatori della Lega è più basso dei suoi presunti 203 cm.

LA STATISTICA 3
DeMar DeRozan ha segnato almeno 30 punti in nove partite su 11. Non succedeva dal 1988. Ovviamente allora l'impresa fu di Michael Jordan.

LA STATISTICA 4
Tim Duncan il cui 21 sarà ovviamente ritirato dagli Spurs è uno dei tre giocatori che hanno vinto più di 1000 partite in carriera. Gli altri due sono Robert Parish e Kareem Abdul-Jabbar

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