I Boston Celtics arriveranno alla pausa dell’All-Star Game nelle condizioni perfette per andare all’assalto dei Cleveland Cavaliers per il miglior record ad Est e in ogni caso con il vento alle spalle e un presente brillante. Eppure il futuro potrebbe essere ancora migliore. I Celtics hanno ricostruito sui resti dello squadrone che nel decennio scorso ha vinto un titolo e perso una Finale alla settima partita, in trasferta, senza dover scendere agli inferi e con una rapidità stupefacente. In pratica dopo la rinuncia a Kevin Garnett, Paul Pierce (oltre Ray Allen ma è un'altra storia) e la partenza di Doc Rivers per Los Angeles, nel 2013, hanno dovuto accettare una sola stagione di mediocrità. In tre anni completi da capo allenatore, Brad Stevens ha amministrato un club da 25, 40 e 48 vittorie. Quest’anno saranno di più, nonostante nel “defensive rating” i Celtics siano passati dal quarto posto della stagione passata al 22° attuale. Un dato che non sarà sfuggito a Stevens e di certo non lo rende felice, conseguenza presumibile di quello che è il problema tecnico attuale dei Celtics, i rimbalzi.
I Celtics hanno molte ragioni per essere invece felici del loro presente e molte di più per guardare al futuro. Anche se la concorrenza è importante e ad Est nei prossimi anni è probabile che squadre come Milwaukee e Philadelphia sfruttino il lavoro svolto sul movimento giovanile, i Celtics sono nella posizione migliore per raccogliere l’eredità dei Cleveland Cavaliers post LeBron. Di certo sono molto più avanti nello sviluppo della squadra e hanno prospettive spettacolari perché hanno seminato bene sull’intelligenza e le strategie del general manager Danny Ainge oltre che sull’irresponsabilità passata dei Brooklyn Nets.
DANNY AINGE – Red Auerbach l’aveva definito bravo ma anche
fortunato. E fortunato lo è di sicuro. Lui è il primo ad ammettere che non
avrebbe mai immaginato che le scelte dei Nets del 2017 e 2018 sarebbero state
così buone. Davvero? In parte sì, ma i Nets nel 2013 vollero Kevin Garnett e
Paul Pierce con l’idea (avevano anche Deron Williams e Joe Johnson e Brook
Lopez) di vincere subito il titolo. Ma quel progetto di squadra non poteva
durare a lungo vista l’età dei soggetti. Se anche avessero vinto, la loro
situazione oggi sarebbe stata identica. Garnett si è ritirato e Pierce di fatto
anche. Lopez è un buon giocatore. Gli altri due, che non giocano più a Brooklyn
e sono competitivi, vivono comunque gli anni dell’irreversibile declino. Quindi
è normale che Brooklyn sia mediocre. I Celtics avranno la loro prima scelta
quest’anno (in realtà è il diritto di scambiarsi la scelta che significa che
Brooklyn sceglierà attorno al 25 e i Celtics entro le prime quattro posizioni
con le migliori chance di chiamare all’1) e di nuovo quella del prossimo anno
quando i Nets saranno ancora scarsi. Persino troppa roba. Ainge era stato in
grado di confezionare una squadra da titolo in pochi giorni nel 2008
aggiungendo all’emergente Rajon Rondo e Paul Pierce gli scambi per Ray Allen e
Kevin Garnett. Ma qui potrebbe aver fatto meglio costruendo una squadra
destinata a durare tantissimo. La fortuna cui alludeva Auerbach è ben esposta:
ha trovato in Billy King, allora manager dei Nets, un partner di mercato
ingenuo come Auerbach costruì i Celtics degli anni ’80 scegliendo Larry Bird
con un anno di anticipo e poi “rapinando” i Warriors di Robert Parish e Kevin
McHale in cambio di Joe Barry Carroll. Ma Ainge ha anche “vinto” tutte le trade
recenti che ha effettuato e in modo eclatante. Isaiah Thomas, oggi un All-Star,
candidabile come MVP della stagione, come primo o secondo quintetto All-NBA
(per me secondo quintetto), minaccia consistente come capocannoniere della
Lega, è stato ottenuto da Phoenix (che a sua volta l’aveva firmato da free-agent portandolo via da
Sacramento) in cambio di una scelta di fine primo giro e Marcus Thornton. Jae
Crowder, un’ala piccola fisica che tira in uscita dai blocchi e difende
fortissimo, uomo da 14 punti abbondanti di media, è stato ottenuto da Dallas in
cambio di Rajon Rondo che ai Mavericks è durato qualche mese e poi non è più
tornato quello del 2008-2010.
Eppure molti pensano che il colpo migliore Ainge l’abbia fatto assicurandosi nel 2013 Coach Brad Stevens. Per tanti nei circoli NBA il “baby face” dei Celtics se non è già il miglior allenatore della Lega, è destinato a diventarlo. E’ considerato il miglior “situational coach” della NBA, perfetto nel preparare la squadra, sofisticato negli schemi difensivi, nell’utilizzo delle informazioni (a Butler fu il primo allenatore di college ad assumere un assistente per l’analisi statistica della propria squadra e degli avversari).
Eppure molti pensano che il colpo migliore Ainge l’abbia fatto assicurandosi nel 2013 Coach Brad Stevens. Per tanti nei circoli NBA il “baby face” dei Celtics se non è già il miglior allenatore della Lega, è destinato a diventarlo. E’ considerato il miglior “situational coach” della NBA, perfetto nel preparare la squadra, sofisticato negli schemi difensivi, nell’utilizzo delle informazioni (a Butler fu il primo allenatore di college ad assumere un assistente per l’analisi statistica della propria squadra e degli avversari).
Brad Stevens non è mai stato un giocatore. Meglio: è
cresciuto nell’Indiana, ha giocato bene a livello liceale ma non ha ricevuto
offerte vere per giocare in un college importante o semplicemente di Division
One. Stevens ha giocato quattro anni in Division Three e anche lì era un
giocatore marginale, a DePauw. Quando si è laureato ha lavorato nel marketing e
guadagnava 44.000 dollari all’anno, tanti per un 22enne. Ma voleva allenare, ha
studiato tantissimo, ha ottenuto un posto quasi da volontario a Butler sotto Thad
Matta impiegando cinque anni per tornare a guadagnare quanto prima. La sua
ascesa è cominciata così. Quando è diventato capo allenatore a 30 anni ha vinto
subito 30 partite e infine portato Butler a due finali NCAA consecutive, con un
supergiocatore (Gordon Hayward), un point-man da NBA (Shelvin Mack) e qualche buon
giocatore come Matt Howard. Ma a Butler ha costruito un programma sopravvissuto
bene alla sua dipartita. Persino quando UCLA gli ha offerto Westwood ha
rifiutato decidendo che avrebbe lasciato Butler solo per la NBA. E arrivò la
telefonata di Danny Ainge.
BRAD STEVENS – Ainge non ha mai perso troppo tempo con gli
allenatori. Ha la presunzione, corretta, di aver visto abbastanza basket da
poter scegliere guardando le squadre chi è adatto alle sue esigenze. E Stevens
l’ha colpito. Così nel 2013 è andato contro tutto prendendo un allenatore di college
con zero esperienza NBA nonostante quella tipologia di coach nella NBA non
funzionasse da anni. Vedi Rick Pitino (almeno in parte), John Calipari
addirittura, ma anche Leonard Hamilton, Tim Floyd, Lon Kruger. E invece con
Stevens ha avuto ragione. Il suo primo contratto è stato di sei anni e 22
milioni di dollari, tanti per un debuttante, pochi per gli standard odierni.
Dopo tre anni il contratto è stato esteso e scadrà nel 2022. In pratica, Stevens
ha firmato un altro contratto di sei anni. Stevens ha mostrato una capacità
diabolica di gestire una squadra profonda. Isaiah Thomas è il giocatore di
riferimento e la sua esplosione a livelli stratosferici ha permesso alla
squadra di fare il salto di qualità. Ma la base di una squadra tra le prime
cinque-sei della NBA attuale è stata generata dalla quantità enorme di
giocatori di medio-alto livello. Guardando al roster di Boston attuale, forse
solo due giocatori non sono al centro del progetto, Amir Johnson e Jonas
Jerebko, ambedue in scadenza di contratto e dal futuro dubbio. Sono funzionali
oggi, non sul lungo periodo. Gli altri? Avery Bradley è un difensore di
primissimo livello con tiro da tre letale; Jae Crowder (figlio del Corey
Crowder visto tanto in Italia) è un’ala piccola potente e con tiro; Marcus
Smart è un altro point-man fisico e difensore; Terry Rozier gioca poco e vale
più di quanto abbia potuto mostrare finora; Al Horford, preso da free-agent, è
giocatore di qualità, il più esperto della squadra che ha migliorato la
fluidità dell’attacco perché sa tirare, passare e può giocare uno contro uno (è
vero che è al minimo in carriera nei rimbalzi e nelle percentuali, due statistiche
che preoccupano); Kelly Olynik e Tyler Zeller sono centri che possono figurare
bene in qualunque panchina di livello.
Nei draft dell’anno scorso al numero 3
molti suggerivano ad Ainge di prendere Kris Dunn di Providence. Ma lui non
voleva – giustamente – un altro point-man e ha selezionato Jaylen Brown,
esterno super atletico da California. Thomas è esploso come un top-player e
Brown è un eccellente giocatore che diventerà molto più di questo.
In sostanza, Boston ha grande profondità,
ha equilibrio e
tanti giovani con i quali vale già un posto in finale di conference o
quasi. Quello che non ha è una superstar acclarata, uno come il Kevin
Durant che aveva tentato di prendere in estate, forse andandoci più
vicino di
quanto si pensi, o il Jimmy Butler che ad un certo punto sembrava
cedibile da
Chicago. Thomas può essere questo giocatore ma la sensazione è che stia
giocando al di sopra delle proprie possibilità. In ogni caso se punti al
titolo
ormai una superstar e tanti ottimi elementi non è abbastanza. I Celtics
hanno
gli asset per scambiare per un giocatore che faccia la differenza ma
devono
trovarlo (Ainge ha pazienza), non è Carmelo Anthony, e non devono
smembrare la
squadra per averlo. L’altra possibilità è reperirlo attraverso i
prossimi due
draft. Il guaio è che le potenziali megastar del prossimo draft sono
tutti
point-man, giocatori che vogliono la palla in mano. Esattamente come
Isaiah
Thomas il cui contratto da poco oltre sei milioni va a scadenza nel
2018.
Isaiah Thomas ha segnato 24 punti nel quarto periodo di una
vittoria su Detroit. E’ stato giocatore del mese a gennaio. Ha segnato 19 punti
nel quarto quarto contro Toronto spedendo Brad Stevens all’All-Star Game
(Tyronn Lue non era eleggibile). Thomas segna 10.7 punti di media nel quarto
periodo, oltre il record i 9.6 che fu stabilito da Kobe Bryant nel 2006.
Potrebbe battere il record di franchigia di Larry Bird (29.9 punti di media per
una stagione che risale al 1987/88). E sta minacciando la leadership di Russell
Westbrook come capocannoniere della Lega. E’ abbastanza per essere considerato
una star sia pure di 1.76?
ISAIAH THOMAS – Thomas viene da Seattle (o meglio da Tacoma, che è attaccata), si chiama Isaiah in onore di Isiah (con una a in meno) Thomas: il padre tifava per i Lakers e aveva scommesso che se i Pistons avessero vinto il titolo avrebbe chiamato il figlio come l’odiato playmaker di Detroit. La moglie accettò ma pretese che si chiamasse Isaiah come nella Bibbia. In realtà, al di là della scommessa, il nome era piaciuto. I Pistons vinsero ma il ragazzo si sarebbe chiamato comunque così. Ovviamente è sempre stato considerato troppo piccolo. E’ normale. A Washington giocava con compagni quotati, uno era Abdul Gaddy che è stato anche a Bologna. Quando andò nel draft fu scelto da Sacramento come ultimo giocatore del secondo giro. Ma fu un successo istantaneo. Al terzo anno aveva oltre 20 punti di media. Venne reclutato da Phoenix: il general manager Ryan McDonough, ex braccio destro di Danny Ainge a Boston, è convinto che non hai mai abbastanza point-men. Lui aveva Eric Bledsoe e Goran Dragic. Volle anche Isaiah. Ma erano tutti giovani e bramosi di palla. A metà stagione, Dragic venne ceduto a Miami prima che diventasse free-agent e Thomas se ne andò a Boston. Di fatto è diventato uno starter solo l’anno scorso. La sua esplosione è ben documentata. Stevens nell’ultimo quarto gli mette la palla in mano. E lui risponde. Sta tirando meglio da tutte le posizioni e sta tirando più tiri liberi con percentuali più alte. Quanto possa durare non è chiaro ma che Thomas sia una star a dispetto degli scettici o di chi possa essere condizionato dalla statura è certo. E quindi cosa fare adesso? Il contratto di Thomas scade nel 2018 e chiama 6.261 milioni di dollari nell’ultimo anno. Siamo ai limiti del “furto”. Con una scelta tra le prime quattro ma forse tra le prime due Boston può prendere un point-man stellare e di taglia fisica imponente. Tutta la NBA guarda a Markelle Fultz (Washington, proprio come Thomas) e Lonzo Ball (UCLA). Però attenzione: scambiare Thomas per avere una star in un altro ruolo (guardia? Ala piccola? Centro?) non è ipotizzabile se non imbastendo un affare enorme visto che il suo salario è così basso che non assicurerebbe alcun ritorno tecnico significativo. E poi sostituire una star con un rookie spedirebbe i Celtics indietro di almeno un paio di anni.
ISAIAH THOMAS – Thomas viene da Seattle (o meglio da Tacoma, che è attaccata), si chiama Isaiah in onore di Isiah (con una a in meno) Thomas: il padre tifava per i Lakers e aveva scommesso che se i Pistons avessero vinto il titolo avrebbe chiamato il figlio come l’odiato playmaker di Detroit. La moglie accettò ma pretese che si chiamasse Isaiah come nella Bibbia. In realtà, al di là della scommessa, il nome era piaciuto. I Pistons vinsero ma il ragazzo si sarebbe chiamato comunque così. Ovviamente è sempre stato considerato troppo piccolo. E’ normale. A Washington giocava con compagni quotati, uno era Abdul Gaddy che è stato anche a Bologna. Quando andò nel draft fu scelto da Sacramento come ultimo giocatore del secondo giro. Ma fu un successo istantaneo. Al terzo anno aveva oltre 20 punti di media. Venne reclutato da Phoenix: il general manager Ryan McDonough, ex braccio destro di Danny Ainge a Boston, è convinto che non hai mai abbastanza point-men. Lui aveva Eric Bledsoe e Goran Dragic. Volle anche Isaiah. Ma erano tutti giovani e bramosi di palla. A metà stagione, Dragic venne ceduto a Miami prima che diventasse free-agent e Thomas se ne andò a Boston. Di fatto è diventato uno starter solo l’anno scorso. La sua esplosione è ben documentata. Stevens nell’ultimo quarto gli mette la palla in mano. E lui risponde. Sta tirando meglio da tutte le posizioni e sta tirando più tiri liberi con percentuali più alte. Quanto possa durare non è chiaro ma che Thomas sia una star a dispetto degli scettici o di chi possa essere condizionato dalla statura è certo. E quindi cosa fare adesso? Il contratto di Thomas scade nel 2018 e chiama 6.261 milioni di dollari nell’ultimo anno. Siamo ai limiti del “furto”. Con una scelta tra le prime quattro ma forse tra le prime due Boston può prendere un point-man stellare e di taglia fisica imponente. Tutta la NBA guarda a Markelle Fultz (Washington, proprio come Thomas) e Lonzo Ball (UCLA). Però attenzione: scambiare Thomas per avere una star in un altro ruolo (guardia? Ala piccola? Centro?) non è ipotizzabile se non imbastendo un affare enorme visto che il suo salario è così basso che non assicurerebbe alcun ritorno tecnico significativo. E poi sostituire una star con un rookie spedirebbe i Celtics indietro di almeno un paio di anni.
IL FUTURO – Danny Ainge probabilmente sarebbe disponibile a
rinunciare ad entrambe le sue scelte per un fuoriclasse che renda i Celtics già
da titolo. Chi possa essere però non è chiaro: Paul George lo sarebbe al posto
di Jae Crowder? Jimmy Butler al posto di Avery Bradley? DeMarcus Cousins in
sostituzione di Amir Johnson? Forse è questa la soluzione più intrigante e realistica
anche se per far quadrare i conti probabilmente si dovrebbe rinunciare anche ad
Al Horford. Tutto da vedere. Un’altra strada potrebbe essere meno immediata ma
più percorribile e di lunga gittata. Ovvero: scegliere il miglior giocatore
disponibile nei prossimi due draft e stare a vedere cosa possa succedere con
questo gruppo di giocatori. Fultz ha la taglia per cominciare la sua carriera
NBA giocando accanto a Thomas in alternativa a Bradley, sviluppato gradualmente
con probabile rinuncia a Smart. Ball non ha il tiro di Fultz, anzi la sua
meccanica è discutibile, ma ha velocità e una visione che suggeriscono il
paragone con Jason Kidd. Anche lui ha il fisico per giocare accanto a Thomas,
lasciare che Isaiah vada a scadenza e poi rinnovarlo per consegnare la squadra
al nuovo arrivato nei due anni successivi quando però i Celtics potrebbero già
essere molto competitivi. E poi ci sarà la scelta del 2018 da scoprire. E’
chiaro che si potrebbe andare verso un sovraffollamento di guardie (Smart può
essere usato come pedina di scambio per un’ala piccola alternativa a Crowder,
che però potrebbe essere Jaylen Brown; nel 2018 anche Bradley va a scadenza di
un contratto da otto milioni, anacronistico) mentre tra i “bigs” il talento è
buono ma non trascendentale soprattutto se Horford fosse davvero in declino.
Arriverà la scelta del 2016 Ante Zizic ma dovrebbe prendere il posto di Amir
Johnson, in scadenza, con promozione di Olynik in quintetto almeno all’inizio.
Ma è chiaro che è qui che i Celtics devono migliorare. Il draft può aiutarli
poco, perché quando selezioni così in alto non puoi accontentarti di migliorare
un ruolo, devi tentare il colpo e risolvere i problemi di abbondanza dopo. Su
queste mosse i Celtics si giocano la loro nuova dinastia. Ma sono in buone
mani.
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