sabato 11 marzo 2017

Perché ora Dallas ha un futuro promettente

La grandezza di Dirk Nowitzki non è solo nei 30.000 punti segnati in carriera: solo cinque giocatori hanno fatto meglio. Nowitzki ha speso tutta la sua carriera nella stessa squadra e anche questa è un'impresa. Giocherà ancora un anno. È stato forte, incredibilmente longevo e superbamente preparato. Finirà di giocare a 40 anni senza aver mai subito infortuni seri, significativi. Non è stato il primo o l'unico MVP non americano (Tim Duncan, Steve Nash). Non è stato il primo MVP della Finale prodotto dal sistema europeo (Tony Parker). Ma Duncan e Nash hanno giocato quattro anni al college. Parker è figlio di un ex giocatore americano e ha respirato la cultura del playground nelle sue estati a Chicago. Nowitzki è arrivato a Dallas nel 1998 quando gli europei non erano ancora stati sdoganati come potenziali uomini franchigia.
Ha soverchiato una stagione d'esordio preoccupante e brucianti sconfitte o delusioni. Nel 2006 i Dallas Mavericks riuscirono a perdere la Finale contro una squadra inferiore - in serie di sette partite succede raramente, quasi mai - in cui hanno dominato o quasi quattro partite su sei, una serie in cui si erano trovati avanti 2 e tre quarti a zero (più 13 nel quarto periodo con la gente di Miami a correre verso le uscite). Persero per errori propri, per colpa di Dwyane Wade, per un paio di arbitraggi incomprensibili e un errore dalla lunetta di Nowitzki. Nel 2007 quando Dirk fu MVP dopo una regular season dominante vennero eliminati al primo turno dai Warriors.
Ma i Mavericks adesso sono già nel post Nowitzki. Che giochi ancora un anno e come è secondario. Negli ultimi mesi hanno mostrato una grande capacità di reagire alle circostanze. La fuga di Kevin Durant verso Golden State ha dato loro l'opportunità di investire su una star di 24 anni come Harrison Barnes. Aver aiutato i Warriors prendendo Andrew Bogut ha consentito poi di tramutare un giocatore superfluo per il loro futuro nel prospetto Nerlens Noel. E infine il buy-out di Deron Williams ha permesso di far esplodere la versione americana di Jeremy Lin ovvero Yogi Ferrell. Per avere Noel non hanno sacrificato quasi nulla. Avranno ancora la loro prima scelta che potrebbe essere anche molto buona. In sei mesi hanno ricostruito un nucleo futuribile le cui prospettive saranno più chiare quando avremo capito se Ferrell è un point-man da quintetto a livello di playoffs; quanto sia forte davvero Noel e se Barnes può essere un All-Star e non solo un ottimo giocatore. Passando da Golden State a Dallas in cinque minuti in più di utilizzo sta segnando quasi nove punti in più e con otto tiri per sera in eccesso ha migliorato le percentuali dal campo  (non da tre perché evidentemente i tiri aperti creati da Curry e Thompson non sono gli stessi se sei la prima opzione della squadra).
L'esplosione di Ferrell ricorda quella di Lin nel 2012 quando una sera fece due punti in sei minuti contro Boston e dalla sera dopo ebbe sei gare di fila e nove su 10 oltre i 20 punti con un high di 37 e tutta New York ai suoi piedi. Ma Lin era un secondo anno. Ferrell è un rookie non scelto proveniente da Indiana, tagliato da Brooklyn che ha trasformato un decadale in un impegno pluriennale e aspirazioni di grandezza. Ferrell non ha giocato sulla Luna come fece Lin per un mese, a parte una prova da 32 punti, ma è stato incredibilmente solido (12.2 punti e 4.9 assist nelle prime 16 gare sono cifre sostenibili).
Un altro "core player" a basso costo è Seth Curry, undrafted come Ferrell, meteorico a Sacramento, bloccato con un biennale-furto da sei milioni in cambio di 12.9 punti con il 43.2% da tre e 113 punti ogni 100 possessi.
Dallas non ha le sembianze di una squadra da titolo così come è configurata ma ha una struttura poco costosa quindi strumenti per andare sul mercato dei free-agent o per scambiare in modo produttivo. Ha già dimostrato di saper cogliere l'attimo con Barnes, Bogut e Noel, di vedere cose che altri non vedono (Ferrell e Curry) e un allenatore-franchigia come Rick Carlisle che assicura progressi nell'arco di una stagione o di un programma.
Il problema semmai sarà pagare Nerlens Noel in modo corretto. C'è un motivo se Philadelphia l'ha svenduto: non pensava meritasse di essere pagato da centro titolare quando ai Sixers non lo sarebbe stato. I Mavs lo considerano la risposta come centro per dieci anni. Ma da qui a capire fino a dove sia salutare pagarlo ce ne passa. Noel a Dallas sta tirando bene (oltre il 63%), stoppa meno rispetto a quando era un rookie (trend preoccupante) ma cattura il 27% dei rimbalzi difensivi disponibili e con lui in campo segna 124 punti per 100 possessi, un'enormità. Ma non è chiaro se questa affidabilità offensiva e impatto difensivo (103 punti per 100 possessi) possano essere riprodotti continuando ad alzarne il minutaggio fino ai 32-33 minuti di uno starter importante. D'altronde se non lo pagheranno i Mavs lo farà qualcun altro quindi le mani sono abbastanza legate. Ma questo è un contratto che può influire sulle strategie future. Non è una questione di quanto valga ma di quanto incida sul monte salari.

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