venerdì 30 marzo 2018

MVP Review: perchè Durant e Steph si ostacolano


Nel momento stesso in cui due estati fa Kevin Durant scelse di portare il suo talento sulla Baia, istantaneamente le sue possibilità di vincere un secondo MVP dopo quello conquistato con Oklahoma City nel 2014 si sono ridotte. E per osmosi si sono ridotte anche quelle di Stephen Curry. Succede sempre quando un superteam non ha un chiaro leader. A Miami era LeBron James pur arrivando lui, da esterno, nella squadra di Dwyane Wade; ai Lakers di inizio secolo il leader era Shaquille O’Neal e Kobe Bryant è diventato un candidato MVP solo quando Shaq è stato ceduto a Miami; a Houston, Chris Paul è andato a fortificare i Rockets che restano la squadra di James Harden. Durant era il numero 1 a OKC. Probabilmente, Russell Westbrook non sarebbe mai stato l’MVP della Lega se KD non fosse andato mai andato via. Forse.

Durant ha deciso di giocare nei Warriors che avevano già vinto prima di lui. Durant è troppo forte e nel “prime time” della propria carriera: può essere un numero 2 mediatico, in termini di leadership interna ma sul piano tecnico in nessuna squadra del mondo oggi può essere… Scottie Pippen. Ma Curry è stato due volte MVP, una volta MVP unanime. Ha rivoluzionato il gioco, trasformando tiri da tre tatticamente irresponsabili in un’arma letale. I Warrior sono un anomalo caso di squadra con due numeri 1. La conseguenza è che sono sempre la squadra da battere, la più temuta e rispettata. Il rovescio della medaglia è che le due super-superstar si ostacolano a vicenda nella raccolta di premi individuali. In fondo, lo sapevano: Durant non è andato a Oakland per essere l’MVP della regular season ma per esserlo della Finale. E lo è stato.
Ecco perché due stelle di questo genere non hanno mai davvero avuto la possibilità di essere MVP stagionali. Durant non può avere cifre migliori di quelle di LeBron James (meno punti, meno rimbalzi, meno assist e anche percentuali dal campo inferiori). Curry resta il miglior tiratore della Lega per distacco: questa è la sua nona stagione su nove oltre il 40 % nel tiro da tre sfiorando le 10 conclusioni a partita. Infatti la sua percentuale di tiro effettiva è del 61.8 %. Per una guardia è irreale. Ma Curry naturalmente non può reggere il confronto con la sua memorabile stagione 2015/16, quella da MVP unanime, che resta forse irriproducibile per chiunque e una delle più grandi regular season individuali di tutti i tempi. Ma è ovvio che anche lui ha lasciato per strada cinque punti a partita accogliendo Durant. E’ normale.
Ci sono altre due ragioni che chiudono la strada a Curry e Durant. Golden State ha vinto meno di Houston. La considerazione, ricordando quanto siano forti i Warriors, è il miglior argomento a favore di James Harden ovviamente. La seconda ragione riguarda gli infortuni: il numero di partite saltate da Durant è accettabile, ma Curry ne ha giocate solo 51 e proprio per questo sparirà dalle classifiche individuali. Le sue 51 partite sono state eccellenti e dovrebbero garantirgli comunque un posto nel secondo quintetto All-NBA ma non possono portarlo più avanti. Durant invece, con Kawhi Leonard fuori concorso quest’anno, sarà certamente primo quintetto All-NBA da ala accanto a LeBron.
La sua stagione dunque: di tutti i “top player”, ad eccezione ovviamente di Steph Curry, Durant è il miglior tiratore da tre. Come era prevedibile, passando a Golden State, ha potuto sfruttare gli spazi creati dai compagni e alzare le percentuali e la propria efficienza su un livello che a OKC non era stato possibile raggiungere. Per capirci: il 42.9% da tre è la più alta media in carriera; il 59.2% di percentuale effettiva è in linea con quello dell’anno passato e superiore a tutte le stagioni precedenti. Ma balzano agli occhi anche altre cose: non tanto i 5.4 assist di media, agevolati dalla vicinanza di tanti tiratori, quanto il top in carriera nelle stoppate che conferma le sue qualità difensive. In negativo però ci sono i 6.7 rimbalzi, il minimo dal 2009, i tiri liberi ovvero 5.8 a partita, il minimo dalla sua stagione da rookie. Cosa significa? Durant quest’anno ha giocato il 77% del proprio minutaggio da ala forte nominale, cioè accanto a tre piccoli il che avrebbe dovuto favorirlo come rimbalzista, non danneggiarlo. Che vada meno in lunetta (0.4 a partita giocando però un minuto in più) è un altro sintomo inatteso.
In generale, la stagione di Durant resta di altissimo livello ma senza dubbio condizionata dalla vicinanza con altri fenomeni, soprattutto quando ha giocato Curry, e dagli infortuni. Resta una stagione da Top 5, non da MVP, ma è vero che nel momento stesso in cui è andato ai Warriors, Durant ha deciso di essere giudicato dopo i playoffs. Non prima. (5-continua)

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