Nel momento stesso in cui due estati fa Kevin Durant scelse
di portare il suo talento sulla Baia, istantaneamente le sue possibilità di
vincere un secondo MVP dopo quello conquistato con Oklahoma City nel 2014 si
sono ridotte. E per osmosi si sono ridotte anche quelle di Stephen Curry.
Succede sempre quando un superteam non ha un chiaro leader. A Miami era LeBron
James pur arrivando lui, da esterno, nella squadra di Dwyane Wade; ai Lakers di
inizio secolo il leader era Shaquille O’Neal e Kobe Bryant è diventato un
candidato MVP solo quando Shaq è stato ceduto a Miami; a Houston, Chris Paul è
andato a fortificare i Rockets che restano la squadra di James Harden. Durant
era il numero 1 a OKC. Probabilmente, Russell Westbrook non sarebbe mai stato
l’MVP della Lega se KD non fosse andato mai andato via. Forse.
Durant ha deciso di giocare nei Warriors che avevano già
vinto prima di lui. Durant è troppo forte e nel “prime time” della propria
carriera: può essere un numero 2 mediatico, in termini di leadership interna ma
sul piano tecnico in nessuna squadra del mondo oggi può essere… Scottie Pippen.
Ma Curry è stato due volte MVP, una volta MVP unanime. Ha rivoluzionato il
gioco, trasformando tiri da tre tatticamente irresponsabili in un’arma letale.
I Warrior sono un anomalo caso di squadra con due numeri 1. La conseguenza è
che sono sempre la squadra da battere, la più temuta e rispettata. Il rovescio
della medaglia è che le due super-superstar si ostacolano a vicenda nella
raccolta di premi individuali. In fondo, lo sapevano: Durant non è andato a
Oakland per essere l’MVP della regular season ma per esserlo della Finale. E lo
è stato.
Ecco perché due stelle di questo genere non hanno mai
davvero avuto la possibilità di essere MVP stagionali. Durant non può avere
cifre migliori di quelle di LeBron James (meno punti, meno rimbalzi, meno
assist e anche percentuali dal campo inferiori). Curry resta il miglior
tiratore della Lega per distacco: questa è la sua nona stagione su nove oltre
il 40 % nel tiro da tre sfiorando le 10 conclusioni a partita. Infatti la sua
percentuale di tiro effettiva è del 61.8 %. Per una guardia è irreale. Ma Curry
naturalmente non può reggere il confronto con la sua memorabile stagione
2015/16, quella da MVP unanime, che resta forse irriproducibile per chiunque e
una delle più grandi regular season individuali di tutti i tempi. Ma è ovvio
che anche lui ha lasciato per strada cinque punti a partita accogliendo Durant.
E’ normale.
Ci sono altre due ragioni che chiudono la strada a Curry e
Durant. Golden State ha vinto meno di Houston. La considerazione, ricordando
quanto siano forti i Warriors, è il miglior argomento a favore di James Harden
ovviamente. La seconda ragione riguarda gli infortuni: il numero di partite
saltate da Durant è accettabile, ma Curry ne ha giocate solo 51 e proprio per
questo sparirà dalle classifiche individuali. Le sue 51 partite sono state
eccellenti e dovrebbero garantirgli comunque un posto nel secondo quintetto
All-NBA ma non possono portarlo più avanti. Durant invece, con Kawhi Leonard
fuori concorso quest’anno, sarà certamente primo quintetto All-NBA da ala
accanto a LeBron.
La sua stagione dunque: di tutti i “top player”, ad
eccezione ovviamente di Steph Curry, Durant è il miglior tiratore da tre. Come
era prevedibile, passando a Golden State, ha potuto sfruttare gli spazi creati
dai compagni e alzare le percentuali e la propria efficienza su un livello che
a OKC non era stato possibile raggiungere. Per capirci: il 42.9% da tre è la
più alta media in carriera; il 59.2% di percentuale effettiva è in linea con
quello dell’anno passato e superiore a tutte le stagioni precedenti. Ma balzano
agli occhi anche altre cose: non tanto i 5.4 assist di media, agevolati dalla
vicinanza di tanti tiratori, quanto il top in carriera nelle stoppate che
conferma le sue qualità difensive. In negativo però ci sono i 6.7 rimbalzi, il
minimo dal 2009, i tiri liberi ovvero 5.8 a partita, il minimo dalla sua
stagione da rookie. Cosa significa? Durant quest’anno ha giocato il 77% del
proprio minutaggio da ala forte nominale, cioè accanto a tre piccoli il che
avrebbe dovuto favorirlo come rimbalzista, non danneggiarlo. Che vada meno in
lunetta (0.4 a partita giocando però un minuto in più) è un altro sintomo
inatteso.
In generale, la stagione di Durant resta di altissimo
livello ma senza dubbio condizionata dalla vicinanza con altri fenomeni,
soprattutto quando ha giocato Curry, e dagli infortuni. Resta una stagione da
Top 5, non da MVP, ma è vero che nel momento stesso in cui è andato ai Warriors,
Durant ha deciso di essere giudicato dopo i playoffs. Non prima. (5-continua)
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