sabato 17 settembre 2016

New York Basketball Stories 2.0: Knicks Top 15, John Starks

Da New York Basketball Stories 2.0
Anche se hanno vinto poco, pochissimo, nella loro storia, i Knicks hanno avuto un ruolo dominante nella storia della NBA e non sono mai stati poveri di stelle. Lo “star power” ha sempre affascinato i loro dirigenti. La classifica ovviamente lascia il tempo che trova ma rappresenta comunque un motivo di discussione. Nel compilarla ho tenuto conto di alcuni fattori da chiarire prima: rendimento ai Knicks, non nel corso della carriera (questo spiega la posizione di Earl Monroe, altrimenti più elevata, o l’esclusione di Larry Johnson e Bob McAdoo ad esempio), privilegia i risultati di squadra (per questo Willis Reed davanti a Patrick Ewing, per questo ci sono Bill Bradley e Dick Barnett ma non McAdoo e Spencer Haywood), la permanenza ai Knicks (penalizza Walt Bellamy ad esempio che ha numeri da Top 5 ma una milizia di quattro stagioni di cui solo due concluse  con i playoffs), il contesto (l’inclusione nei quintetti All-NBA è importante perché metro di confronto con gli altri giocatori dell’epoca). 

venerdì 16 settembre 2016

Perché Kobe Bryant ha vinto un solo trofeo di MVP?




Kobe Bryant ha giocato 20 stagioni nella NBA. Nel 70-75% di quelle stagioni i suoi Lakers erano abbastanza ambiziosi da puntare più o meno dichiaratamente al titolo tant'è che con lui in campo hanno disputato sette finali di cui cinque vinte. Kobe si è espresso a livelli talmente alti da essere considerato unanimemente uno dei più grandi giocatori della storia in una posizione identificabile tra una Top 5 (forse esagerata) e una Top 15 (decisamente condivisibile). Ma allora perché ha vinto solo un trofeo di MVP? Nel corso della sua carriera Steve Nash ne ha vinti due. Stephen Curry due. Kevin Durant e Dirk Nowitzki uno come lui e LeBron James addirittura quattro. Possibile oggettivamente che sia stato il miglior giocatore solo nella stagione 2007/08?

domenica 11 settembre 2016

Yao Ming, il gigante unico che ha trasformato il basket cinese




C'è sempre stata grande infatuazione per i giganti del basket ovvero le armi totali, i centri altissimi e come conseguenza della loro taglia virtualmente immarcabili. Ma la realtà è sempre stata molto diversa. I 2.20 nel basket raramente sono stati efficaci e mai per periodi di tempo estesi e a patto di aver sviluppato una coordinazione e un equilibrio adeguati. Kareem Abdul-Jabbar era 2.18 ma era snello, leggero, lo è persino adesso. Lo disse Coach Jeff Van Gundy quando a Houston allenava Yao Ming, appena entrato nella Hall of Fame. La stazza di Yao Ming è stata il motivo del suo approdo nella NBA da prima scelta assoluta nel 2002 e da miglior giocatore cinese di tutti i tempi. Ma è diventato una star per come questa taglia fisica era abbinata alle qualità tecniche salvo diventare poi il motivo di tanti infortuni che ne hanno ridotto la longevità. Giocare nella NBA quando sei oltre i 2.20 e pesi 140 chili non è facile. Sembra paradossale ma nel basket moderno difensivamente sei un problema perché puoi difendere il pick and roll in un modo solo ovvero restando piantato in mezzo all'area. Poi essendo un saltatore lento Yao Ming non era neanche un Rim Protector. Arvydas Sabonis aveva caratteristiche simili, meno interno, più dotato di tiro da fuori e ball-handling. Anche la sua carriera è stata condizionata in modo traumatico dagli infortuni.

sabato 10 settembre 2016

Shaquille O'Neal, The Most Dominant della sua generazione





Shaquille O’Neal si era autoproclamato MDE, Most Dominant Ever, una definizione che si adatta bene al tipo di giocatore che è stato. E’ impossibile paragonare un centro fisico come lui a giocatori di perimetro. Non sarebbe mai stato possibile considerarlo il migliore di sempre o anche di una generazione di giocatori. E’ il destino dei centri e O’Neal era quanto di più puro possa essere considerato un centro. O’Neal giocava dentro l’area, profondo, e di fisico, di forza, potenza, anche se poi aveva un discreto gancetto e sapeva usare bene il tabellone.

venerdì 9 settembre 2016

Il fascino perverso e irresistibile del dolce diavolo Allen Iverson


Devono essere trascorsi almeno cinque anni dalla sua ultima partita perché un giocatore venga eletto nella Hall of Fame che in America non è un referendum di popolarità o un gioco da bar. È una cosa seria. Per questo fa davvero impressione che Allen Iverson sia ora un membro dell'Arca degli immortali. Ora che sembra ma non è più un ragazzino anche se continua a sfuggire alle giacche, ovviamente alle cravatte. Anche se sotto la giacca adesso arancione e veramente brutta consegnata ai nuovi eroi di Springfield aveva l'immancabile t - shirt e la solita collana d'oro.
Allen Iverson è stato un giocatore iconico, il più apprezzato da Philadelphia, un posto spietato che non ha mai risparmiato nessuno. Non ha mai "imbrogliato", ha sempre dato tutto. Non era un grande lavoratore, non si allenava d'estate, non frequentava la sala pesi, andava in campo a 1.83 di statura e 75 chili di peso forma. Ma in partita era un gladiatore.

giovedì 8 settembre 2016

L'indimenticabile Walt Frazier


Reed fu nominato MVP della finale sulla scia della straordinaria prova di coraggio fornita in gara 7 ma come ebbe a dire anche Chamberlain, forse per una sorta di autodifesa (in fondo avrebbe dovuto essere lui ad approfittare della condizioni fisiche menomate di Reed), può non essere il miglior giocatore un uomo che segna 36 punti e distribuisce 19 assist? Quel giocatore era Walt Frazier, scelto nel draft del 1967, l’ultimo curato da Red Holzman come scout.

mercoledì 7 settembre 2016

Welcome to Rucker Park




La 42nd Street taglia in due Midtown, dall’Hudson River all’East River. Percorrendola da ovest verso est si parte da Port Authority, la stazione degli autobus, e si arriva a Grand Central dalla parte opposta. Ma per andare ad Harlem conviene partire proprio da Port Authority, dalla stazione della metropolitana coincidente, prendere la linea blu, fare attenzione, salire sul treno “C” perché è quello che effettua tutte le fermate e soprattutto ferma sulla 155th Street proprio a St.Nicholas, proprio a Rucker Park. Il viaggio richiede una ventina di minuti, non di più. Il Rucker Park è ad un isolato di distanza dalla stazione della metropolitana, all’incrocio con il Frederick Douglass Boulevard come qui si chiama la 8th Avenue. Il campo è recintato, circondato da una tribuna a tre file, facilmente riempibile. All’esterno alberi altissimi e un vero e proprio parco, ristrutturato nel 1993 per la modica domma di 423.000 dollari, che separa la miseria di Uptown dal fascino del playground più ricco di storia al mondo, dove vieni accolto dal classico cartello verde che all’esterno di ogni playground ti racconta dove sei: Holcombe Rucker Park.

martedì 6 settembre 2016

Shaq, LeBron, Wade chi è stato il più importante a Miami?


Pat Riley diventò allenatore e presidente dei Miami Heat nel 1995 dopo quattro anni ai Knicks. Fu un colpo clamoroso e per convincerlo Mickey Arison, il proprietario del club, gli cedette addirittura una quota della franchigia.
Da allora Riley ha costruito in 20 anni a South Beach tre diverse squadre da titolo. La prima fu costruita attorno a Tim Hardaway e Alonzo Mourning ma non andò oltre la finale di conference del 1997. Erano gli anni dei Bulls di Michael Jordan e superarli era quasi impossibile. Gli Heat subirono due colpi da ko tra l'altro. Convinsero Juwan Howard, una star emergente a giocare per loro, ma la Lega annullò l'operazione per circonvenzione del salary cap. Riley era stato troppo creativo nel tentativo di pagare Howard senza pesare sul cap. Il secondo colpo basso fu la malattia ai reni di Mourning. Dovette ritirarsi, poi tornò e venne scambiato ai Nets durante una sorta di ricostruzione della squadra. Infine Mourning rientrò alla base a fine carriera per vincere il titolo del 2006 da cambio di Shaquille O'Neal.

lunedì 5 settembre 2016

E se i Lakers avessero davvero scambiato Kobe per Grant Hill?


Phil Jackson ha svelato in una recente intervista-diario all'unico giornalista di cui si fidi, Charley Rosen, che nel corso della stagione 1999-2000 "per qualche minuto anzi secondo" ha valutato la possibilità di cedere Kobe Bryant ai Pistons in cambio di Grant Hill. Pensate a come sarebbe cambiata la storia della NBA se l'affare fosse stato consumato. Oggi può sembrare una follia ma all'epoca non lo sarebbe stata per nulla. Bryant era un 21enne emergente, fortissimo e con grandi margini di miglioramento ma Hill era a sua volta una star affermata, nella miglior stagione della carriera.

sabato 3 settembre 2016

Ora Dennis Schroder vale 70 milioni di dollari




Alla fine della scorsa stagione, Dennis Schroder (non Schroeder ok...) aveva espresso il desiderio di diventare il playmaker titolare degli Atlanta Hawks. Nel momento stesso in cui l’ha fatto ha creato un inevitabile dualismo – che stava già montando - con Jeff Teague. Il problema è stata risolto a monte, cedendo Teague ad Indiana. Adesso Schroeder può confermare i propri progressi e gestire la squadra full-time. E’ una delle grandi novità degli Atlanta Hawks della nuova stagione, a parte ovviamente il ritorno a casa di Dwight Howard.

mercoledì 31 agosto 2016

Perché i Nets fanno sembrare Danny Ainge simile a Auerbach




I Brooklyn Nets rappresentano il caso più evidente di squadra NBA che ad un certo punto della propria storia ha “venduto” il proprio futuro nel tentativo di vincere subito. L’ha fatto per diversi motivi: le ambizioni personali di Mikhail Prokhorov, il magnate russo che aveva bisogno di essere subito credibile come proprietario di un club NBA, ma soprattutto lo sbarco a Brooklyn quindi la necessità di presentare un prodotto che convincesse la popolazione locale a restare a casa per vedere la NBA senza dirigersi a Manhattan per tifare o contestare i Knicks.
La mossa non ha avuto successo anche se ha fatto parlare tantissimo, di Prokhorov e dei Nets quando hanno acquistato Deron Williams da Utah, firmato Kevin Garnett, Joe Johnson, Paul Pierce. Hanno pagato una fortuna in luxury tax, hanno fatto rumore, hanno vinto molto meno di quanto sperassero e appunto hanno venduto il futuro. Oggi i Nets hanno una squadra che è in minima parte composta da veterani affidabili, che assicurano un minimo di competitività come Brook Lopez, Luis Scola, Jeremy Lin, anche Greivis Vasquez, e poi hanno un manipolo di giovani non necessariamente fortissimi come Rondae Hollis-Jefferson o Caris LeVert di cui si dicono cose spettacolari ma nella misura in cui le condizioni fisiche lo sorreggono.

Alcindor-Jabbar, il più grande mai prodotto da New York


"Stai giocando come un negro". Jack Donohue, coach della Power Memorial Academy a Manhattan, non era un razzista o quantomeno non ci sono motivi per pensare che lo fosse. Ma la sua squadra, che sarebbe stata votata anni dopo come la migliore di sempre a livello liceale, aveva pochi ragazzi di colore. Il migliore di tutti si chiamava Lewis Alcindor e veniva dai projects di Dyckman Street, nella sezione di Manhattan nota come Inwood, vicino ad Harlem. Era un predestinato. Altissimo e coordinato. Un atleta. Alla St.Jude, la sua scuola elementare, era stato immarcabile e quando arrivò a Power Memorial, adesso tristemente chiusa, era già una piccola celebrità. Donohue usò quella frase per motivarlo dopo un primo tempo opaco. Ma aveva superato il limite. Nella testa del giovane Alcindor negli anni '60 quella era una frase che non poteva essere tollerata.

lunedì 29 agosto 2016

La leggenda di Fly Williams




Fly veniva da Brownsville, sezione tra le più povere di Brooklyn, dove è cresciuto anche Mike Tyson. Ma lo sport per antonomasia a Brownsville è il basket: Walter Berry è nato qui anche se poi si è trasferito nel Bronx, così Lloyd Daniels, Albert King (il miglior quattordicenne della storia dissero, poi diventò “solo” un buonissimo giocatore NBA ai Nets dopo aver giocato a Maryland con uno scudetto conquistato anche a Milano), il fratello Bernard, che con la maglia dei Knicks riuscì a segnare 50 punti in due gare consecutive, Vinnie Johnson, sesto uomo dei Detroit Pistons quando vinsero due titoli NBA consecutivi. E appunto Fly Williams che emerse nella prima metà degli anni ’70 quando segnò 63 punti in un All-Star Game in cui la squadra avversaria aveva addirittura Moses Malone.

venerdì 26 agosto 2016

Lamar Odom all'inferno e ritorno... tante volte




Lamar Odom rimase in quella posizione per tre ore.  Un uomo solo con in braccio un bambino di sei mesi e mezzo. Si chiama morte bianca. Jayden Odom passò dal sonno alla morte senza avvertire nessuno, lasciando il padre disperato a gestire un altro dei tanti drammi della sua vita. "La vita di Lamar è stata sempre così: una parte ricca di successi, fortuna, gioie; e l'altra metà dominata dai drammi più dolorosi", disse Jerry DeGregorio che Odom ha sempre definito il "mio padre bianco".

giovedì 25 agosto 2016

Houston: un grande esperimento chiamato Clint Capela




La notizia più importante dell’estate degli Houston Rockets è stata l’estensione contrattuale di James Harden. Non ha avuto la stessa eco di quella di Russell Westbrook a Oklahoma City ma il concetto è lo stesso. Harden sarebbe andato a scadenza un anno dopo Westbrook quindi i Rockets avevano meno urgenza di agire e inoltre non si avvertiva lo stesso tipo di rischio. Ma il messaggio è stato forte: Harden è al centro del progetto, il club crede in Harden e Harden nei Rockets. In un’estate in cui non sono stranamente riusciti neppure a entrare tra le cinque finaliste del Kevin Durant Derby, l’estensione di Harden è stato un premio di consolazione non indifferente.
Il mercato dei Rockets è stato soprattutto funzionale allo stile di gioco della squadra, enfatizzato dall’arrivo di Mike D’Antoni. La partenza di Dwight Howard era da ritenersi scontata: Howard non ha veramente legato con Houston, soffriva la leadership di Harden come a Los Angeles soffriva quella di Kobe Bryant e Pau Gasol e infine l’arrivo di D’Antoni, considerato il passato comune dei due e le idee del coach “milanese”, ha sancito un divorzio che non è dispiaciuto nemmeno ai Rockets. Altrimenti non si spiegherebbero le loro mosse. Tutte hanno spinto “contro” Dwight Howard.
Ma una squadra senza Howard è anche una squadra migliore? Questo è un concetto eterno nel basket perché migliorare sottraendo è sempre auspicabile ma difficile. E qui entra in gioco Clint Capela, il centro titolare, terzo anno di NBA, 22 anni, dei Rockets.

L'ultima notte di Malik Sealy




C’era stata una festa di compleanno del suo giovane compagno di squadra ai Minnesota Timberwolves. Correva l’anno 2000. Kevin Garnett aveva 24 anni ed era un amico. Prese la sua auto per tornare a casa, imboccò una highway quando in direzione opposta contromano, si vide piombare addosso un auto a tutta velocità. Al volante un uomo ubriaco. Malik Sealy morì così, a 30 anni, nel cuore di una buona carriera NBA.

mercoledì 24 agosto 2016

La grande storia di Bernard King (e dell'Ernie and Bernie Show)



I King vivevano a Brooklyn in un appartamento dei Whitman Housing Projects, quindici palazzoni, uno identico all’altro, oltre 1500 abitazioni. Il capofamiglia era il custode di uno di questi palazzi: puliva, riparava, accudiva, si spezzava la schiena e guadagnava pochissimo, non abbastanza per mantenere una moglie e sei figli. Uno di questi era Bernard King e sarebbe diventato il Re di New York City. Oggi il campo da basket del “project” si chiama “King Court” in suo onore.

martedì 23 agosto 2016

Analisi (realista) dell'estate dei New York Knicks


A conti fatti i Knicks hanno rivoluzionato una squadra che a metà stagione era sembrata promettente salvo incartarsi in modo inquietante e finire molto male. Hanno cambiato perché non potevano non farlo, perché la scelta sorprendente di prendere un allenatore che non fa parte della famiglia di Phil Jackson ha imposto un cambio di strategia e infine perché hanno avuto la possibilità di farlo.
Singolarmente le mosse principali sono tutte condivisibili
. Derrick Rose è un sicuro upgrade rispetto a José Calderon in almeno tre aree: penetrare la difesa schierata, correre in contropiede e creare opportunità. Ovviamente Rose non è quello che fu il più giovane MVP della storia nel 2011 ma le 66 gare giocate lo scorso anno sono il suo massimo dopo il primo catastrofico infortunio che ne ha frenato la carriera. Qui parlo solo della nuova squadra dei Knicks perché da un punto di vista strategico la mossa Rose non ha controindicazioni. Lasciandolo libero tra un anno assieme a Brandon Jennings, New York aprirebbe 24 milioni di spazio salariale anche se Russell Westbrook ha almeno momentaneamente sposato Oklahoma City così eliminandosi dal mercato. Non una bella notizia per i Knicks.

lunedì 22 agosto 2016

New York Basketball Stories 2.0: perché la nuova versione


Quando nell’ottobre 2015 tornai a New York con l'Olimpia Milano sentii Jamel McLean sospirare. "Non importa quante volte sei stato a New York perché è sempre come se fosse la prima". McLean è nato a Brooklyn. New York è davvero così. Una sorpresa continua. Cammini e senti parlare ogni lingua, incontri ogni tipo di persona e la metropolitana è quasi l'anello che congiunge uomini e donne dei più disparati strati sociali. Non esiste un luogo più di Times Square in cui un venerdì notte o un sabato sera puoi sentirti così al centro del mondo o nel cuore di tutto quello che succede. Cambiano i palazzi, chiudono negozi e ne aprono altri, ristoranti storici lasciano il posto a ristoranti nuovi. Catene di fast food e slow food. Librerie che vanno e che vengono. Ogni visita a New York scopri un mondo diverso. Immaginate nel basket: lo sport che distingue New York per la sua natura urbana, le sue origini di strada, la sua matrice afroamericana o anche solo perché i Knicks giocano al Madison Square Garden e quindi sono la squadra del mondo. La prima versione di questo libro era stato un atto di amore nei confronti della città. Era una New York ferita dall'attentato alle Torri Gemelle. Pochi mesi dopo, camminando una sera per Manhattan, ero stato avvolto da un groppo alla gola. Le strade erano deserte. La città triste. Non era una sera di punta, forse era addirittura un lunedì sera, ma non avevo mai visto New York così afflitta. Così abbattuta. Mi apparve quasi rassegnata e ovviamente non lo era. Certo guardavi sud e non vedevi più le Twin Towers, non belle ma imponenti. Troneggianti. Erano un punto di riferimento. Quel buco, in parte riempito, fa ancora male.

sabato 20 agosto 2016

NY Basketball Stories 2.0: gli scandali del 1951




Il Manhattan College è situato su una collina che sovrasta il Bronx.I Fu qui che nel gennaio del 1951 Junius Kellogg, allora 23 enne, reduce della Seconda Guerra Mondiale, un centro di 2.03, afroamericano, il primo giocatore nero mai reclutato da Manhattan, si presentò nell’ufficio di Coach Ken Norton per comunicargli che un suo ex compagno di squadra, già laureato, Hank Poppe, gli aveva offerto soldi per addomesticare lo scarto della successiva partita. Quella che al Garden, Manhattan avrebbe giocato contro DePaul.