Los Angeles dovrà aspettare 11 anni per avere un'Olimpiade che avrebbe (quasi) potuto organizzare domani. Se c'è al mondo una città adatta ad ospitare le Olimpiadi questa è Los Angeles. Ha già il villaggio come nel 1984 grazie ai campus delle due grandi università locali (utilizzerà UCLA nel '28). Ha impianti virtualmente pronti che furono il grande segreto dell'edizione del 1984 quando le Olimpiadi erano sull'orlo dell'estinzione ma Los Angeles chiuse il bilancio in attivo di 225 milioni di dollari che servirono per finanziare lo sport di base e olimpico. Secondo Peter Ueberroth, il manager che guidò Los Angeles 1984, da quelle Olimpiadi proveniva il finanziamento più sostanzioso agli atleti americani di Rio 2016. 32 anni dopo quell'evento.
Opinioni, analisi e i miei libri: il mondo del basket americano visto da me di Claudio Limardi
lunedì 14 agosto 2017
domenica 13 agosto 2017
NBA Finals 1995: il dramma di Nick Anderson
C’era un sole cocente il
giorno in cui Orlando, ospitando la prima partita della Finale, entrava
ufficialmente nel grande mondo del basket NBA. Nick Anderson fu uno dei primi
ad arrivare alla O-rena. Accompagnato dal figlioletto, parcheggiò l’auto appena
fuori l’ingresso riservato agli atleti. Si cambiò rapidamente e poi diede
inizio alla sua routine pregara fatta di tiri da ogni posizione e molti tiri
liberi. Ne sbagliò pochissimi quel giorno, come sempre del resto. Non avrebbe
mai immaginato quel che sarebbe accaduto poche ore dopo. Forse avrebbe dovuto.
Chi conosce Nick Anderson sa che è tanto duro fisicamente quanto fragile
dentro.
Nick viene da una delle
peggiori zone di Chicago ed è sempre stato abituato a convivere con un mondo
fatto di spacciatori, di delinquenti, di droga e violenza. Uno dei suoi amici,
Benji Wilson che secondo la leggenda era più forte di lui, un giorno per un
banale screzio di strada finì sdraiato in terra in una pozza di sangue. Ucciso.
Nick ne fu sconvolto. Dedicò all’amico scomparso tutta la sua carriera
indossando sempre il suo numero 25. Anderson fu il primo uomo scelto da Orlando
nella sua storia, una guardia tiratrice in grado di giocare in pivot basso, di
aggredire in difesa e di far pesare sempre i propri muscoli. Un giocatore
straordinario e anche un bravo ragazzo. Ma il cuore, la testa, quel giorno di
giugno del 1995, lo tradirono inaspettatamente e immeritatamente.
domenica 6 agosto 2017
American Way: il fascino morboso del caso OJ Simpson
Come farà OJ Simpson dopo nove anni di prigione ad adattarsi a 70 anni ad un mondo nel frattempo cambiato così tanto? Ovviamente è una battuta vista la pensione che percepirà come ex giocatore della NFL con 11 anni di esperienza. Nel 1994 quando aveva 47 anni e venne accusato dell'omicidio della ex moglie e di un ragazzo giovane che faceva il cameriere a Brentwood nel ristorante sbagliato, io ero in America e rimasi sbalordito di fronte alla fissazione mediatica e pubblica creatasi attorno al caso.
venerdì 4 agosto 2017
NBA Finals 1994: Hakeem Olajuwon
Quando Olajuwon uscì per
la prima volta dal terminal dello Houston Hobby Airport era forte dei suoi 208
centimetri lungo i quali all’epoca non erano distribuiti più di 80 chili, il
frutto di un’alimentazione incompleta, riso sei volte alla settimana e poco
d’altro. Aveva in tasca l’indirizzo della University of Houston e un pacchetto
di banconote arrotolate e nascoste chissà dove. Fermò un taxi. Prese posto sul
sedile posteriore e con il suo accento africano colpì l’autista come un
fulmine. “Ehi ma tu sei nigeriano come me!”. Il primo contatto di Hakeem
Olajuwon con Houston fu subito fortunato, un segno del destino. Veniva da una
giornata spesa in aereo. Cinque università da visitare, la prima doveva essere
St.John’s, appena sbarcato a New York. Ma era l’ottobre del 1980 e appena mise
la testa fuori dal terminal del JFK nel Queens, una ventata gelida lo rispedì
all’interno. Andò subito al bancone del check-in e si fece anticipare il volo
per Houston, previsto due giorni più tardi. Ricordava che all’ambasciata
americana, dov’era andato per ottenere il visto d’ingresso negli Stati Uniti,
gli avevano detto che New York è freddissima l’inverno e che Houston, per lui
amante del caldo, sarebbe stata molto meglio. E poi Christopher Pond,
l’allenatore americano nato nel North Carolina ma con la vocazione del
missionario in valigia, che l’aveva scoperto ai Campionati Africani juniores
dove guidava il Centrafrica, gli aveva chiesto come favore personale di
considerare Houston prima di qualsiasi altra destinazione, vale a dire North
Carolina State, Georgia, St.John’s e Providence, insomma tutte quelle che
avevano accettato di dare uno sguardo a questo ragazzone di Lagos.
mercoledì 2 agosto 2017
American Way: le contraddizioni di Miami
La prima volta che andai a Miami mi misero in guardia: stai lontano da
Overtown, da Liberty City. Negli anni 90 Miami salì al primo posto della
classifica degli omicidi. L'omicidio di Gianni Versace su Ocean Drive,
il lungomare affollatissimo di South Beach davanti alla sua villa
diventata un boutique hotel, dopo una colazione al popolarissimo News Cafè rappresentò
per il clamore, la location e la fama della vittima l'apoteosi dei
pericoli di Miami. Da allora la città è scesa sotto il trentesimo posto
nella classifica degli omicidi. Ma quando esplode lo fa in modo
fragoroso. Basti pensare allo zombie di South Beach. Non c'è
una spiegazione logica e forse non c'è una spiegazione e basta.
martedì 1 agosto 2017
Tutto quello che si nasconde dietro la richiesta di Kyrie Irving
Non è mai salutare dal punto di vista dell'immagine chiedere di essere
scambiato soprattutto se lo fai per motivi percepiti come egoisti e
vorresti lasciare una squadra reduce da tre finali in tre anni per
andare chissà dove ma presumibilmente in un club con prospettive
immediate diverse. La mossa di Kyrie Irving - vuole lasciare Cleveland
per essere il vero leader di una sua squadra - non è stata una mossa
popolare ma ci sono aspetti che vanno considerati per avere un quadro
esatto della questione.
lunedì 31 luglio 2017
NBA Finals 1993: Charles Barkley
La storia di Charles
Barkley comincia a Leeds, piccola città dell’Alabama dove Chuck viveva con la
madre, un fratello più piccolo e la nonna cui era legato da affetto quasi
morboso. Il padre Frank abbandonò la famiglia quando Charles aveva solo 13
mesi. I due si rividero otto anni dopo ma il rapporto non nacque mai. Barkley
senior si era trasferito in California costruendosi una nuova vita, una nuova
famiglia. Finita l’high school, con pochi dollari in tasca, Charles venne
reclutato da Auburn sempre in Alabama, un buon college dal punto di vista
sportivo dove il basket però viene sempre dopo il football.
domenica 30 luglio 2017
American Way: la fuga in avanti e l'automatizzazione
L'ultimo viaggio negli Stati Uniti è stato il numero 34 della mia vita. Avendo una media di due settimane di permanenza per viaggio secondo un conto approssimativo sono stato in America 68 settimane. Un numero che può essere valutato come alto o insignificante a seconda dei punti di vista. Ma questo è il mio blog e - al diavolo - posso occuparmi di quello che voglio.
sabato 29 luglio 2017
I Thunder dell'era Paul George finché dura...
Un anno fa gli OKC Thunder cedetteto Serge Ibaka a Orlando in cambio di
Victor Oladipo, Domantas Sabonis e Ersan Ilyasova. Successivamente
girarono Ilyasova a Philadelphia in cambio di Jerani Grant. Oggi con
Oladipo e Sabonis si sono assicurati Paul George. È un Paul George in
scadenza di contratto ma lo era anche Ibaka. In pratica hanno
trasformato Ibaka in George e Grant. È ovvio che comunque vada a finire
hanno vinto la trade, che l'avversario in questione sia considerato
Indiana o Orlando. I Magic avevano Oladipo, Sabonis e Ilyasova e adesso
hanno in pratica Terrence Ross. Normale che Rob Hennigan, il general
manager, sia stato avvicendato.
Una nuova grande a Ovest: Minnesota?
Se la condizione minima, indispensabile per definirsi un Superteam è
allineare almeno tre superstar assolute allora dopo l'acquisto di Jimmy
Butler, Minnesota è arrivata a buon punto. Naturalmente Golden State ha
quattro superstar e tutte e quattro sono da Top 25 del momento inclusi
probabilmente due dei primi cinque e tre dei primi dieci giocatori:
questo al momento rende il confronto con chiunque impari. Ma Minnesota
ha avanzato la candidatura come potenziale Next Superteam con un livello
di talento forse superiore a quello di Philadelphia, meno asset da
sfruttare in futuro ma maggiore affidabilità. Le tre baby star dei 76ers
hanno giocato una media di 10.3 partite in carriera. I Wolves hanno due
numeri 1 del draft che hanno già legittimato il loro status e un
All-Star perenne.
I Clippers del Gallo e di Milos Teodosic
Tanti in Italia avrebbero voluto vedere Danilo Gallinari giocare in una
squadra da titolo ma i Clippers non sono la barzelletta che erano sotto
la gestione di Donald Sterling. Nelle ultime cinque stagioni hanno vinto
regolarmente più di 50 partite, soglia dell'eccellenza, il proprietario
Steve Ballmer è il più facoltoso dell'intera NBA e a bordo è appena
arrivato da Golden State un personaggio fantastico come Jerry West.
Gallinari è in una grande organizzazione che tra l'altro aveva in altri
momenti cercato di prenderlo.
Brooklyn, D'Angelo Russell primo passo per la rinascita
I Brooklyn Nets si trovano in una situazione ancora pesante. Le sciagurate operazioni firmate dall'ex general manager Billy King nel tentativo disperato di vincere subito un titolo hanno spedito la squadra molto oltre l'abisso della decenza. La loro prima scelta ha dotato i Celtics (poi i Sixers) di Markelle Fultz ma non è ancora finita. La prima scelta del 2018 sarà ancora dei Celtics e non ci sono elementi per pensare che non possa essere ancora la 1. Quindi i Nets non hanno neppure interesse a fare tanking, possono solo aspettare. Potrebbero tentare di vincere il più possibile solo per sfuggire all'umiliazione di regalare una scelta altissima ai Celtics ma non servirebbe a nulla dal loro punto di vista.
giovedì 20 luglio 2017
NBA Finals 1992: Michael in Back To Back
Non c’è niente di più
difficile nello sport che ripetersi. Nella NBA dal 1969 al 1988 nessuna squadra
è stata in grado di vincere il titolo due volte di fila. Ci riuscirono infine i
Lakers nel 1987 e nel 1988. Arrivarono in Finale anche nel 1989 dopodiché anche
i Detroit Pistons riuscirono a fare la doppietta. Nel 1992 era la volta dei
Bulls.
lunedì 17 luglio 2017
NBA Finals 1991: la prima volta di Michael Jordan
Dopo l’eliminazione da
parte di Detroit in sette partite nel 1990, il livello di frustrazione di
Michael Jordan toccò il punto più alto (o più basso, dipende dai punti di
vista) della sua prima carriera, quella senza vittorie. Nel parcheggio del
Palace, quella notte triste, incontrò Jack McCloskey, general manager dei
Pistons, e quasi in lacrime gli domandò se secondo lui avrebbe mai vinto un
titolo. McCloskey era stato il costruttore dei Pistons, ma sapeva che i Bulls
stavano arrivando. Li aveva visti crescere e farsi ogni anno più minacciosi.
“Il tuo momento sta per arrivare – rispose – E prima di quanto pensi”. Fu buon
profeta. I Bulls persero gara 7 nel 1990 ma era il loro primo anno con Phil
Jackson capoallenatore, il primo anno in cui la squadra impiegò il famoso
“Triple Post Offense” o attacco triangolo, ideato o meglio sarebbe dire
elaborato dal vecchio assistente Tex Winter anni prima, quando allenava Kansas
State.
domenica 16 luglio 2017
NBA Finals 1990: i Bad Boys di Detroit
La limousine era pronta
fuori dal Memorial Coliseum di Portland. All'aeroporto un jet privato del
proprietario dei Detroit Pistons, Bill Davidson, lo stava aspettando. Tutto
quel che restava da fare era comunicare a Joe Dumars che 90 minuti prima della
palla a due di gara 3 della Finale NBA del 1990 il padre Joe jr aveva lasciato
la terra nella sua casa di Natchitoches in Louisiana. Non era una notizia
inaspettata. Joe jr stava male da tempo, le sue condizioni erano peggiorate
nelle due settimane precedenti e Joe Dumars III, il più giovane dei suoi sette
figli, aveva dato istruzioni precise su come gestire la scomparsa se fosse
coincisa con il giorno di una partita. Aveva chiesto che lo lasciassero giocare
salvo informarlo solo alla fine. A quel punto sarebbe rientrato a casa per il
funerale.
sabato 15 luglio 2017
NBA Finals 1990-1999: Il Ritorno
Nel 1999 scrissi il mio primo libro
ricostruendo le 10 Finali NBA degli anni '90 che avevo avuto la fortuna e il
privilegio di seguire personalmente. Non si trattava solo di un libro, era una
sorta di diario: volevo essere certo di ricordare quanto avevo visto. Di
recente mi è venuta voglia di rileggere il libro, scoprendo episodi di cui avevo
dimenticato l’esistenza, e poi ho avuto voglia di migliorarlo se possibile e
infine aggiornarlo con quello che negli anni successivi è accaduto o sarebbe emerso.
Ecco quindi una versione 2.0 di quello che avevo fatto dopo la Finale del 1999.
Mi piacerebbe ripetere lo stesso lavoro con le successive dieci finali e quindi
andare avanti con la presunzione attraverso il racconto delle finali di ricostruire
cosa sia stata la NBA in tutti questi anni. Vedremo se sarà possibile.
giovedì 13 luglio 2017
mercoledì 12 luglio 2017
Golden Times Aggiornamento: Steve Kerr
Malcolm Kerr era nato in Libano da genitori americani, che insegnavano all’Università Americana. Studiò negli Stati Uniti ma fu sempre a Beirut che conobbe Ann, la futura moglie, anche lei figlia di diplomatici statunitensi. Steve nacque a Beirut nel 1965, ma poi visse con i genitori in Tunisia e in Francia, poi a Los Angeles perché il padre accettò di insegnare a UCLA. “Mi hanno mostrato un mondo che per molti miei coetanei americani non esisteva neppure”, disse Kerr. Nel suo primo anno di liceo, Steve viveva in Egitto, a Il Cairo. L’anno seguente ritornò a Los Angeles.
lunedì 10 luglio 2017
Golden Times Aggiornato: Stephen Curry
Dell Curry aveva quattro
sorelle. Tutte più grandi di lui. Trovava una via di fuga quando rimaneva fuori
di casa e il suo allenatore al liceo lo ospitava nella propria… stalla. E’ una
storia nota. Curry veniva da Harrisonburg in Virginia e aveva il canestro nel
sangue. La tecnica giusta, il gomito posizionato perfettamente a formare una
elle con l’avambraccio. Il rilascio perfetto. Dell Curry era un tiratore nato
ma non si accontentava di esserlo. No. Dell Curry percorreva i 15 minuti che lo
separavano dalla casa in cui viveva il suo coach a Fort Defiance High School.
C’era un canestro appeso nella stalla. Dell aveva il permesso di rimanere lì e
tirare all’infinito. L’obiettivo di ogni giorno era segnare 500 canestri. “Ma
il bello è che potevo andarci con qualunque tempo e a qualunque ora. La stalla
era sempre aperta”, racconta. Talento, istinto, tecnica e lavoro. Dell Curry
sarebbe diventato uno dei più grandi tiratori di tutti i tempi.
giovedì 6 luglio 2017
Golden Times Aggiornato: Klay Thompson
Prima di Klay Thompson,
molto prima di lui, c’era stato Mychal Thompson, il padre, un centro di 2.08
che avrebbe giocato anche a Caserta, nato e cresciuto a Nassau, la capitale
delle Isole Bahamas. Con la famiglia si trasferì presto negli Stati Uniti, a
Miami. Fu qui che conobbe il basket e diventò una star. La sua squadra del
liceo, Jackson High, vinse 33 partite a zero nel suo ultimo anno a scuola.
Purtroppo, quattro starters incluso Thompson erano accademicamente non
eleggibili, tutti provenienti da Cuba o dalle Bahamas. La stagione sarebbe
stata invalidata. Per Thompson sarebbe diventato un tema ricorrente.
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